Sfide ai fornelli e piaceri televisivi

16 Marzo 2015

Lo sappiamo: l’uomo è ciò che mangia. Ma che cosa mangia? come lo mangia? quando? con chi? E, così facendo, che tipo di uomo diventa? Ecco una serie di domande a cui “Buono da pensare”, volume collettivo curato da Gianfranco Marrone per Carocci, prova a fornire delle risposte. Nella convinzione che, per poter fare una buona comunicazione sul cibo, la cucina, l’enogastronomia, occorra innanzitutto conoscerne gli aspetti culturali e storici, filosofici e semiotici. Da qui l’esigenza di costruire un ponte fra gli antichi aspetti antropologici del cibo e le attuali tendenze dei media vecchi e nuovi, di raccontarlo, discuterlo, interpretarlo. I ricettari e le guide gastronomiche, la pubblicità alimentare, le trasmissioni televisive sulla cucina, i film sul cibo, i blog culinari, ma anche le tendenze della dietetica, la forma spaziale dei ristoranti, il food design: otto originali capitoli per progettare tale ponte, intravedendone le fattezze.

 

I vari capitoli del libro sono di Alice Giannitrapani, Dario Mangano, Francesco Mangiapane, Gianfranco Marrone, Ilaria Ventura. Pubblichiamo qui un estratto del saggio di Giannitrapani sulla moda dei cooking show in televisione.

 

Masterchef USA

 

In principio fu il monopolio. Nel 1954, anno di esordio della tv in Italia, la Rai trasmetteva da un solo canale e in alcune fasce orarie. La tv pubblica, sulla base del modello britannico della BBC, si proponeva di informare, intrattenere e istruire il telespettatore, in un patto comunicativo di tipo essenzialmente pedagogico. L’azienda di stato assumeva su di sé compiti ambiziosi e importanti: contribuire a solidificare le fondamenta dell’Italia unita, coadiuvare il processo di alfabetizzazione degli italiani, far conoscere le bellezze del Bel Paese, fornire un’informazione quanto più possibile imparziale, concedere al pubblico momenti di evasione e di spettacolo che comunque dovevano rimanere equilibrati, misurati, senza eccessi. In questo quadro, nel 1957, nasce la prima trasmissione televisiva dedicata al cibo, il Viaggio nella valle del Po alla ricerca dei cibi genuini, con un Mario Soldati che, per dodici puntate, esplora la pianura Padana alla scoperta di sapori autentici e piccole realtà aziendali, manco a dirlo, a conduzione familiare. L’operazione che compie tale programma è doppiamente importante: da un lato, infatti, eleva il prodotto enogastronomico a “star” degna di entrare a far parte della realtà mediatica, dall’altro ne spiega le peculiarità, legandolo alla scoperta delle tipicità locali, alla cultura e, per certi versi, alla pratica turistica. La felice connessione tra discorso alimentare e pratiche vacanziere trova terreno fertile, e inaugura di fatto un filone che, lungo diversi esperimenti più o meno riusciti, congiunge il prototipo di Soldati ai più recenti Anthony Bourdain: Viaggio di un cuoco, Unti e bisunti etc.

 

Con la rottura del monopolio e l’ingresso delle tv commerciali modificano le regole della programmazione televisiva. La logica concorrenziale costringe la Rai ad adeguarsi all’ “americanizzazione” fatta propria dalle tv private: l’intrattenimento e il divertimento diventano prioritari, l’importanza di tenere appiccicato il pubblico allo schermo porta alla cosiddetta tv di flusso, basata sul tentativo di smussare le separazioni tra le diverse trasmissioni in modo da sfatare l’incubo del cambio di canale, reso più semplice dall’introduzione del telecomando. Negli anni ottanta, Sale, pepe e fantasia, condotto da Wilma De Angelis (antesignana di Benedetta Parodi), coniuga l’imperante logica commerciale a una componente utility, illustrando a ogni puntata ricette semplici realizzate con alcuni prodotti-sponsor sempre ben in vista. Con il tempo anche i generi televisivi perdono i loro confini definiti e tutti i programmi iniziano a essere filtrati, e lo faranno sempre più marcatamente, dall’entarteinment, vocato proprio a (in)trattenere il pubblico sul canale. È degli anni novanta, ad esempio, Kitchen, condotto da Andrea Pezzi e in onda su MTV, in cui il presentatore a ogni puntata si confronta con un ospite famoso: insieme eseguono una ricetta e nel frattempo chiacchierano di lavoro e vita privata.

