Mondi possibili troppo reali / Pokémon GO

19 Luglio 2016

Più usata di Whatsapp, genera dipendenza, pericolose distrazioni, fa scoprire cadaveri e rende vulnerabili alle rapine. Non è una droga, non è un device di ultima generazione, ma un gioco, un videogioco per iOS e Android, dedicato ai Pokémon, gli antesignani di Peppa Pig e i successori di Holly e Benji. 

Pokémon GO, sviluppato da Niantic e distribuito da Nintendo, ha mischiato tutte le carte in tavola, andando addirittura oltre la milionaria invenzione, ormai datata, delle console portatili, evolutesi nelle app videoludiche per smartphone. Il gioco si basa sulla realtà aumentata (AR), una tecnologia che sovrappone dati a oggetti o persone attraverso un dispositivo mobile, con lo scopo di raccogliere informazioni. Come afferma Pietro Montani in Tecnologie della sensibilità (Raffaello Cortina 2014), la realtà aumentata rovescia i meccanismi della realtà virtuale dove è “il mondo reale, ontologicamente inclusivo a venirci incontro, fornendoci una serie di informazioni”. 

 

Il discorso dei videogiochi è fondato sul concetto echiano di mondo possibile, un luogo liminare dove immergersi completamente ed esperire sensazioni travolgenti e inusuali. Location esotiche, avventure coinvolgenti e adrenalina ai massimi storici sono gli ingredienti made in Japan per combattere il disagio contemporaneo che ha contagiato il nostro mondo sensibile. 

In questo caso, però, il genere del gioco è classificato come “avventura nel mondo reale”,  per una volta le lamentele contro l'asocialità e la reclusione indotte dalle pratiche videoludiche potrebbero essere messe al bando: Pokémon GO esorta a uscire fuori e a catturare i simpatici animaletti, a trovarli e a segnalarli ci pensa lo smartphone, che funge anche da mirino e Poké Ball. 

 

 

 

La relazione tra i Pokémon e lo spazio fisico è di equivalenza semantica: i Pokémon sono suddivisi rispetto a tipi perlopiù elementali, pertanto quelli di tipo acqua potrebbero comparire vicino a laghi, fiumi, o mari. Insomma, un viaggio in un posto sconosciuto potrebbe dare la possibilità di incontrare Pokémon “esotici”, nel pieno rispetto del genius loci. 

Il gamer può creare l'avatar scegliendo i tratti somatici che più lo rispecchiano e comporre un outfit di suo gusto. La prima schermata avverte di prestare attenzione all'ambiente e mostra un avatar intento ad attraversare un ponte, che, distratto dallo smartphone, non si accorge dell'imminente attacco di un serpente marino. Il primo personaggio con cui si fa conoscenza è il Prof. Willow, studioso di Pokémon che cerca un aiutante, ovvero il gamer. Da qui si inizia il percorso di evoluzione in esperto allenatore e scienziato, come suggerito dagli obiettivi da raggiungere. Il primo step è arrivare al livello cinque, attraverso cui si può accedere alle palestre dove allenarsi o sfidare gli avversari per rivendicarle. Il mondo possibile di Pokémon Go mixa sapientemente virtuale e reale: la schermata principale, la mappa dei dintorni, è basata su Google Maps e di conseguenza ha bisogno del GPS attivo per la localizzazione dell'avatar e per la fruizione dei contenuti geotaggati. Sulla mappa compaiono Pokéstop e palestre, dove i primi sono localizzati in punti d'interesse storico e culturale come monumenti, piazze, chiese.

 

All'avvicinamento al Pokéstop corrisponde una finestra sul mondo reale rappresentata dalla fotografia del luogo d'interesse dove si trovano oggetti utili all'avanzamento al gioco, che tendono a rinnovarsi continuamente, tanto da costringere i giocatori a recarsi più volte nello stesso posto. I Pokèstop risemantizzano gli spazi ponendoli alla stregua di veri e propri luoghi del consumo primario, dove rifornirsi per “sopravvivere” nel mondo possibile. In questo modo il senso del luogo viene magnificato e muta la percezione fisica dei confini e della nozione di spazio conosciuto. In parole povere, anche se ci troviamo nei dintorni di casa nostra, il solo fatto di esperire lo spazio circostante attraverso il gioco e le sue mappe modifica la nostra percezione precedente. Non si tratta più di consultare una semplice mappa per raggiungere un luogo preciso, ma di girovagare nello spazio fisico con fare da esploratore, facendo attenzione a ogni minimo particolare. 

