Persone come Chris

3 Febbraio 2014

Da 5 anni Dorothea Brooke lavora in una delle 3.300 sedi del Citizens Advice Bureau (CAB) sparse per tutta l'Inghilterra. Nato nel 1939 per offrire ai cittadini informazione e aiuto in tempo di guerra e cresciuto e sviluppatosi lungo tutto il dopoguerra insieme alla storia del Welfare State britannico, oggi il CAB continua ad offrire assistenza e informazioni gratuite a chiunque le cerchi, quale che sia il problema: lavorativo, economico, legale, familiare. Solo nel 2013, il CAB ha aiutato a risolvere 6.6 milioni di problemi a 2.1 milioni di persone. Questi problemi e le storie delle persone che li presentano, sono alla base delle campagne del CAB per cambiare politiche e legislazione, e offrono uno spaccato della vita di una societa' in crisi nelle sue strutture e anche nei suoi valori. Sono casi umani e burocratici che ci raccontano qualcosa dell'Europa di oggi. L'assistenza offerta e' confidenziale e a questo scopo tutti i nomi sono stati cambiati.

 


 

Per ora, lo hanno guardato 5 milioni di persone, e continua a suscitare furore: si tratta di un documentario o di poverty porn? Descrive amorevolmente o offende gravemente i cittadini di quel pezzo di Inghilterra (James Turner Street in Birmingham, per essere esatti) che vorrebbe descrivere: la strada con il più alto numero di persone on benefits, ossia sussidi statali? Una cosa sola è certa: che il programma di Channel 4 (Benefit Street) dedicato a questa strada, e ai suoi abitanti, arriva sui nostri schermi con un tempismo che non può che riuscire gradito al governo di David Cameron. A poche ore dalla dichiarazione del ministro del tesoro, George Osborne, che ci sono ancora molti sacrifici economici da fare…e che a farli saranno i più poveri. Altri tagli ai benefits, altra botta al welfare state.

 

Benefit Street rappresenta un mondo ben diverso da quello che vediamo nei nostri uffici, dove questi scrocconi, nullafacenti, pigri, imbroglioni si mettono in coda tutti i giorni. Arrivano increduli, imbarazzati, iracondi, spaventati  - spesso pazienti, qualche volta anche affamati – di fronte all’ineluttabilità del crollo di un sistema sociale che sembrava così radicato, così parte integrante dell’identità nazionale inglese.

 

Gli scrocconi sono persone come Chris. A quarant’anni, Chris ha un aspetto solare, allegro, fiducioso. Ma gli ultimi venti li ha trascorsi per lunghi tratti in ospedali psichiatrici. E’ schizofrenico. Da quando era ragazzino. ‘In ospedale non si sta male,’ mi dice. ‘Ma preferisco stare a casa. Perché quando sono a casa posso guardare la televisione, andare a trovare Anna, andare a lavorare’. Anna è qui con lui anche adesso, è la sua amica, la sua compagna, la sua ex. “Siamo come Harry e Sally, quelli del film. Ci amiamo ma siamo soltanto amici adesso” mi dice ridacchiando, soddisfatto e divertito.

 

Per Chris andare a lavorare vuol dire andare a fare il commesso (senza essere pagato) in un negozio di una charity. A Chris piace lavorare. Gli piace stare con la gente. Ma riesce a farlo solo per qualche ora al giorno e solo se il tutto è flessibile, se arrivare tardi o rimanere qualche ora in più o in meno non è un problema. Più di questo, e il fragile equilibrio che lo tiene in piedi crolla. Ed eccoci di nuovo in un ospedale psichiatrico.

 

Perfetto, sembrerebbe. Chris non è in condizione di guadagnarsi da vivere; ma vuole rendersi utile, e lavora, e questo fa bene a lui e aiuta la charity dove fa beneficienza.  Riceve un sussidio per malattia e vive di quello (all’incirca £76 sterline a settimana, non un granché, ma non paga l’affitto). E se questo lo tiene lontano dall’ospedale, tanto di guadagnato – non solo per lui, ma anche allo stato, perché non costa certo poco tenere un paziente in un ospedale psichiatrico...

 

Da qualche tempo, però,  il sussidio che gli permetteva di vivere, incapacity benefit (IB), non esiste più. Pensato per coloro che per motivi di salute non potevano lavorare, veniva dato al momento della diagnosi e poi mai più messo in discussione, se non dalla persona che lo riceveva, se si sentiva pronto di nuovo a lavorare.

