Sfere di Peter Sloterdijk: istruzioni per l’uso

1 Dicembre 2014

Narrare in condizioni postmoderne

 

Nel 1979 il filosofo francese Jean-François Lyotard dà alle stampe un pamphlet di circa un centinaio di pagine, tratto da una ricerca sul “sapere” commissionata in origine dal governo canadese, che diventerà decisivo per la storia delle scienze umane in generale e della filosofia in particolare: La condizione postmoderna.

La tesi di base è nota: Lyotard sancisce la fine della modernità, facendola coincidere con l’impossibilità di porre mano – per il filosofo come per lo storico della cultura e delle civilizzazioni – a una “grande narrazione”, cioè a una storia che possa essere “macrostoria”, vale a dire una storia complessiva e comprensiva della civiltà. Lyotard, con ironia e semplicità, sostiene che, alla luce del “secolo breve” e delle acquisizioni dello strutturalismo, ogni tentativo di ricostruzione che voglia dire la totalità sull’uomo e dell’uomo ricade inevitabilmente nella violenza della totalizzazione, e nell’ingenuità di una descrizione che non può, costitutivamente, rendere giustizia a ciò che è stato detto, fatto, pensato, narrato, costruito, reso arte, immaginato nella sua molteplicità e irriducibilità ad unicum.

 

Ogni narrazione è una prospettiva, che ha una storia e una geografia concreta e delle premesse (più o meno) inconsce, che la condizionano inevitabilmente dall’origine.

Pensare di liberarsene è illusorio e tracotante: siamo consegnati irrimediabilmente e irriducibilmente – condannati – al frammento.

Quest’idea è stata una determinante portante per più di un trentennio all’interno delle scienze umane europee, e un costante avversario teoretico (il che ne attesta la diffusione e, in qualche modo, la legittimità anche se in forma negativa) per quelle di origine, metodologia e “stampo” anglo-americano.

 

Tiziana Contino, Honey Money

Tiziana Contino, Honey Money

 

Peter Sloterdijk: un pensatore sulla scena

 

Nel 1998, forse per la prima volta da quando la campana a morto della “modernità” (per lo meno, quella filosofica) era stata suonata da Lyotard, un filosofo ha tentato di rompere l’interdetto lanciato dal francese sulle grandi narrazioni: in quell’anno esce infatti in Germania il primo volume della trilogia di Sfere, a firma Peter Sloterdijk.

 

Sloterdijk (che è nato a Karlsruhe, nel sud della Germania, nel 1947) è nell’ambito delle scienze umane una figura nota e controversa: si è sempre posto ai margini del discorso filosofico accademico (è da anni rettore, dopo esserne stato docente, della Hochschule für Gestaltung di Karlsruhe, un’accademia di belle arti della provincia tedesca, che pur se innovativa e all’avanguardia nel proprio settore, di certo non è uno dei grandi atenei che hanno fatto la storia della filosofia tedesca), è stato anche conduttore di un programma televisivo, Das philosophische Quartett, dedicato a problemi di cultura e di costume, analizzati con piglio e ospiti provenienti principalmente dal campo della filosofia e della storia della cultura (il che potrebbe dire qualcosa di interessante anche all’Italia, su come la filosofia possa essere un metodo di divulgazione di alto livello – Sloterdijk infatti era presentatore, non ospite – e non debba ridursi necessariamente all’expertise del singolo, invitato e interrogato su una materia specifica), e autore di uno dei libri di filosofia più venduti di sempre in Germania, La critica della ragion cinica, che nel 1983 raggiunse la quota record di 150.000 copie vendute (e che recentemente è tornata disponibile – in versione ridotta rispetto all’originale – anche nel nostro paese).