 

Il girovagare contribuisce a una nuova forma di rappresentazione dello spazio urbano che sviluppa nuove relazioni tra il giocatore e il paesaggio. A questo punto risulta utile il concetto di “implacement” di Edward Casey, mutuato dal Dasein heideggeriano: con questo termine crea una struttura reticolare, situata spazialmente, tra la nostra natura, la propriocezione, gli altri e gli oggetti del mondo. In questo modo si contestualizza fisicamente l'embodiment dell'essere-nel-mondo, dando senso quanto vissuto sia nello spazio digitale che in quello materiale, ormai continuamente connessi tra loro. Conferiamo senso allo spazio attraversandolo, costruendolo, rappresentandolo e pertanto il traslato di questi atti nelle tecnologie mobili contribuiscono a mutarne la nostra concezione, offrendoci prospettive diverse. Presso i Pokéstop, a volte, si trovano delle uova di Pokémon da mettere in un'incubatrice e far schiudere camminando per minimo 2 km. Il sensore pedometro dello smartphone provvederà a registrare i percorsi, che in alcuni casi si arricchiranno rispetto alla quotidianità pre-Pokémon GO, mettendo al bando pigrizia e mezzi di trasporto. Il momento in cui c'è totale sovrapposizione tra mondo possibile videoludico e mondo reale è quando si incontra un Pokémon da catturare: attraverso la fotocamera verrà inquadrato l'ambiente circostante e con le dita si proverà a mirare la bestiola per lanciare la Poké Ball.

 

Qui entrano in gioco altri due sensori l'accelerometro e il giroscopio, utili a mirare con precisione a gestire l'inclinazione e l'orientamento del display. Il giocatore se desidera può scattare una foto al Pokémon trovato in piazza, di fianco all'animale domestico, sul tavolo della cucina, immortalando il suo incontro fortuito e la sua futura preda, di cui dovrà “prendersi cura” sottoponendola a combattimenti. Su quest'ultimo punto le criticità si sprecano da parecchi anni, ma non reputo necessario esprimermi a riguardo in quanto mi preme sottolineare altri aspetti del gameplay. Ritengo che, nonostante le accezioni positive e negative, nel momento dell'interazione con il Pokémon, il corpo del giocatore, attraverso i vari sensori coinvolti, si fonde con la mappa inscrivendo la sua esperienza nello spazio urbano.

Il gioco si interseca con la vita quotidiana, accrescendo le pratiche esistenti e creandone nuove, impattando su luoghi e sensazioni. La realtà aumentata origina geografie vissute, plasmando il senso dei luoghi e le interpretazioni degli eventi. Infatti, nell'analisi di un altro gioco di realtà aumentata, Google Ingress, sviluppato sempre da Niantec, Paolo Peverini osserva che “lo spazio urbano viene concepito come una forma di co-testo continuamente accessibile”.

 

Stiamo assistendo a un passaggio di testimone dal consolecentrismo a ciò che, parafrasando Derrida, si potrebbe definire disseminazione videoludica, ossia un processo in cui i mondi possibili videoludici si manifestano attraverso tracce di significato comprese da riscritture multiple in un contesto intertestuale e multiplanare. La natura sociale e convenzionale del videogioco si mimetizza completamente nel mondo reale, stravolgendone l'estetica tradizionale, diffondendo un gameplay instabile, mutevole. La mimicry di Roger Caillois si realizza completamente in una competizione reale dove il protagonista del videogioco è effettivamente il giocatore che entra a pieno diritto nell'universo videoludico scalzando il suo simulacro. Siamo dinanzi a una vera e propria esperienza o a una pseudoesperienza à la Baudrillard? Nel secondo caso la simulacralità è il luogo del segno che dissolve l'originale e teorizza la dissoluzione del soggetto che, entrando in contatto con il mondo possibile videoludico, esperisce nuove forme di conoscenza e fonde le sue terminazioni fisiche e nervose con il videogioco, creando una nuova entità. I Pokémon sono oggetti del mondo reale e insieme segni del mondo, segnano un'inversione di rotta perché se prima era il gamer a proiettarsi nel mondo di finzione, ora sono i personaggi con precise peculiarità grafiche e caratteriali, tanto da assumere dignità di pop-star, a essere gettati nel mondo “reale”. La narrazione è costruita dal gamer, luogo dopo luogo, scoperta dopo scoperta. La cooperazione tra fruitore e testo videoludico è contemporanea alla creazione di senso che avviene a partire dagli elementi topologici disseminati nello spazio, rappresentato mediante una cartografia. 