 

Oggi, chiunque si trovi a non poter lavorare perché malato, deve far domanda per il Employment Support Allowance (ESA). Il test lo si trova online, nel website del governo e per qualificarsi un cliente deve ottenere almeno 15 punti. Per i curiosi, per gli impiccioni – come sono io - non una maniera sgradevole di passare la mattinata, tempestare un cliente di domande: può alzare il braccio per prendere una cosa dalla tasca della giacca? (“si”, mi dice Kathleen, “certo”. Neanche un punto, allora. Peccato, però, che a Kathleen manchino due dita nella mano destra – incidente sul lavoro – quindi, raggiunta la tasca non riesce ad afferrare nulla); siete consapevoli dei pericoli o avete bisogno di qualcuno che vi supervisioni per le attività quotidiane? (“no, no. Sono indipendente”, mi dice Rose. Che ha dovuto disfarsi dei fornelli, dopo aver dato più volte inavvertitamente fuoco alla cucina; gli antidepressivi che prende la fanno addormentare senza preavviso).

 

“Ha problemi ad avere relazioni sociali?” (“io, per niente. No, Vedo sempre mia sorella – mi porta lei da mangiare, perché io non esco di casa se posso evitarlo. Mi ha portato mia sorella qui stamattina. Era da quattro mesi che non uscivo di casa”).  

 

Da quando è entrato in vigore, sono più le ore che passiamo non tanto a compilare domande per l’ESA, quanto a formulare appelli per tutti quelli negati. E in media (e parliamo di una media nazionale) il 45% degli appelli è a favore dei nostri clienti (costo totale degli appelli quest’anno? £50 m di sterline).

 

E come potrebbe essere altrimenti? L’ESA si basa sul principio possono lavorare (inizialmente, ‘tutti’ avrebbe dovuto comprendere anche i malati di cancro durante la chemio, che se la sentissero o meno. In fondo, quando bisogna risparmiare bisogna, come ama ripetere questo governo, “fare tutti uno sforzo”).

 

E a decidere se uno può o meno lavorare è ATOS: la multinazionale francese specializzata in IT che organizza i colloqui (work capabilty assessment) cui tutti i malati devono sottoporsi. Condotti da medici? No, non proprio. Da healthcare specialists, categoria difficile da definire. Che dovrebbero contattare il medico del paziente in questione per ottenere un resoconto, ma non lo fanno. Sta al paziente di ottenerlo, anche se ahimè questo è un servizio che molti medici non offrono gratuitamente: tra le 40 e le 80 sterline. Che per chi vive con £76 a settimana è semplicemente troppo caro.

 

Soprattutto se questi work capability assessment vengono richiesti ogni tre mesi, o sei. È con questa frequenza che i malati – che abbiano avuto un infarto o soffrano di depressione, che siano schizofrenici o abbiano avuto un ictus – devono provare di non essere fit for work, capaci di lavorare.

 

Guardando Chris mi chiedo quale sarà il costo di sottoporsi a questa tortura. Penso a quante medicine in più dovrà somministrargli il suo medico per renderlo capace di arrivare al colloquio; penso a quanto la sua vivacità e allegria gli costeranno in termini di punti (uno allegro così, è sicuro che può lavorare); penso a quanti sacrifici economici per avere le lettere del medico. Penso a quanto detesto dover ripetere, qualsiasi domanda vi facciano, rispondente pensando a come state quando state al peggio. Non descrivetevi così come vorreste essere, come eravate (‘mi hanno chiesto quali sono i miei hobby e ho detto il ricamo. Ricamavo, prima di ammalarli. Ma sono almeno cinque anni che le mie mani non me lo permettono più”). Mi raccomando, ricordatevi di quanto state male, di quanto siete depressi, di quanto siete incapaci.

 

Detto questo, è stata una mattina piacevole. Mi sento fortunata ad aver avuto Anna e Chris come clienti. Speriamo, speriamo. E questa volta non invano. Al ritorno dalle vacanze, tra la mia posta, trovo una nota della mia supervisor. ‘Success!!’. Chris l’ESA l’ha ottenuto, e senza revisioni per un periodo di due anni. Un miracolo. Di quelli che in questo clima accadranno sempre meno. 

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