 

Ma Sloterdijk è stato anche, proprio a ridosso della pubblicazione del primo volume della trilogia di Sfere (traendo da ciò non poca visibilità – Sloterdijk è anche un abile promotore di se stesso), colui che ha detto al grande padre filosofico della cultura tedesca del dopoguerra, Jürgen Habermas, che “la teoria critica è morta”, sulla scia di una feroce polemica culturale che aveva visto Habermas attaccare (infondatamente, bisogna dire) Sloterdijk per presunte tesi para-eugeniste, che egli avrebbe sostenuto nel breve saggio Regole per il parco umano, uno dei lavori più interessanti di Sloterdijk dal punto di vista teoretico.

 

Not Vital, 700 Snowballs

Not Vital, 700 Snowballs

 

Un tentativo postmoderno di descrivere il mondo: la trilogia di Sfere

 

Adesso i primi due volumi di Sfere, opera monumentale (più di 2000 pagine complessive, divise in tre tomi) da poche settimane sono finalmente disponibili anche al pubblico italiano, grazie alla meritoria opera dell’editore Raffaello Cortina di Milano, che sembra aver da qualche anno preso seriamente in carico il compito di importare Sloterdijk nella nostra nazione.

Dopo una prima edizione del 2009, ad opera del pioneristico editore Meltemi – tra i primi a investire massicciamente su Sloterdijk, all’epoca – viene ristampato, con traduzione e curatela quasi inalterate, e con una prefazione leggermente rivista di Bruno Accarino, il primo volume della trilogia: Sfere I. Bolle Microsferologia; e presentato per la prima volta in traduzione italiana il II volume della medesima opera: Sfere II. Globi Macrosferologia.

 

La buona prefazione di Accarino ha il merito di introdurre il lettore al milieu filosofico – o meglio, a uno dei milieux filosofici – a cui Sloterdijk può essere avvicinato: quello dell’antropologia filosofica tedesca. Questa corrente filosofica, che ha visto la propria teorizzazione e il massimo splendore nella prima metà del secolo scorso (ad opera di pensatori tanto decisivi quanto oggi parzialmente dimenticati, come Max Scheler, Helmuth Plessner e Arnold Gehlen), tentava di porre in stretto dialogo i risultati delle scienze della vita con un’immagine organica dell’uomo nel suo mondo.

 

Se pure – come andremo a vedere – Sfere I può essere ricondotto a questo tipo di interesse scientifico, ci sembra che Accarino (ed è questa forse l’unica pecca della sua prefazione, che resta comunque la migliore, fino ad oggi, di quelle scritte in Italia ai volumi di Sloterdijk) tenda a sottovalutare fortemente e volutamente (fino alla dichiarazione esplicita nella nota 112 a p. LXV) la tradizione epistemologica francese in generale, e Michel Foucault in particolare, tra le fonti e gli interlocutori privilegiati di Sloterdijk, che al contrario spesso ha personalmente dichiarato quanto Foucault sia stato decisivo per il suo percorso filosofico, e che – dopo Sfere – si è dimostrato debitore e in un suo particolarissimo modo addirittura (potremmo azzardare, con una forzatura) “continuatore” delle analisi foucaultiane nel suo testo di maggiore rilevanza dopo la conclusione della trilogia, dal titolo Devi cambiare la tua vita.

 

 

Di cosa parlano i tre volumi di Sfere

 

Il primo volume di Sfere rappresenta il tassello fondativo della trilogia, di cui può essere così brevemente schematizzata la composizione:

 

Sfere I rappresenta il culmine e la summa delle analisi sulla costituzione del soggetto che avevano occupato la riflessione di Sloterdijk fin dall’interesse per l’autobiografia espresso nella sua tesi di dottorato e nei lavori successivi, scritti tra gli anni ’80 e la fine degli ’90 del secolo scorso.

 

Sfere II è un’ampia fenomenologia dello spirito nell’epoca della globalizzazione, che per il Nostro comincia con la formulazione filosofica delle prime immagini del mondo unitarie, del mondo inteso come cosmos, da parte dei filosofi greci, e tramonta inesorabilmente con l’epoca delle grande scoperte geografiche di Cristoforo Colombo e Magellano.

