Parigi - L’intrepido fantino al Grand Palais

22 Settembre 2011

 

Parigi è tante cose. Per molti, per i visitatori e per i turisti, è principalmente un giocattolo. A Parigi si gioca sulla Tour Eiffel, si gioca davanti alle vetrine dei gioiellieri di place Vendome e ai tavolini dei bistrot di Montmartre. Un po’ perché la retorica degli uffici del turismo francese ha trovato più facile raccontare la città in questo modo, un po’ perché niente è meglio del kitsch di cui Parigi è ben dotata per stimolare la fantasia infantile che si annida in ognuno di noi. Ma principalmente perché Parigi è una città demodé che difficilmente abbandona le proprie abitudini: piuttosto le accantona in attesa di farci qualcosa, come vecchi giocattoli non più buoni, ma di cui i nipoti sapranno certamente cosa fare.

 

La mostra Des jouets et des hommes, aperta in questi giorni al Grand Palais, è forse una delle più originali e riuscite esposizioni degli ultimi anni e allo stesso tempo è una mostra tipicamente parigina per tipologia - monumentale: oltre mille gli oggetti esposti - e per filosofia con il Grand Palais trasformato in un’enorme madelaine.

 

 

All’ingresso serigrafie pubblicitarie nostalgiche e preziose ci ricordano che a Natale si vendono all’incirca l’80% dei giocattoli venduti in un anno, ma la pazienza di leggere e di apprezzare queste grafiche non c’è. I visitatori impazienti, facilmente distinguibili tra nonni e nipoti, raggiungono rapidamente le sale con i giocattoli. I giochi, come reperti museali, stanno oltre uno spesso vetro a testimoniare che molto tempo è passato: una sorta di infanzia in terapia intensiva, debole e gracile, tenuta in vita da un allestimento che le ridà l’ossigeno necessario al tempo di una visita. Non sono pochi gli occhi rossi e gli sguardi commossi alternati ad espressioni di stupore e gioia, in un continuo ribaltamento di stati d’animo un po’ patetico e dolcemente infantile.

 

I giocattoli toccano l’intimità con forza, e i ricordi come i desideri frustrati riaffiorano. Così, mentre gli spettatori adulti si riempiono gli occhi e proiettano i ricordi del tempo che fu, i bambini vorrebbero toccare e giocare. Impazienti schiacciano le dita sui vetri o tentano di scavalcare i cordoni che delimitano le automobiline a pedali degli anni Cinquanta, riproduzioni in metallo delle auto più in voga dell’epoca. Su tutte l’Aston Martin di James Bond riceve da grandi e da piccini i sospiri più ammirati.

 

 

Legno metallo e plastica scandiscono la cronologia dei giochi e la loro mutazione. Se i giocattoli in legno, che hanno forse nella scatola di 16 animali di Enzo Mari l’interpretazione ultima e più raffinata, sono prodotti artigianali sia poveri e semplici come lussuosi e preziosi (non può non stupire la ricchezza delle due bambole regalate nel 1938 alla futura regina d’Inghilterra Elisabeth e a sua sorella Margaret in occasione della visita in Francia di Giorgio VI, comprendenti un corredo di oltre 360 pezzi composto da vestiti e gioielli disegnati tra gli altri da Luis Vuitton e da Cartier) quelli in metallo lucenti e coloratissimi hanno nella meccanica a molla spesso anche molto raffinata la loro caratteristica saliente. Dalla rappresentazione del mondo naturale e animale che è una costante fin dall’antichità, si entra così nella modernità tutta metropolitana che ha nell’uomo e nella sua tecnologia il suo perno centrale. Non più solo bambole, ma pupazzi meccanici rappresentativi di un mestiere e di un ruolo sociale. I più belli quelli automatici dell’artigiano parigino Fernand Martin, capace di trasmettere nelle sue creazioni, dal venditore di caldarroste, all’intrepido fantino fino all’irreprensibile avvocato una lucida e ironica critica alla società del tempo.

 

Con i materiali plastici, il giocattolo si trasforma da generatore a contenitore di storie esterne alla fantasia del bambino, un oggetto post-umano che non stereotipa più il mondo già fortemente autorappresentato, ma il desiderio.

 

 

I visitatori avanzano e indietreggiano coinvolti in un turbinio di suggestioni: i giochi d’infanzia prendono la forma della storia. I soldatini tedeschi con le effigi naziste angosciano e confondono quanto i Dominatori dell’Universo tutta plastica e muscoli tanto in voga negli anni Ottanta, il cui aspetto ricorda gli amanti dei piercing e dei tatuaggi, ma la cui retorica sa tanto di liberismo e finanza. Forse ci avranno giocato da piccoli l’uno in fianco all’altro, l’attuale liberista in carriera e il più diretto discendente di Satana con cornetti sottocutanei.

 

In un angolo dell’ultima sala totalmente buia,vediamo il falò finale di Citizen Kane reintrepretato con dei giocattoli al posto degli oggetti del tycoon. La mostra è finita e i giochi non servono più, o si bruciano o si accatastano alla rinfusa come li si ritrova tornando a casa dei genitori da adulti, in qualche angolo della cantina. I giocattoli non si possono archiviare, solo modificare, smontare e magari scassare come consiglia François Matton in Comment j’ai cassé mes jouets pubblicato da Petit Pol. Il bookshop, con un bellissimo catalogo illustrato (ristoro delle malinconie degli adulti), lo dimostra con una lunga parete di giocattoli in vendita. I bambini li sognano e i genitori li temono, ma chi deve crescere non può badare a spese.

 

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