 

Kitchen, Andrea Pezzi con Platinette

 

Con il nuovo millennio si assiste a un’ulteriore svolta. I canali tematici consentono di superare il concetto di palinsesto eterogeneo e variabile in base alle fasce orarie e ai giorni della settimana, affermando una programmazione omogenea, diretta a un pubblico meno generalista e sempre più di nicchia. Dall’altro lato si afferma, nell’ambito dell’intrattenimento, un nuovo sotto-genere, il reality show, che tenderà a cannibalizzare un po’ tutte le trasmissioni, permeandole del suo spirito pseudo-realistico e ammiccando allo spettatore voyeur. Nell’ambito di nostro interesse, questi fenomeni portano all’affermazione di canali come Gambero Rosso Channel e Alice, che propongono ventiquattro ore su ventiquattro programmi dedicati al cibo. D’altro canto format di successo vengono importati in Italia con esiti alterni in termini di audience e critica televisiva: Masterchef, naturalmente, ma anche The Chef, Ristoranti da incubo etc.

 

Tra ascolti stellari e raffinati gastronauti che proprio non riescono a digerire tanto successo (Petrini ha definito Masterchef un caso di “pornografia gastronomica”), il cibo oggi impazza in tv e si diffonde epidemicamente tra tv generalista e canali tematici. Impossibile proporre indagini esaustive al riguardo, difficile arginare il campo. Una prima distinzione riguarda sicuramente, da un lato, i programmi interamente dedicati alla cucina e, dall’altro, quelli in cui, pur parlando d’altro, il cibo assolve una funzione fondamentale. In molte fiction, per esempio, il modo in cui i personaggi si nutrono e i loro piccoli rituali legati ai pasti ne veicolano tratti identitari e valori profondi. Così, per l’arcinoto commissario Montalbano il pasto è un momento prioritario su cui focalizzarsi e magari intorno al quale far ruotare altre pratiche (le investigazioni possono rallentare di fronte a un succulento arancino); il cibo diventa il focus delle sue azioni, oggetto finale verso cui tendere e con cui fondersi; il consumo è solitario e silenzioso, proprio quasi a voler favorire una dilatazione temporale di questo momento fondamentale. Se per costui la refezione è lenta degustazione, progressiva assimilazione, crescente soddisfazione su cui concentrarsi, in Dexter invece il cibo rappresenta un mero nutrimento, un qualcosa di cui servirsi quando proprio non se ne può fare a meno. Mangiare è una pratica interstiziale, istantanea e comunque subordinata rispetto ad altre attività più importanti: Dexter trangugia un panino in macchina mentre è alla ricerca di qualche potenziale vittima, abbandona il suo pasto senza averlo terminato quando riceve una qualche telefonata di lavoro, consuma piatti veloci in luoghi sempre diversi. E proprio l’idea del cibo-nutrimento viene ripresa nella sigla per porre un parallelo tra due bisogni “fondamentali” del protagonista: la morning routine della colazione corre infatti in parallelo a un’altra pratica consuetudinaria e altrettanto ritualizzata, quella di uccidere.