 

Sfere III (ancora non disponibile in italiano, e che forse è il volume dal maggior valore teoretico della trilogia, assieme al primo) conclude l’opera, fornendo un tentativo di descrizione del mondo contemporaneo, in cui il concetto di sfere si è dissolto in quello di schiume.

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  • peter Sloterdijk, Sfere

 

Soggetti, Oggetti, Noggetti: Sfere I. Bolle

 

L’argomento di Sfere I può essere definito un’archeologia dell’intimo. Sloterdijk indaga la costituzione dell’individuo fin dalla fase della sua gestazione nell’utero materno, costituendo con gli strumenti teoretici della psicologia del profondo, della medicina e della storia della cultura, un’antropologia filosofica che non sfugga ingenuamente al confronto con le scienze moderne, ma che se ne giovi per elaborare una teoria complessa della soggettività umana, da cui partire per reinterpretare la storia della filosofia e delle civiltà occidentali.

 

Sloterdijk ritiene che il periodo di gestazione sia quello fondamentale per la costituzione della soggettività umana, soprattutto a livello di retaggio psichico. Questo è il punto basilare in cui si distacca da Freud (ma anche dei critici di Freud entro il contesto della psicanalisi), introducendo il concetto, mutuato dal filosofo della cultura austriaco Thomas Macho, di noggetto, Macho è un pensatore purtroppo ancora poco noto in Italia, delle cui opere, che spaziano in un orizzonte vastissimo dalla psicoanalisi alla critica dell’economia, dal tema della morte a quello dell’animale, sarebbe necessaria una maggiore diffusione, anche solo per comprendere meglio molte delle teorie su cui si basano gli assunti sloterdijkiani, che dall’amico Macho riprende molte idee.

 

Sloterdijk definisce i noggetti come realtà che spiazzano l’osservatore, ponendogli di fronte qualcosa che non ha ancora una presenza oggettiva, oggetti non dati, realtà che aboliscono la divisione soggetto/oggetto, perché la precedono.

Il primo noggetto di cui Sloterdijk tratta – si potrebbe addirittura arrivare a sostenere che in tutta la sua speculazione filosofica non tratterà d’altro – è la madre come ricettacolo d’intimità, come pura interiorità, come vulva, come grotta, come porta tra l’interno preoriginario e l’esteriorità come unica realtà che ci sia propriamente data. Noggetto sarà però anche il feto, che ancora non è un soggetto, ma che neanche si può definire un oggetto.

Vengono qui criticate le tre fasi che secondo la psicoanalisi freudiana danno la descrizione delle relazioni precoci (orale, anale, genitale) come inficiate fin dall’inizio dalla petitio principi della necessità del rapporto a un oggetto. In particolare nell’ultima fase, quella genitale, che per Freud è la più importante, in quanto condurrebbe al processo di formazione del soggetto.

 

A tali tre fasi vengono preposte (senza che per questo si possa tra di essi stabilire né una gerarchia né una consequenzialità cronologica) altri tre stadi, regimi di medialità radicale pre-orali, caratterizzati dalla loro configurazione noggettiva (che comporta l’abolizione della relazione soggetto/oggetto), che, sulla scorta delle più recenti indagini sulla struttura dello sviluppo prenatale, dovrebbero descrivere in maniera più completa il rapporto madre-feto.

L’importanza che Sloterdijk, nel proseguo della sua trilogia, darà a queste tre fasi sarà enorme: ciascuna di esse sarà il cardine su cui si baserà la sua teoria interpretativa della realtà, della storia e della cultura.

 

Michele Pierpaoli, Sponge Arte Contemporanea

Michele Pierpaoli

 

Le tre fasi

 

La prima fase pre-orale è una fase coabitativa fetale in cui vi è l’esperienza della presenza sensoriale dei liquidi, dei corpi e dei limiti della caverna uterina. Qui, quale precursore della realtà che diverrà poi il mondo, è presente un regno intermedio fluidico, l’ambiente uterino prenatale materno.

