Peppe Dell'Acqua. Il lavoro di salute mentale

31 Maggio 2013

Peppe Dell'Acqua è stato, fino a poco più di un anno fa, il Direttore dei servizi psichiatrici di Trieste. Quei servizi che, nel lontano 1971, sette anni prima della legge 180, avevano aperto e chiuso definitivamente il manicomio. Allora il direttore era Franco Basaglia (1924-1980). Basaglia, nel mondo, è conosciuto quanto Foucault. Due grandissimi intellettuali. L'uno sul piano pratico, l'altro sul piano teorico, hanno cambiato il modo di pensare la follia. In America Latina Basaglia è considerato con Paulo Freire un maestro di liberazione. Lui aveva capito che la rivoluzione parte dal modo di pensare e si fa cambiando le istituzioni oppressive presenti nelle moderne democrazie. Chi a Buenos Aires o a Rio de Janeiro, tra medici e filosofi, giuristi e psicologi, non conosce bene le opere di Franco Basaglia?

 

 

Possiamo pensare a Dell'Acqua come a un erede, un continuatore di Basaglia, ma anche di Freire e di Foucault. La sua conferenza inizia con queste parole: “Dobbiamo imparare a dire sempre la verità”. Esercizio di parresia. Inoltre Dell'Acqua ha contribuito, insieme a Franco Rotelli, a consolidare l'esperienza triestina che, a partire da Marco Cavallo, dura ormai da oltre quarant'anni. Ed è proprio questa permanenza la spina nel fianco dei servizi psichiatrici, la maggioranza per la verità, che hanno sempre violato la Legge 180, scegliendo la psichiatria ospedaliera, anziché l'intervento sul territorio.

 

Oggi abbiamo, nella maggioranza dei casi, burocrati che ti raccontano che il loro dipartimento di salute mentale è il paradiso terrestre, magari con trenta-quaranta posti letto ospedalieri. Il dato sembra neutrale, allora come mai Trieste ne ha otto, se non ricordo male, e sono sempre vuoti? Si tratterebbe poi di entrare in questi reparti di diagnosi e cura (questo il nome attribuito all'odierna contenzione psichiatrica) per vedere quanti sono i letti con le corde e in che modo le porte vengono tenute sbarrate ai pazienti.

 

 

Tuttavia Dell'Acqua, che pure continua a denunciare questi crimini di pace, oggi racconta le esperienze di Trieste, la storia, che non si esaurisce in quel primo gioioso momento di liberazione, che continua giorno per giorno. E noi siamo fiduciosi che continuerà dopo l'elezione di Debora Serracchiani e la vittoria della sinistra nella Regione Friuli. Qui, nel profondo Nord, c'è Resistenza, a Milano come in Friuli.

 

Venerdì 10 maggio Peppe Dell'Acqua è venuto nell'Università dove ho il piacere di lavorare da ormai una quindicina d'anni, l'Università di Bergamo. Ha raccontato come si fa il lavoro di salute mentale sul territorio, come le persone, sane e folli, hanno gli stessi diritti di cittadinanza, che non possono essere alienati, non solo perché si trasgredisce una legge dello Stato, la 180 del 1978, ma sopratutto perché si viola la Costituzione. In altri termini, in Italia esistono luoghi in cui la Costituzione non è applicata, zone franche dalla democrazia, dove uomini e donne soffrono e muoiono legati al letto.

 

 

Ma ci ha raccontato sopratutto di come si fa a rispettare, addirittura a migliorare, la 180. Si tratta di negoziare sempre, di non usare mai la forza e la violenza. Ci vuole pazienza, bisogna non avere disturbi narcisisti, e sopratutto avere fiducia. Nel mio linguaggio vuol dire ritrovare i codici dell'affetto, quel sentimento materno che è quotidianamente attaccato dal disastro culturale degli ultimi vent'anni. Quando si dice che un comportamento offensivo nei confronti dell'opinione pubblica se non è reato è ammesso, quando l'etica della vita quotidiana è appiattita sulla norma giuridica, allora, ciò che è sotto attacco sono le consuetudini alla solidarietà, all'amore, alla comprensione. Qui la prima perversione è quella del Padre che attacca la Madre, di un Padre duro come il marmo, ottuso e becero. Di una Madre ferita, odiata, calpestata e uccisa.

 

Abbiamo bisogno di uomini come Dell'Acqua, che c'insegnino come usare in concreto, rimettere in circolazione, i codici affettivi nei contesti più difficili, anziché burocratizzare la salute mentale sotto un velo di neutralità. Se un burocrate dice che ci sono trenta posti letto al suo servizio, non sta fornendo un puro dato, sta dicendo che pensa di rinchiudere fino a trenta persone. E magari c'è qualcuno che pensa “Però! Come sono ben attrezzati!”. Nessuno pensa: perché vuoi rinchiudere trenta persone? Per farci che? Quanta gente è portata là con la forza? Come non pensare al titolo italiano di un'opera di Hannah Arendt: La banalità del male?

 

L'aula era gremita di studenti, ma anche di operatori del territorio, psicologi, psichiatri, assistenti sociali e sanitari, filosofi, familiari e pazienti, fondatori di comunità psichiatriche e appartenenti ad associazioni culturali. Quest'aula gremita ha seguito l'intervento di Dell'Acqua durato più di un'ora, poi domande, tante. Sembrava di essere tornati ai giorni in cui la cultura univa, anziché separare. Infine Dell'Acqua ci ha presentato la Collana 180, importante progetto di pubblicazioni presenti e future, iniziativa necessaria. Oggi che il mondo della grande editoria dà spazio solo ai sani di mente.

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