Spazio come Matrice
Intersezionalità è una delle parole che ho appreso attraverso una lingua straniera, interesectionality.
Il termine si riferisce ad una prospettiva della critica sociale che analizza le diseguaglianze come forme diverse ma correlate di vantaggio (e svantaggio) di un gruppo sociale nei confronti di un altro. In quest'ottica fenomeni che molto spesso sono stati studiati settorialmente, vengono invece messi in relazione.
Il termine è entrato a far parte della letteratura sociologica negli anni Ottanta grazie al lavoro di Kimberlé Crenshaw, i cui studi per primi hanno indagato come le sovrapposizioni e le intersezioni tra le diverse identità sociali si relazionino con i sistemi e le strutture di diseguaglianza, discriminazione, dominio e oppressione.
Crenshaw è un avvocato, e i suoi studi all'epoca muovevano da una falla nel diritto americano, nel quale le leggi antidiscriminazione consideravano separatamente il genere e la razza. Come conseguenza le donne di colore, come Crenshaw, sperimentavano forme di discriminazione diverse e concomitanti senza che la legge sapesse definire queste sovrapposizioni come una forma precisa di reato, e sapesse perciò dare loro giustizia.
Collegare, comprendere la complessità dei differenti livelli di relazioni sociali che concorrono simultaneamente a definire lo spazio è l'oggetto di una piccola, ma importante mostra, che ha aperto da alcuni giorni al Politecnico di Zurigo a cura di Niels Olsen, Fredi Fischli e Geraldine Tedder (gta exhibitions) intitolata "Space as Matrix", spazio come matrice, dove il concetto di matrice è pervasivo, e incrocia il lavoro di diversi architetti e artisti che hanno indagato e contestato la gerarchizzazione dello spazio e le relazioni che ne derivano.
"Space as Matrix" fa riferimento al titolo di un saggio di Susana Torre, apparso nel 1981 all'interno di un numero della rivista newyorkese HERESIES intitolato "Making Room, women and architecture", in cui si indagano il significato e il ruolo delle forme simboliche tra architettura e società. Come può un'immagine diventare una forma simbolica? Secondo Torre questo avviene quando una serie di fattori sociali, economici e culturali vengono rappresentati contemporaneamente dall'immagine stessa.
La casa, ad esempio, è una delle più potenti forme simboliche che conosciamo. Essa incarna l'idea dell'abitare, cioè tutti quei valori e quelle gerarchie che regolano le modalità di relazione all'interno del nucleo familiare, e tra esso e l'esterno. I soggetti che regolano l'idea di casa perpetuano e rafforzano attraverso le forme, l'immagine e la struttura della casa stessa, e quella che Torre chiama l'ideologia.
Centrale nella pratica teorica e architettonica di Susana Torre è il progetto “The House of Meaning” (la casa del significato), che mette in discussione la tipologia della casa unifamiliare come generatrice di tanti stereotipi, primo fra tutti la divisione del lavoro domestico. La forma simbolica scelta per rappresentare una concezione nuova della casa è quella della matrice. Nella matrice le stanze si giustappongono, le gerarchie spaziali (interno-esterno, privato-pubblico, individuale-condiviso) saltano, portandosi dietro anche quelle familiari e sociali.
Il lavoro di Matrix Feminist Design Co-operative è anch'esso centrale nell'economia della mostra zurighese. Matrix è stato un collettivo attivo a Londra tra il '78 e il '94 che si proponeva di ripensare non solo gli spazi per le persone in una direzione più inclusiva, ma metteva in discussione anche il modo in cui fare architettura. Gran parte del lavoro svolto aveva come protagoniste le donne, sia nella composizione del gruppo di lavoro, in cui almento il 70% era femminile, sia nelle politiche intraprese, con un significativo investivento rivolto a pratiche educative. Teoria e pratica venivano tenute insieme. Allo stesso modo architetto e abitante erano chiamati a interagire.
In mostra un lungo video mostra il processo alla base del progetto per il centro Jagonari. Nato dall'iniziativa di gruppo di donne del Bangladesh dell'East End londinese per la creazione di un luogo per la conoscenza e la ricerca dell'identità femminile, Jagonari (letteralmente Alzatevi donne) era stato concepito da Matrix insieme alle sue fondatrici come uno spazio ibrido, laico, in cui donne di fedi e culture asiatiche diverse potessero incontrarsi. Jagonari forniva corsi di formazione, sostegno legale ed emotivo contro la violenza domestica, aiuto per la cura dei figli, oltre al fatto di essere anche solo un punto di incontro per tutte le donne asiatiche. Jagonari è stato il primo progetto di Matrix e ha rappresentato un'esperienza seminale per il collettivo.