Questa prima fase, secondo Sloterdijk, si riproporrà di continuo, prepotentemente, in quanto l’abitare, inteso come essere-nello-spazio, costruire-lo-spazio, abitare-uno-spazio-umanizzato (e umanizzante) sarà la caratteristica fondamentale dell’essere umano: per Sloterdijk infatti l’uomo sarà null’altro che quell’animale che crea e abita uno spazio.

il II e il III volume di Sfere saranno dedicati principalmente all’esplicazione – su coordinate storiche, filosofiche e culturali sovraindividuali e intersoggettive – di tale concetto. L’immersione del feto nel liquido amniotico e nel sangue, e il rapporto con la placenta, sono le altre caratteristiche fondamentali di questo stadio.

 

La seconda fase pre-orale è l’iniziazione psico-acustica del feto nel mondo sonoro uterino, in cui viene posta l’attenzione sull’importanza della voce come cordone ombelicale che unisce ancora, dopo il parto, il neonato con la madre, e che sarebbe il germe di ogni comunicazione futura.

Sloterdijk dedicherà un altro capitolo (il VII) di Sfere I all’approfondimento del rapporto del feto con la musica e con l’udito in generale.

 

L’ultimo stadio pre-orale è quello della fase respiratoria.

Se, come visto, la prima vera esperienza del soggetto in fieri è quella dell’immersione in un medium fluido entro delle delimitazioni spaziali concretamente presenti, seppur nella loro vaghezza, si può da qui dedurre l’importanza che l’analisi dei media assume nelle considerazioni di Sloterdijk.

Una volta definito l’essere umano come un abitatore dell’interno, a causa dei propri retaggi noggettuali, tutta la trilogia di Sfere, e lo stesso concetto di sfera, possono essere descritti come dei tentativi concettuali di spiegare il fenomeno-uomo alla luce del suo rapporto con il proprio dove: una topologia dell’essere, come lo stesso Sloterdijk l’ha definita.

 

Queste – naturalmente – sono solo alcune delle direttive individuabili entro l’opera che stiamo presentando, che consta di 593 pagine di analisi fitte e variegate, ma di certo sono quelle che danno all’opera la sua struttura teoretica portante. Intorno ad esse si affastellano descrizioni tra le più disparate, esempi della geniale poliedricità sloterdijkiana, come i capitoli sul doppio, sull’angelo, su Giotto: tutti esempi di come, nella storia della cultura e della civiltà occidentale le forme-di-vita noggetuali abbiamo avuto retaggi che si sono esplicati nei campi più diversi: dalla letteratura alla religione, dalla pittura ai circhi e ai cabinet des curiositées.

 

Roberto Cicchinè - untitled 2009

Roberto Cicchinè - untitled 2009

 

Passare la sfera: dalle bolle ai globi

 

Per comprendere appieno l’inanellamento argomentativo tra i vari volumi di Sfere, e in particolare per comprendere come sia possibile il passaggio dal primo al secondo volume della trilogia, è forse utile a questo punto chiarificare il significato del titolo, ma ancor più dei sottotitoli, di quest’opera, partendo dal concetto di sfera.

L’opera di Sloterdijk è costellata di definizioni di sfera, a volte anche molto distanti l’una dall’altra. Una delle più complete è forse la seguente:

 

E la ragione per la quale la ricerca del nostro dove è più sensata che mai risiede nel fatto che essa si interroga sul luogo che gli uomini producono per avere ciò in cui possono apparire quello che sono. Questo luogo porta in questa sede, in memoria di una tradizione rispettabile, il nome di sfera. La sfera è la rotondità dotata di un interno, dischiusa e condivisa, che gli uomini abitano nella misura in cui pervengono a essere uomini. Poiché abitare significa sempre costruire sfere, in piccolo come in grande, gli uomini sono le creature che pongono in essere mondi circolari e guardano all’esterno, verso l’orizzonte. Vivere nelle sfere, significa produrre la dimensione nella quale gli uomini possono essere contenuti. Le sfere sono delle creazioni di spazi dotati di un effetto immunosistemico per creature estatiche su cui lavora l’esterno. (Sfere I, pp. 21.22)
 

La sfera ha dunque principalmente a che vedere con la spazialità e la creazione di spazio: è la risposta trovata da Sloterdijk alla domanda sul nostro dove, che comprende un rapporto di mutuo e reciproco rimando tra interno ed esterno, tra creare spazi e abitare.