 

Ancora, ne I Soprano, i piatti servono a rimarcare con forza la provenienza della mafiosa famiglia italo-americana protagonista della storia: i personaggi si nutrono di ingredienti rigorosamente italiani, frequentano ristoranti italiani, preparano pietanze italiane e osannano spesso la cucina delle origini. Ma, soprattutto, mangiano sempre: il protagonista è quasi ininterrottamente alla ricerca di un po’ di succo o di qualche fetta di prosciutto, apre e chiude il frigorifero di continuo, e questo gesto rituale diventa una marca che scandisce le sue azioni, così come il ritmo della puntata. Su questa scia, insomma, sarebbe interessante andare a guardare come lo stile di consumo alimentare di un certo personaggio fornisca indicazioni per la decodifica delle sue caratteristiche distintive.

 

The Sopranos

 

Ma anche a volersi soffermare soltanto sui programmi centrati sull’alimentazione, il panorama che ne viene fuori è quanto mai vasto, con esempi che coprono un po’ tutti i generi. Alcuni testi rientrano a pieno titolo nel campo dell’informazione, quel macro-genere in cui si forniscono al pubblico notizie relative alla realtà extra-televisiva, adottando tutta una serie di strategie comunicative volte a fornire un effetto di reale (si pensi a Eat Parade, rubrica del Tg2, o a Gusto, analoga appendice del Tg5). Numerosi sono anche i programmi centrati sull’educational, in cui, riprendendo l’idea di tv di servizio, l’obiettivo è quello di educare, istruire, far conoscere aspetti dell’enogastronomia declinata in questi casi in termini culturali (si pensi a quelle trasmissioni in cui il benessere si declina come corretto regime nutrizionale o a tutto quel filone di documentari alla scoperta delle abitudini alimentari altrui). Ci sono poi le fiction, testi basati su una forma di racconto che, contrariamente a quanto accade per l’informazione, presuppongono un patto comunicativo in cui vengono sospese le aspettative di verità. Nel 2012 la rete ammiraglia della Mediaset manda in onda Benvenuti a tavola, una fiction interamente centrata sul mondo della ristorazione, interpretata, tra gli altri, da Fabrizio Bentivoglio e Giorgio Tirabassi, nei panni di due proprietari di ristoranti, manco a dirlo, opposti tra loro. Infine, a far da padrone, è l’intrattenimento, quel macrogenere che, come abbiamo visto, si pone come obiettivo primario quello di divertire il pubblico, e che assume diverse forme (game show, talk show, reality etc). Da Masterchef a Bake off, passando per Il boss delle torte e Hell’s Kitchen, l’intrattenimento e il cibo sembrano legarsi in maniera indissolubile.

 

In realtà, una classificazione delle trasmissioni enogastronomiche per genere non può che essere un punto di partenza, valido spesso in linea di principio ma discutibile e confutabile negli effetti analitici. L’ibridazione, il mix di generi, infatti, è ormai la norma in televisione. Obesi: un anno per rinascere è un reality, ma sconfina verso l’educational: le puntate mostrano, infatti, non solo le storie di diversi casi umani in cui l’eccesso di cibo è divenuto condizione patologica, ma anche, sorta di sempre sotteso monito educativo, gli enormi sacrifici cui sono costretti a sottoporsi i protagonisti per ripristinare una buona forma fisica. Allo stesso modo in Unti e bisunti, chef Rubio sfida un esperto di cibo di strada in una gara ai fornelli (caratteristica esemplare del game show), ma allo stesso tempo fa conoscere tipicità enogastronomiche locali (e siamo ancora all’educational). E gli esempi potrebbero facilmente continuare. D’altro canto, a complicare questo già contorto panorama intervengono le complesse reti e connessioni che i diversi testi televisivi instaurano tra loro, finendo più o meno esplicitamente per richiamarsi l’un l’altro, per accavallarsi sotto certi aspetti: la Parodi invita come ospite Cracco, uno dei giudici di Cuochi e Fiamme diventa caposquadra di The Chef, Barbieri è giudice di Masterchef e Masterchef Junior, Bastianich presenta anche un programma a tema musicale distaccandosi dal culinario etc.

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