Stefano Catucci. Imparare dalla luna

5 Febbraio 2014

Il lancio del primo Sputnik nel 1957 suscitò una grande impressione, tanto che l’impresa venne salutata da Hannah Arendt come “un vero spartiacque nella vicenda della modernità: il momento in cui gli uomini avevano cominciato a pensare di poter fare a meno del proprio pianeta”. In realtà questo non avvenne, perché la Luna rimaneva un corpo oggettivato: Körper, in termini fenomenologici. Un oggetto dato, incapace di modificare il nostro rapporto con l’esperienza e quindi di farsi soggetto di esperienza, matrice costituente. Il luogo della nostra vita continuava a essere la Terra che, per questa ragione, non poteva essere trattata semplicemente come un Körper, un’alterità inerte, essendo suolo (Boden) della nostra esperienza. Proprio questo suolo, che non può mai essere completamente oggettivato, che partecipa attivamente ai processi di costituzione dell’esperienza, è alla base dell’esperienza paesaggistica, che continua a essere essenzialmente terrestre.

 

 

Nel suo Imparare dalla Luna (Quodlibet) Stefano Catucci non si limita però a descrivere lo status quo, ma rileva anche, con lucidità, senza scivolare nei toni della nostalgia, le opportunità mancate. Perché la Luna, anche grazie a un particolare tipo di fotografie, dette Earthrise, che pongono il nostro satellite naturale non in una condizione di isolamento, ma di relazione con la terra, avrebbe potuto candidarsi a diventare Boden. La Luna come orizzonte, capace di inaugurare una nuova prospettiva dello sguardo. Le immagini di tipo Earthrise fanno intravedere la possibilità di “avviare la Luna verso l’integrazione in un’esperienza paesaggistica”. Ma presto questa opportunità perde consistenza, parallelamente alla perdita d’interesse nei confronti della Luna, che, anche a causa di processi di domesticazione e di progressiva riduzione della sua peculiare alterità, diviene sempre meno attraente agli occhi dei terresti.

 

 

Prende in fretta il sopravvento un altro tipo d’immagine, The Blue Marble, in cui la Terra appare isolata e, grazie all’illuminazione favorevole, liscia e perfetta come una “biglia blu”. Si potrebbe anche dire “inerme” come una biglia blu: privata di qualsiasi riferimento, la Terra appare simile a un maestoso e irrelato monumento, senza memoria e senza vita. Niente di più simile a un Körper. Non stupisce che un oggetto con questa “precisione estetica e informativa” si sia prestato a divenire l’oggetto d’indagine privilegiato degli studi naturalistici e scientifici. Catucci va oltre e introduce un tema tanto interessante quanto trascurato: la priorità che è stata accordata alla natura sul paesaggio, alla coscienza ecologica e ambientale rispetto a quella paesaggistica. Spesso anche per una radicata scorrettezza terminologica, che tende a non distinguere i termini. Non è pedanteria accademica, semplicemente natura e paesaggio non sono sinonimi: “La natura si fa paesaggio quando partecipa alla costituzione di un’esperienza di senso, collabora all’individuazione di un orizzonte, stimola un’autoriflessione che, nella piccola o nella grande dimensione, prende la forma di una meditazione sulla condizione umana…”.

 

Il trionfo di The Blue Marble su Earthrise rappresenta il trionfo di una mentalità diffusa che tende a preservare i singoli elementi naturali e artificiali, perdendo di vista l’importanza delle relazioni, delle connessioni, del contesto. Un simile modo di vedere ha indubbiamente favorito lo scadimento del paesaggio, con relativa perdita per il soggetto delle possibilità di orientamento e di identificazione. Con le parole dell’autore: “Earthrise si è collocata sul limite estremo di un’illusione cosmopolita, universalista, coltivata in un sogno da cui The Blue Marble ci ha risvegliato riportandoci alla realtà delle minacce alle quali è esposto il nostro pianeta per diventare quell’icona della nuova sensibilità ecologica che Earthrise, invece, non poteva diventare”. “Imparare dalla luna” significa dunque non arrendersi alla semplificazione, alla riduzione delle proprietà che sfuggono la possibilità di essere quantificate. Significa scegliere di preservare la complessità, la ricchezza, la relazionalità e acquisire coscienza della potenza vitale di queste dimensioni. Il rischio, altrimenti, è di fare come i mendicanti di Ernst Jünger, che camminano ignari in mezzo a una bellezza inesauribile.

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