La microsferologia, come viene contrassegnata dal sottotitolo del primo volume della trilogia, descrive le bolle, ossia l’unità originaria costitutiva di quello che sarà l’individuo, le cui parti fondamentali sono l’insieme delle non-relazioni noggettuali che abbiamo descritto.

 

Analizzare le microsfere significa dunque analizzare l’uomo in quanto abitatore dell’interno, quale essere strutturato da una spazialità originaria, che egli tenterà di ripetere sempre e ovunque con ogni mezzo, una volta uscito dall’utero materno.

Sloterdijk sosterrà, incisivamente, che la storia della tecnica umana è la storia dell’uterotecnica: il tentativo, incompleto per antonomasia, di riproporre al di fuori dell’utero le condizioni intrauterine. Tali condizioni non includono solo la spazializzazione e il creare spazi, ma anche una vera e propria ossessione mediologica: l’immersione originaria nel medium fluido nel grembo materno e i brandelli comunicativi appartenenti alla fase orale psico-acustica perseguiteranno il soggetto in tutta la sua storia, che sarà costellata da continui tentativi di creare media perfetti per una comunicazione illimitata, ripetizione dello stadio primordiale.

 

Qui si effettua anche il passaggio dalla microsferologia alla macrosferologia: quest’ultima, il cui itinerario viene esplicato nel II volume della trilogia Sfere, che dal primo è preparato, coincide con la storia dell’uomo occidentale dalla grecità all’epoca delle grandi esplorazioni, ed è una fenomenologia dei tentativi (la cui somma è l’insieme delle religioni, delle filosofie, delle arti, dei commerci e delle entità politiche dispiegatesi nel corso della storia) fatti dagli uomini per crearsi delle sfere che sostituissero la perdita della microsfera originaria.

 

 Moncalieri Proposte Donna, Sfere e cerchi d'autore a cura di Silvana Nota

Moncalieri Proposte Donna, Sfere e cerchi d'autore a cura di Silvana Nota

 

Dal primo al secondo volume

 

Per esemplificare e chiarire il passaggio dal primo al secondo volume e i temi principali di quest’ultimo può forse essere utile – nella grande massa di materiali contenuti nelle 942 pagine della traduzione italiana – proporre nuovamente un “taglio”, l’analisi di un tema specifico che possa dare al lettore un’idea dell’argomento e dello svolgersi generale del testo.

A mio parere, particolarmente utile a questo scopo può essere un’analisi dei capitoli II e III e VIII di Sfere II.

Nel primo di essi, dal titolo Ricordi del contenitore. Sul fondamento della solidarietà nella forma inclusiva (Sfere II, pp. 173-221), vi è la già accennata frase sloterdijkiana (mutuata da Dieter Claessens), che risulta paradigmatica per comprendere il passaggio dalle microsfere alle macrosfere: «Ogni società è un progetto utero-tecnico» (ivi, p. 180).

Dunque il retaggio della prima fase noggettuale si esplica nei processi originari d’insulazione non solamente nella ripetizione tecnica della situazione d’inclusività protettiva data dall’abitare intrauterino, ma anche dalla necessità di compartecipazione e condivisione originaria dello spazio.

 

La presentificazione materiale dei benefici forniti dall’essere-insieme è data, architettonicamente, dal muro di cinta: confine visibile della prima macrosfera, esso segna l’inizio del noi.

