Profondità e superficie

16 Gennaio 2024

Il coniglio bianco non si accorge che la profondità è nella superficie

La nostra epoca si caratterizza per lo stare alla superficie. Non c’è tempo per approfondire, per ricercare, per riflettere. Tutto dev’essere qui e ora, poi si passa ad altro. E questo poi è il momento dopo, l’istante dopo. Siamo un po’ come il coniglio bianco di Alice nel paese delle meraviglie, colui che esclama di continuo: è tardi; è tardi!, non guarda nemmeno la piccola Alice ed è tutto preso dal tempo che gli sfugge e che egli cerca di afferrare. Siamo sempre in ritardo in un tempo che corre sempre più veloce e affannati lo inseguiamo, quasi senza speranza. In fondo, alla fine, non è più la meta che conta, ma il correre con il fiatone ed essere convinti che questo correre sia la vita che si deve vivere. Siamo tutti un po’ il coniglio bianco, anche se non ce ne rendiamo conto.

Il coniglio bianco non si accorge che la profondità sta nella superficie. E neanche noi ce ne accorgiamo. La superficialità che domina oggi è senza profondità. Con il neoliberismo le lotte per le libertà e per i diritti, il razzismo e l’antirazzismo, lo sfruttamento sul lavoro e l’illusione di poter essere imprenditori di sé stessi, l’inquinamento, la corruzione e il moralismo si sono giustapposti. La chiamano democrazia, ma è soltanto un pastiche. Vi sono vie d’uscita? Basta non contrapporvi la vecchia idea di profondità e cercarne una nuova, che non si trova nel fondale del mare, nel punto cieco di una galleria o nel punto di fuga di un quadro prospettico, bensì tra le maglie della superficie, là dove facciamo fatica a vederla proprio mentre ci balza agli occhi. Nelle Lezioni americane Italo Calvino cita un aforisma di Hofmannsthal: “La profondità deve essere nascosta. Dove? Nella superficie” (Il libro degli amici, Adelphi, 1980, p. 56). Calvino associa questa frase a una considerazione di Wittgenstein: “ciò che è nascosto non ci interessa” (Ricerche filosofiche, § 126, Einaudi, 1999, p. 70). Il problema di Calvino è la relazione tra le parole e le cose, tra il linguaggio e il reale. Poco prima aveva rilevato che si era sempre trovato di fronte a due strade divergenti: la prima si incammina verso lo spazio mentale di una razionalità fatta di forme astratte; la seconda verso il tentativo di trovare l’equivalente verbale di uno spazio riempito di oggetti.

In questa seconda strada, si perde l’illusione che le parole possano copiare le cose, o, più precisamente, che vi possa essere una conoscenza esatta delle cose, riprodotte attraverso le parole. A proposito delle due strade divergenti, Calvino scrive nelle Lezioni americane (Mondadori, 2011): “sono due diverse pulsioni verso l’esattezza che non arriveranno mai alla soddisfazione assoluta: l’una perché le lingue naturali dicono sempre qualcosa in più rispetto ai linguaggi formalizzati, comportano sempre una certa quantità di rumore che disturba l’essenzialità dell’informazione; l’altra perché nel rendere conto della densità e continuità del mondo che ci circonda il linguaggio si rivela lacunoso, frammentario, dice sempre qualcosa in meno rispetto alla totalità dell’esperibile” (p. 56).

Il linguaggio, al contrario di ciò che pensavano Aristotele, S. Tommaso e Cartesio, si rivela inadeguato a conoscere la densità e la continuità del mondo. Furono Nietzsche, Cézanne e Rodin a trasformare tale inadeguatezza in un vantaggio della conoscenza. Ma per fare ciò dovettero fare a meno dell’idea che la verità si trova nascosta nella profondità e che la profondità è tale solo se è distante. 

Prima di loro vi si avvicinarono Marx con la teoria del feticismo delle merci  (“le relazioni sociali, scrive, appaiono come quel che sono”), Taine con l’idea della conoscenza come sostituzione, Flaubert grazie a Bouvard e a Pécuchet

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La verità è nelle trame dell’apparenza, l’invisibile che si trova nel visibile. Rendere visibile, scrive Paul Klee. Si rende visibile ciò che non si vede all’interno del visibile, non alle sue spalle. La profondità non è laggiù, lontano, come l’avevano immaginato e costruito i grandi prospettici del Rinascimento, è invece nelle relazioni che simultaneamente si intrecciano in tutte le dimensioni. Non si dà un solo punto di vista. Era questo che intendeva Cézanne e che hanno colto di lui Giacometti, Delauney e Merleau-Ponty. Era questo che voleva dire Nietzsche quando scrive: “questi Greci erano superficiali – per profondità!”.

