Roberto Ferrucci. Sentimenti sovversivi
La narrativa italiana conosce un momento particolare. Sarà per via dell’aumento vertiginoso delle pubblicazioni – romanzi e racconti –, sarà forse per l’arrivo di una nuova generazione di scrittori, nata a metà degli anni Settanta, e anche dopo, ma non passa settimana che non escano libri nuovi, e anche interessanti. Non tutti ovviamente, anche perché l’attuale ritmo editoriale, imposto dalle leggi del marketing , sollecita anche gli scrittori già affermati – quelli della generazione degli anni Sessanta – a pubblicare un libro ogni anno, o quasi, non sempre con risultati soddisfacenti.
In questa massa di opere come orientarsi? Quali libri leggere? Quali no? Chi consiglia a chi? Tutti interrogativi cui vale la pena di rispondere. Come? Provando ad affidare il compito di leggere e recensire i libri ad una nuova generazioni di lettori, e soprattutto di lettrici – sono le donne a leggere più libri di narrativa, o più libri in generale, rispetto agli uomini. Ecco allora che inizia con questo primo articolo una “rubrica” di recensioni scritte da persone che debuttano in quest’attività portando con sé uno sguardo che non è quello dei critici di professione attivi su quotidiani, settimanali o riviste.
Pezzi non troppo lunghi, da leggere velocemente, ma sempre con una visione attenta e informata del libro che prendono in esame. Si chiama Italic, dal nome del carattere a stampa: un classico prodotto italiano.
Una terrazza affacciata sulla foce della Loira, a Saint-Nazaire, è qui che il protagonista del romanzo di Roberto Ferrucci (Sentimenti sovversivi, Isbn 2011, 17 €) si rifugia con l’intenzione di scrivere una storia d’amore. Un tavolino nel vento del nord, tutto è pronto: la pagina bianca di word aperta, le dita ancora incerte sulla tastiera del Mac e l’aria dall’oceano che porterà l’ispirazione. Il quadro è perfetto, l’aspirante scrittore ispirato, il romanzo sembra sul punto di nascere. Ma all’improvviso qualcosa svia e allontana le intenzioni. Connessione wifi, iPhone, internet, twitter, google, blog e news. Notizie politiche dall’Italia!, per lo più raccapriccianti: Berlusconi e le sue ragazze. Il protagonista del romanzo prova fastidio per il suo paese, poi ribrezzo ed infine rancore. La storia d’amore annunciata si dilegua nel vento dell’oceano e sulla terrazza di Saint-Nazaire si materializza lo spettro iroso e impotente di una frustrazione nazionale fatta dei soliti luoghi comuni dell’italiano che si lamenta degli italiani.
La narrazione si fa incerta, prevale un autobiografismo emotivo, l’urgenza dello sdegno per un paese sempre uguale a se stesso. “Indignatevi!”, esorta Stéphane Hessel nel suo recente fortunato pamphlet. Sentimento nobile quando è ispirato da profonde virtù civili ma difficile da metabolizzare all’interno di una costruzione narrativa. Virginia Woolf diceva che è meglio non scrivere “sotto la luce rossa dell’emozione” ma attendere “quella bianca della verità”. Ora, aspettare che una luce bianca finalmente illumini la selva oscura della politica italiana di questi anni forse è troppo, si finirebbe per non scrivere mai del nostro paese. Ma sottrarsi all’ovvio sentimentalismo non è forse il compito di chi scrive un romanzo di denuncia?
Nell’estate del ’98 Bill Clinton scandalizza l’America con la sua vicenda erotica consumata tra le mura della Casa bianca. Un paio d’anni dopo Philip Roth pubblica La macchia umana: la storia d’amore tra un professore ultrasettantenne e una giovane inserviente semianalfabeta. L’indignazione collettiva, la mania di persecuzione individuale, la relatività di ogni punto di vista, l’immagine pubblica e l’immagine privata, la costrizione dei ruoli sociali, questi alcuni elementi del romanzo. Indignazione e narrazione stanno una accanto all’altra sotto la tipica luce ironica di Roth. Lo sguardo di chi scrive è analitico, l’indignazione non si mangia la narrazione. Ferrucci invece è nobile nelle intenzioni, condivisibile sul piano emotivo, ma sostanzialmente inerte sul piano narrativo. Ed è un peccato, un’occasione mancata. Il lettore, per quanto solidale, alla fine si dissocia, un po’ deluso da un romanzo che non è un romanzo, da una storia che non è una storia, da una verità così spesso ripetuta da apparire tristemente ridondante e in definitiva vuota.