Il passo dall’inclusività fonte di privilegi all’inclusione costrittiva e portatrice di sofferenze è però breve: la dimensione ne viene data dal crescere in dimensioni sempre più imponenti delle mura delle città, fin dalle epoche più antiche della storia (si pensi alle mura di città come l’antica Babilonia), fino a diventare microcosmi da cui uscire (e in cui entrare) diventa sempre più complesso; le mura ciclopiche – infatti – divengono il simbolo della facoltà, monopolio del potere, di includere tutto ciò che si considera proprio in un ambito controllabile: dal noi si passa al mio.

Con la nascita delle fortificazioni nascono secondo Sloterdijk anche i primi impianti di potere totalizzanti: Sloteredijk interpreta come una proiezione metafisica di questo bruto fatto materiale il sorgere delle dottrine (ad esempio quella gnostica e quella manichea) che considerano ciò che è mondano e corporeo come prigioni, e vedono come la vera vita quella dell’anima, che ha patria nel puro fuori.

 

Queste immagini del mondo avrebbero però subito un sorpasso cognitivo, una sconfitta, da parte delle metafisiche dell’inclusività, che avranno la loro massima teorizzazione nell’ontologia filosofica greca e nella metafisica religiosa cristiana; la sfera ontologica parmenidea, e la sfera teologico-inclusiva del cristianesimo avranno secondo Sloterdijk il loro successo millenario perché in grado di dare una spiegazione immunologica particolarmente soddisfacente del reale, una spiegazione in cui il tasso d’inclusività è assoluto: la sfera cosmica sarebbe, secondo tale visione, la macro-parete che rende il genere umano unito nella grande casa datagli da Dio.

 

Hamburger Banhof, Berlino, Città trasparenti

Hamburger Banhof, Berlino, Città trasparenti

 

Sfere locali, sfere globali, sfere infrante: Sfere II. Globi

 

Nel capitolo III di Sfere II dal titolo Arche, mura, confini del mondo, sistemi immunitari. A proposito dell’ontologia dello spazio circondato da mura (Ivi, pp. 223-318), Sloterdijk offre un esempio di come le sue analisi possano passare rapidamente dal piano della storia della metafisica, della religione e della filosofia a quello della storia materiale. Qui infatti Sloterdijk analizza le figure inclusive dell’arca e delle mura di cinta intendendole come dei sistemi immunitario-inclusivi concreti: l’arca per Sloterdijk è l’idea di spazio più radicale dal punto di vista morfologico che gli antichi seppero concepire; essa esprimerebbe infatti l’idea che il mondo interiore artificiale può diventare, in date circostanze, l’unico medium vivibile, di fronte a un mondo esterno ormai invivibile con cui ogni legame viene tagliato.

 

L’arca rappresenterebbe a livello simbolico la rottura con l’illusione materna: l’uomo diventa adulto ontologico perdendo la propria fiducia nella bontà della natura, e riponendola invece nel “contratto” con cui Dio, dopo il diluvio, assicura all’uomo che in futuro non vi sarà più annichilazione alcuna.

La trattazione sloterdijkiana passa poi dall’arca alla città, che è in qualche modo un’arca “approdata”: tutto nella grande città è volontà di dominio e opera umana, e nulla fa pensare alla possibilità di una sua scomparsa (diversamente da ogni cosa che compare al mondo, in natura). Chi vive in una città non solo ne è protetto, fisicamente e psicologicamente, ma è anche votato ad essa: alla sua costruzione, mantenimento, protezione, espansione a danno di altri déi-città.

Le mostruose città antiche esprimerebbero nella loro smisuratezza il proposito di rendere tutto lo spazio esterno uno spazio interno animato: con le grandi città antiche, secondo Sloterdijk, politica, architettura e teologia si alleano in un progetto macroimmunologico.

 

Infatti, quando l’antico re ordinava la costruzione della città, egli si poneva nella posizione del dio creatore di un cosmo, e in quanto tale aveva il privilegio di poter dirigere dalle torri il proprio sguardo ovunque (esemplificando così un modello fisico di onniscienza). Le mura, in questo contesto, trasformeranno progressivamente e inesorabilmente la loro funzione simbolica: esse rappresenteranno sempre più l’idea dell’inaccessibilità del divino e al contempo della sua inclusività totale.