 

 

 

Pokémon GO costruisce senso e significato direttamente nel contesto reale di gioco, dove il ruolo principale è assunto dall'interazione con lo spazio fisico, dove, ormai, il videogame è letteralmente sconfinato, per dirla con Matteo Bittanti. La realtà virtuale si attualizza, non serve il visore per vivere un'esperienza immersiva, bensì una app e uno smartphone che, attraverso il suo schermo-finestra sul mondo, ci permette di vivere la realtà con i Pokémon. 

Gli effetti di Pokémon GO sono letteralmente devastanti: Pokémon ritratti nei posti più impensati,  su bare duranti i funerali, o gruppi estemporanei di persone riunitesi in strada che guardano un punto nel vuoto attraverso il cellulare. De Certeau ci ha parlato del consumo come “arte di utilizzare ciò che è imposto” e in Pokémon GO si sono subito manifestate individualizzazioni del gameplaying, riscrivendo addirittura i frames sociali imposti dalla giocabilità in luoghi pubblici. Qui risulta utile la performatività teorizzata da Victor Turner, ovvero la pratica corporea necessaria a una ridefinizione critica del reale e potenziale non luogo di margine e di passaggio da situazioni sociali e culturali definite a nuove aggregazioni sperimentali. Il non luogo di margine è il limen, una contaminazione che sospende le proprietà dei due mondi che unisce. Pokémon GO è un fenomeno liminoide, cioè di mutamento attivo, che sovverte gli schemi culturali esistenti. La vividezza dell'esperienza videoludica coinvolge tutti i sensi in maniera sincretica, mentre l'interattività è quasi totale perché si può interagire in potenza con qualsiasi cosa.

 

A tale proposito, Peverini afferma che si tratta di un “processo di stratificazione dei discorsi che guidano la costruzione, la rappresentazione e la rinegoziazione della vita quotidiana in chiave ludica, riguarda l’allestimento di ambienti mediali concepiti per innestarsi nello spazio urbano, sollecitando in modo innovativo l’interazione degli utenti-giocatori”. 

Lo spazio e il gioco sono in grado di connettere persone, memoria e storia, tanto che le immagini dell'apparizione del Pokémon Vaporeon al Central Park di New York sono indicative dell'ilinx, per tornare a Caillois, la vertigine provocata dal gioco: centinaia di persone hanno abbandonato le loro attività e le loro auto (!) per correre verso lo stesso punto e catturare il Pokémon raro. Potrebbero essere simili a quegli esodi di gruppo a cui siamo abituati per via degli eventi tragici, ma invece si tratta di un gioco generalmente correlato all'infanzia. La forza del brand Pokémon è tutta qui: se Google Ingress è rimasto legato alla nicchia degli hardcore gamer, Pokémon Go è riuscito a centrare ogni tipo di target, sfruttando il contagio sociale e l'engagement pregresso, sedimentatosi nel corso degli anni. Nintendo, dopo il ciclone Touch Generations (DS e Wii), si conferma ancora una volta la roccaforte dei casual gamers, l'unica azienda del settore in grado di far diventare i videogiochi un medium di massa. Che sia colpa della curiosità o della passione per le bestiole, è un fenomeno rilevante a livello globale. Ne è un valido esempio quanto accaduto il 16 luglio, il giorno in cui i server hanno smesso di fare il loro lavoro, scatenando un'inaspettata ondata di panico che ha generato milioni di discorsi sui social, sino a scalare il primo posto delle tendenze Twitter con #pokemongodown. Al bando le questioni importanti come il golpe in Turchia, l'ilinx ha mietuto le sue vittime, cinguettanti, irritate e depresse come se non ci fosse un domani.

 

 

E così termina la versione utopica del gameplay, peggiorata dal fatto che per trovare Pokémon basta stare fermi con l'applicazione in funzione e, ogni tanto, si riceveranno notifiche su ciò che succede nei dintorni. Mentre sto scrivendo questo articolo, di notte, ne ho catturati quattro, senza muovermi dalla scrivania. Ho sicuramente notato un certo coinvolgimento delle persone incontrate per strada, alcune aggregate in gruppetti, altre intente a guardare con occhi diversi il proprio quartiere, scambiandosi cenni di intesa. Il livello di astrazione è pericolosamente alto, soprattutto quando si scopre che si può barare sui percorsi usando i mezzi di trasporto. Anche i giochi prevedono gli imbroglioni e gli onesti, le interpretazioni buone o cattive. Nel mondo possibile dei Pokémon, quello previsto per il giocatore modello, bisogna uscire zaino in spalla, come gli avatar, muniti di buone intenzioni e inventiva, rivalutando e, perché no, scoprendo, posti inaspettatamente piacevoli, per mettere meglio a fuoco l'ambiente circostante, lontano dalle ombre della routine.

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