Il Centro tuttavia non è certo nato dal nulla. Storicamente, gli anni '80 sono stati un periodo di significativa politicizzazione per la comunità sud-asiatica dell'East End, dopo l'omicidio a sfondo razziale del giovane Altab Ali Baig, avvenuto nel 1978 mentre tornava a casa. Un evento che ha rappresentato uno spartiacque per gli immigrati di seconda generazione, che in quegli anni hanno iniziato a organizzarsi come attivisti. Jagonari, nato nel 1987 con i finanziamenti pubblici del Greater London Council, è rimasto attivo fino al 2015, per poi convertirsi per mancanza di fondi in un asilo privato.
A metà degli anni Novanta l'attività di Matrix si esaurisce con le conseguenze del Tatcherismo, che aveva tagliato quei sussidi alla base della loro attività. È solo un anno dopo il suo scioglimento nel 1994, che nasce muf, uno studio a metà tra la pratica artistica e architettonica che nelle sue stesse parole "crea spazi per più di un soggetto (fragile) alla volta", e che "deliberatamente descrive il proprio lavoro lasciando un certo grado di vaghezza, di ambiguità, un'apertura che dia la possibilità a ognuno di poterlo leggere in modo differente e complementare".
Di muf in mostra c'è soprattutto l'Altab Ali Park (2011) a Whitechapel, dedicato proprio alla memoria Altab Ali Baig e che, come un filo rosso, collega l'attività dei due studi di architettura londinesi. L'Altab Ali Park sorge su quello che era noto come St. Mary's Park, nel quale l'antica chiesa di St. Mary Matfelon, con la sua bianca capella, dava il nome all'area di Whitechapel, e di cui poco rimane dopo i bombardamenti del 1940. Il parco è concepito da muf come luogo d'incontro per la comunità bengalese e nella sua ideazione hanno rivestito un ruolo centrale la vicenda e il significato di quell'omicidio per la comunità asiatica, le storie dei suoi abitanti, assieme ad una serie di aspetti che fanno parte di quello che chiamiamo il patrimonio culturale immateriale (intangible heritage). È singolare e sintomatico che nelle intenzioni degli architetti il parco nascesse da una matrice religiosa e laica (a matrix of the religious and the secular).
Ancora oggi, il 4 maggio di ogni anno, anniversario della morte di Altab Alì, convergono nel parco centinaia di leader della comunità, attivisti e militanti antirazzisti in solidarietà contro il razzismo e l'estremismo nell'East End.
Due lavori video completano la matrice che struttura anche fisicamente l'esibizione: Cinesexual (2014) di Ursula Meyer e Another Decade (2018) di Morgan Quaintance.
Meyer annulla la dialettica spettatore/spettacolo filmando lo stesso spazio da due lati opposti e proiettando i video sulle due facce dello schermo. Il "dove siamo?" fa saltare la dialettica soggetto/oggetto, mentre nel "chi siamo?" le identità si dissolvono.
Il video di Quaintance è un montaggio di materiale di archivio sulla Londra degli anni Novanta, quella del Britpop e del New Labour. Le immagini, sulle quali spesso scorre una splendida musica disorientante, si avvicendano disomogenee, e compongono una narrazione diversa (another), fatta di esperienze di emarginazione. Cosa vogliamo ricordare di quel decennio? La memoria storica è selettiva e sbadata allo stesso tempo.
"Space as Matrix" messe insieme lavori che ridiscutono i canoni partendo dalla vita quotidiana, dall'esperienza di ognuno di noi. L'architettura in mostra è quella lontana dai riflettori, e dai grandi investimenti. Si raccontano pratiche rivolte a coloro che normalmente sono esclusi dai processi decisionali, o dalle ideologie dominanti: donne in contesti patriarcali, bambini negli spazi pubblici, migranti. Architetture che tengono conto di una società plurale, in cui i fenomeni sono correlati, e hanno bisogno di essere compresi nella correlazione con cui si manifestano, che mettono in discussione la relazione che esiste tra lo spazio e le persone che lo abitano, e sottolineano l'importanza degli spazi stessi nelle dinamiche relazionali tra gli individui.
Seppure il vocabolo intersectionality sia nato negli Stati Uniti quarantanni fa, all'incrocio tra esperienze di giurisprudenza e femminismo, e abbia mantenuto nel tempo forti radici nelle scienze sociali in lingua inglese, sembra giunto il momento di tradurre e approfondire gli studi intersezionali, in sociologia come in architettura, nella nostra lingua.
Space as Matrix
gta Exhibition / ETH Zürich, Hönggerberg
28 Settembre - 9 Dicembre 2022