Dunque la muraglia sarebbe addirittura un’epifania, il lato di esibizione di un’interiorità emanante, che non permette dubbi sul potere di chi la costruì: Dio è presente nelle mura e celato dalle mura. È così che secondo Sloterdijk nascono l’immagine del dio costruttore e artigiano, che sostituisce quella arcaica della Grande Madre con quella della fabbrica, e conseguentemente le religioni di redenzione orientali: dall’idea che chi ha costruito l’uomo può anche salvarlo e comprenderlo.

 

Secondo Sloterdijk le mura ciclopiche mesopotamiche testimoniano un cambio di formato dell’immaginazione, sono un sintomo ontologico di crisi: esse rappresentano il primo segno che l’esteriorità ha infettato la bolla microsferico-familiare fino ad ora impermeabile ad essa; nelle città fortificate lavorarono per secoli migliaia di uomini al fine di dimostrare che tutto ciò che è può essere contenuto in una forma.

Sloterdijk ritiene che questo valore psichico e simbolico delle mura inclusive sia reso evidente dai motivi che hanno portato al loro tramonto: quando si affermarono sistemi inclusivi migliori (e più a basso costo), vale a dire le metafisiche religiose, in cui gli esseri umani venivano inclusi senza doversi spendere in una vita di sforzi al fine dell’erezione di mura ciclopiche, la fortuna delle grandi città dalle mura ciclopiche tramontò.

 

La storia di come le immagini del mondo metafisiche abbiano creato una Macrosfera inclusiva, e di come questa sia tramontata, sono riassunte da Sloterdijk nell’illuminante capitolo VIII del testo (dal titolo L’ultima sfera. Breve storia filosofica della globalizzazione, che fu, come capitolo a se stante, il primo testo tradotto di Sloterdijk in italiano, alla fine degli anni ’90 per l’editore Carocci, che alimentò l’equivoco, in parte non ancora dissipato, che Sloterdijk fosse un filosofo della globalizzazione, cosa che non è affatto).

 

Hamburger Banhof, Berlino, Città trasparenti

Hamburger Banhof, Berlino, Città trasparenti

 

Le tre fasi della globalizzazione

 

Sloterdijk narra lo svolgersi, svilupparsi e il deflagrare di quelle che egli ritiene siano state le tre fasi della globalizzazione:

 

Globalizzazione cosmo-uranica (o onto-morfologica): ha i caratteri simbolici della creazione di un’immagine del mondo unitaria, attraverso gli strumenti metafisico-unitari e immunologici che abbiamo sopra brevemente ripercorso. Essa si compì definitivamente con la creazione di quel macro(-sferico-)sistema immunitario che era l’onto-teo-logia cattolica di derivazione greca.

 

Globalizzazione terrestre: è l’argomento principale del capitolo VIII. Esso tratta del periodo 1492-1945 quale insieme in sé compiuto di eventi, che Sloterdijk ritiene siano gli unici a poter essere a buon diritto definiti come storici. La storia per Sloterdijk è la storia dell’appropriazione di spazi, avvenuta entro una cornice simbolica preparata da centinaia di anni di globalizzazione cosmo-uranica. La storia delle conquiste, dell’esportazione della sfera monologica cristiana, è La storia. Per Sloterdijk il movimento storico-globale che ha visto il suo culmine col viaggio di ritorno di Magellano, ha realmente trasformato il nostro globo, in una sfera. Ma questa sfera, nel momento in cui è stata acquisita in quanto tale, quale monade geologica, è diventata anche l’ultima. L’acquisizione materiale della Terra quale luogo totalmente esplorato, conosciuto, acquisito, le cui mappe non presentavano più vuoti di conoscenze riempiti da mostri della fantasia, tale acquisizione è da considerarsi totale e sintetica. Essa ha unito in sé il pensiero teorico della sfera, quale era stato concepito da Parmenide e dal cristianesimo, a quello pratico della globalizzazione effettuata tramite navi e merci, scali in porti stranieri e guerre di conquista. Ma la grandiosità di quest’epoca si è conclusa quando la Terra ha imposto ai suoi abitanti, coloro che percorrono la sua superficie, la considerazione della propria limitatezza, unita al suo non essere inserita in uno schema immunitario d’inclusività globale. Gli uomini, da esseri fatti a immagine dell’unico Dio, che percorrevano per Suo volere la Sua creazione e che la dominavano sia materialmente che teoreticamente (quale luogo inserito in un ben preciso contesto cosmico, che la visione del mondo tolemaica pretendeva di conoscere perfettamente), diventano coloro che si rendono conto che il mandato del Dio cristiano può entrare in competizione con quello di altri déi, di altri sistemi immunitari.

