Piero della Francesca, ipotesi su un retablo

16 Giugno 2024

Di Piero da Borgo o Piero della Francesca sopravvivono, seriamente attribuibili a lui, solo tre retabli d'altare. Uno si trova, quasi incolume, a Perugia, l'ultimo. Un altro, il primo, ancora poco compreso, è conservato al museo di Sansepolcro, il suo Borgo nell'alta valle del Tevere. Il terzo, che cronologicamente sta fra gli altri due, è quello degli Agostiniani dello stesso Borgo, allogato secondo i documenti nel 1454. Le sue parti sopravvissute si trovano ora eccezionalmente riunite (fino al 24giugno) in una mostra del Museo Poldi Pezzoli di Milano. 

La mostra di Milano è straordinaria già per il fatto di riunire, esposte in un'unica sala, le otto parti superstiti: le quattro grandi tavole laterali di sicura attribuzione conservate a Lisbona, Londra, New York e Milano, e altre quattro piccole tavole orfane di origine sconosciuta (tre di santi su fondo oro e una magnifica Crocefissione), e comunque attribuibili con tutta probabilità a Piero, sia pure sempre con un punto di domanda, che nella mostra però manca. Cinque delle otto opere vengono da musei americani, quattro dalla Frick Collection di New York, il che significa che di dubbi non ne sono ammessi.

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La parte centrale del retablo degli Agostiniani è stata interamente perduta. Il retablo è stato pensato come un insieme, e quindi vanno considerate come parti di un discorso coerente anche le figure assistenti delle tavole laterali sopravvissute. La loro stessa posizione lo conferma. I personaggi raffigurati sono infatti rivolti leggermente verso il centro, sotto un cielo profondamente azzurro e davanti a un elemento di fondo architettonico unico e regolare, un parapetto ornato da lesene, che identifica i quattro santi come appartenenti allo stesso retablo. Fra di loro, l'evangelista della Frick Collection è venerabile e quasi decrepito. Ovvio è che si tratti di San Matteo, considerato tradizionalmente il più vecchio e primo degli evangelisti. Non è un fatto trascurabile questo, perché ogni santo ha una sua competenza, diciamo farmaceutica. Matteo aiuta le persone in fin di vita, per i quali solo la speranza di una buona morte rimane. Il giovane che gli corrisponde sull’altro lato del retablo, raffigurato con la spada insanguinata mentre tiene la testa del drago (demonio cfr) con la sinistra, è l’arcangelo Michele, che si accompagna perfettamente alla funzione di Matteo in questo contesto, in quanto si occupa dei trapassati in attesa nel purgatorio. Insieme San Michele a sinistra e San Matteo Evangelista a destra della parte centrale perduta del retablo costituiscono una coppia formidabile. 

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Lo sono anche i due altri santi che stanno ai suoi estremi: a sinistra Sant'Agostino, il santo titolare della chiesa per la quale il retablo era stato dipinto, e a destra San Nicola da Tolentino, in rappresentanza dell'ordine degli Agostiniani, al quale in vita è appartenuto.

Nessuna fonte indica il contenuto iconografico del retablo degli Agostiniani di Piero da Borgo, tranne un documento del 1624 e un ricordo annotato attorno al 1660 da un visitatore della collezione d'arte dei fratelli Ducci di Sansepolcro, dove quattro tavole del retablo si trovano all'epoca. Il visitatore descrive Sant'Agostino e l'Arcangelo Michele e dà il nome corretto all'Evangelista, San Matteo. Il quarto santo, però, qui viene indicato come San Bernardino da Siena, uno dei santi più magri, ascetici e duri mai incontrati nella storia della chiesa, impossibile da confondere con un San Nicola molle, obeso e buono come il pane. La possibile esistenza di un quinto e quindi di un sesto santo è interessante in quanto contraddice l'immagine tradizionale del retablo degli Agostiniani di Piero e anche quello dei curatori della mostra milanese. Di quale sesto santo si potrebbe trattare è suggerito dal documento del 1624. Tratta di un pittore di Sansepolcro, incaricato di dipingere due quadri di Sant'Agostino e di san Sigismondo in sostituzione delle quattro tavole che gli Agostiniani cedevano ai fratelli Ducci. Questo sembra indicare che nel retablo erano rappresentati

originalmente, a sinistra Sant'Agostino con San Sigismondo e San Michele e a destra, San Matteo, San Bernardino da Siena e San Nicola da Tolentino.

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Per quanto riguarda la sua tavola centrale perduta, è indicativo già il fatto che il retablo sia stato scomposto e accantonato attorno al tempo del Concilio Tridentino, alla fine del Cinquecento. Il Concilio aveva avuto come conseguenza una distruzione massiva di opere d'arte del tardo medioevo ritenute non più ammissibili per il loro contenuto iconografico e dottrinario. Una delle immagini non più ammissibili è la Madonna del parto, una delle opere più famose di Piero, riscoperta solo alla fine dell'ottocento. Prima della Controriforma, rappresentazioni della Vergine incinta erano molto diffuse in tutta l'Europa, ma nei paesi cattolici solo poche sono sopravvissute alla sua iconoclastia.

Una Madonna del Parto, però, sarebbe risultata molto vantaggiosa per il commercio d'anime degli Agostiniani, così come l'inclusione dei santi Sigismondo e Bernardino da Siena. Sigismondo aiuta contro la febbre, mentre Bernardino ferma le emorragie dalle quali era stato afflitto per tutto la vita: due condizioni che colpiscono in modo particolarmente duro, e a quei tempi pericoloso, le donne incinte o chi pregano per diventarlo. Sono sempre in pericolo di morte e quindi bisognose anche dell'aiuto sia di Michele che di Matteo. A posteriori, tutto questo dà ragione a Hubert Damisch (1928-2017), che ha parlato spesso dell'importanza per Piero della donna incinta e della figura di sua madre.

Georg Holländer, poeta, narratore, critico d’arte, scrive per la Frankfurter Allgemeine Zeitung.

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In copertina, fotografia di Marco Beck Peccoz.

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