Come osserva il signor Palomar: “Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose, ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile” (Palomar, Mondadori, 2015, p. 51). Per questo la profondità va cercata non lontano, non altrove, non al di là di ciò che appare, ma, come ha fatto Cézanne con la sua Montagna, nelle trame della superficie, perché appunto l’invisibile sta nelle reti del visibile così come lo sfruttamento sta nelle trame della merce e della sua visibilità. Una buona parte del marxismo credeva che la verità stesse nascosta dietro l’apparenza in una profondità distante. Ma una volta disvelato l’inganno dell’apparenza, davvero si è trovata la verità nell’essenza delle cose? E quando, rovesciato il potere, si diventa depositari della verità, in nome di che cosa si può criticare e lottare contro il dominio della verità? Oppure la critica e la lotta cessano di esistere perché il bene, il vero, il bello sono stati raggiunti? E se invece immaginiamo il mondo come basato sulla sola superficie, così come si mostra in quest’epoca dominata dal neoliberismo, un mondo senza storia e senza profondità, un mondo in cui il presente annulla il passato e rende superfluo il futuro, questa immagine non è forse la nostra realtà? Quella che alcuni chiamano postmoderno e che somiglia tanto a una caverna abitata da spettatori che non possono fare a meno delle loro catene, simile a quella di Platone, ma piena di luci che abbagliano a tal punto da offrire lo stesso effetto di quell’altra descritta nel VII Libro della Repubblica. Un tempo si diceva: “La verità è rivoluzionaria”. Oggi bisogna dire: “La critica della verità è rivoluzionaria”.

Il mondo di oggi è dominato dall’arrogante idea della fine delle ideologie e della storia. Un mondo autoreferenziale, senza profondità, senza passato, senza futuro. Per questo la critica alla vecchia idea di profondità non deve significare affatto una rinuncia al concetto, perché la negazione della profondità riflette un’accettazione del mondo così com’è, un distrarsi di fronte allo sfruttamento degli esseri umani e alla devastazione della natura in nome della molteplicità fatta di cose ed eventi che si giustappongono. E questa giustapposizione è chiamata libertà. Un’idea nuova e diversa di profondità, invece, è già nel solitario Vico e in quei pensatori che tra il XIX e il XX secolo avevano cercato altre vie, e che, nella ricerca di nuovi modi di concepire la conoscenza e la rappresentazione, questa volta rinunciando all’idea che vi sia corrispondenza tra linguaggio e mondo, avvertirono la crisi della ragione moderna ma non accettarono mai che tale crisi si trasformasse né nel suo rimpianto né nella sua dissoluzione. Inoltre, una riconsiderazione del concetto di profondità in questa chiave può permettere di rileggere la teoria del feticismo delle merci di Marx non più nei termini dell’opposizione essenza/apparenza, verità/inganno.  Foucault, seguendo Nietzsche, negli anni ’60 propose una critica dell’Allegoria della profondità.

Erano gli anni in cui Ricoeur e Foucault interpretavano Marx, Nietzsche e Freud come filosofi del sospetto. Sospettare qualcosa non vuol dire necessariamente vedere cosa vi sia nascosto dietro e a distanza, ma, come nella Lettera rubata di Edgar Allan Poe, cercare quel che non vediamo sulla superficie. Dove va dunque cercata oggi la profondità? Nei due amanti del Cantico dei Cantici che si desiderano attraverso una finestra, nel feticismo della merce di Karl Marx, nei Greci antichi visti da Nietzsche, nella Montagna St. Victoire di Paul Cézanne, nel concetto di storia in Walter Benjamin, nell’idea di rendere visibile in Paul Klee, nel Palomar di Italo Calvino e in tutti coloro che, cercando la profondità nella superficie, possono aiutarci a trovare un modo diverso di comprendere la realtà ritornando a immaginare il futuro che sta lì nelle trame del presente

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