 

Globalizzazione elettronica: è quella che si svolge attualmente nel mondo contemporaneo. Nell’ultimo stadio della globalizzazione i media non sono più tanto fisici (navi, galeoni) quanto telematici ed elettronici (onde radio, sistemi satellitari, televisione, internet, aerei).

 

Hamburger Banhof, Berlino, Città trasparenti

Hamburger Banhof, Berlino, Città trasparenti

 

Narrare ancora, in un mare di schiuma

 

Possiamo dunque dire che, dalla prospettiva sloterdijkiana, il concetto di sfera, e più precisamente di macrosfera, assume un duplice significato, ben determinato. A livello generale con macrosfera si intendono tutti gli agglomerati sociali derivati dall’aggregazione umana, che Sloterdijk tende a non chiamare società in quanto rifiuta le connotazioni tradizionali che questa ha secondo la sociologia e la filosofia politica classiche.

Ma il termine Macrosfera, in maniera più delimitata, descrive anche quella precisa formazione sociale che si è configurata in Europa a iniziare con la riflessione parmenidea sull’Essere perfetto e sferico, e che si è conclusa con l’acquisizione dell’immagine totale del nostro pianeta avvenuta in seguito alla globalizzazione terrestre.

Questa Macrosfera è stata un’entità storica dai contorni ben definiti, il cui sviluppo è avvenuto e si è definitivamente concluso.

 

La grande narrazione di Sloterdijk, di cui si è cercato qui a grandi linee di rendere conto, è una grande narrazione costruita per far fronte all’obiezione di Jean-François Lyotard: la struttura estremamente frammentata, formata da una proliferazione di capitoli, paragrafi, excursus, sezioni, intermezzi e l’ardita sperimentazione contenutistica, che affianca immagini e testo, trattazioni storiche e filosofiche, ma anche antropologiche, biologiche, etnologiche, estetiche e letterarie, è un modo per rispondere ai punti marchiati di impossibilità dal francese agli inizi degli anni ’70.

 

Sloterdijk costruisce con Sfere una grande narrazione postmoderna, che ci racconta la storia della nostra genesi e delle forme in cui abbiamo abitato – trovando per millenni la localizzazione del nostro “dove” – e la fine di queste forme, senza per questo pretendere (o anche solo darne l’impressione) di voler dire il Tutto.

Quello che Sloterdijk fa con Sfere è dire un tutto che ha rinunciato alle maiuscole, a partire da un preciso angolo argomentativo, teoretico e descrittivo, ma senza la pretesa che la grande narrazione possa essere metodologicamente e strutturalmente onnicomprensiva.

Attendiamo, a questo punto, con impazienza l’uscita della traduzione del terzo volume, che possa dare ai lettori italiani la mappa compiuta della storia occidentale – e della fine della storia, nel suo avvenire e dispiegarsi – à la Sloterdijk.

 

 

Per altre notizie e una completa bibliografia vedi l'ebook Doppiozero (collana Starter)

 

 

Antonio Lucci, Peter Sloterdijk

 

Leggi anche:

Igor Pelgreffi, Peter Sloterdijk. Stato di morte apparente

Antonio Lucci, Critica della ragion cinica

 

La filosofia su Doppiozero è Contemporanea a cura di Riccardo Panattoni

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