Twitter macchina narrativa
È finita così, dopo 2797 tweets. Lo scorso 29 marzo il capitano Robert Falcon Scott (@CaptainRFscott) ci ha lasciati. Ha scritto le ultime righe del suo diario ed è morto. Esattamente come era accaduto in una tenda sull’altopiano antartico cento anni fa. Leggere quest’ultimo tweet “Last entry. For God’s sake look after our people”, per chi ne aveva seguito la storia, è stato come leggere la parola Fine al cinema. C’è qualcosa di terribile e assieme potente, in questo tweet. È la stessa forza che Roland Barthes, in Camera Chiara, riconosce nella fotografia del giovane condannato a morte Lewis Payne, fotografato da Alexander Gardner nel 1865:
Roland Barthes, commenta: “È morto. E sta per morire”. Guardando questa foto e leggendone la storia sappiamo che il giovane Lewis è morto da tempo, eppure la foto lo coglie nell’attesa della morte e per noi, mentre lo osserviamo, “sta per morire”. È a questa immagine che ho pensato la notte del 29 marzo, quando ho letto l’ultimo tweet di Sir Falcon Scott: “è morto e sta per morire”. Scott era morto esattamente cento anni prima, ma quella notte, stava per morire di nuovo. Le parole del tweet, prese dal suo diario, scritte in prima persona, risuonavano nella mia testa non solo come vere, ma “come se” stesse accadendo in quel momento. Scott stava morendo di nuovo.
È nel “come se” che risiede tutta la forza di quel tweet, e, più in generale, tutta la forza dei medium come strumenti di narrazione, detonatori della nostra immaginazione. Era stato il sociologo inglese Roger Silverstone a descrivere questa facoltà dei media, in Perché studiare i media (1999), in cui aveva intravisto l’aspetto ludico, la capacità di aprirci al “come se” del mondo.
Il gioco dietro la narrazione di Falcon Scott su Twitter è vecchio quanto l’uomo: “Facciamo come se Scott fosse ancora vivo e potesse twittare dal polo sud” e si chiama fiction. Basta soltanto crederci, basta che il lettore, come sosteneva Coleridge, “sospenda volontariamente l’incredulità” per poter godere dell’esperienza estetica del romanzo, e, per estensione, di un film o di un tweet.
Di Twitter si è sempre parlato molto in relazione al racconto della realtà, alla cronaca in diretta di eventi presenti, a come sta cambiando il giornalismo e le relazioni tra lettori e giornale. Twitter è nato per raccontare la realtà. Eppure, come tutti i vecchi e i nuovi medium di ogni epoca, oltre a raccontare la realtà è anche lui capace di mentire, o fingere, se preferite.
Twitter come piattaforma finzionale, né più né meno di tutti gli altri medium che lo hanno preceduto. Forse la più “povera” piattaforma finzionale mai inventata, ancora più povera della radio. Una piattaforma dalla temperatura bassissima, un medium freddissimo, per usare un’espressione di McLuhan che pochi hanno davvero capito fino in fondo. Un medium è freddo quando lascia spazio all’immaginazione, quando il messaggio che porta con sé necessita di essere completato da chi lo riceve. La televisione degli anni sessanta era freddissima, per via di quell’immagine sgranata e in bianco e nero, che comportava un gran lavoro da parte dell’utente, per ricreare un’immagine completa del mondo rappresentato elettronicamente. La tv in hd di oggi invece è caldissima. La radio dal punto di vista sonoro era caldissima, perché esauriva il senso dell’udito senza richiedere sforzi, ma era fredda dal punto di vista dell’immagine, di cui mancava completamente.
Una storia raccontata alla radio era più fredda di una raccontata in tv o al cinema, perché lasciava al “lettore” più spazio di manovra per riempire di dettagli il mondo della narrazione. Un romanzo è ancora più freddo, perché non fornisce né voce né immagini ai personaggi che crea. E così il tweet di Scott: c’è tutto un mondo immaginario da ricostruire, attorno a quel tweet, pescando dal proprio serbatoio di memorie, cultura, esperienze. Il successo del profilo Twitter di Scott dimostra che l’uso narrativo di Twitter non solo è possibile, ma ha un grande potenziale, anche se, paradossalmente, non fa che riportare in vita l’esperienza estetica del romanzo d’appendice, del feuilletton, e dei format seriali più in generale.
Gli esperimenti narrativi che stanno emergendo su Twitter dimostrano che il mezzo può vivere di vita propria, come medium in sé, non solo come elastico per far rimbalzare gli utenti verso altri medium. E questa vita propria ha più respiro su esperimenti narrativi, più che sull’informazione e le notizie, che hanno bisogno di spazio per spiegare la realtà, ad eccezione delle cronache in diretta di un evento, situazione in cui il racconto in tempo reale su Twitter prospera e non ha bisogno di rimandare a nessun altro medium.
D’altronde Twitter non è affatto nuovo a queste declinazioni narrative, anzi. Solo che ultimamente, soprattutto in Italia, ne abbiamo osservato una certa effervescenza.
Già quasi tre anni fa, il 14 novembre 2009, Serena Danna sul Domenicale del Sole24 Ore aveva lanciato l’operazione Twitteratura, chiedendo a scrittori italiani e lettori di scrivere un racconto in 140 caratteri, ma l’operazione si esauriva nello spazio di un solo tweet per autore, mentre abbiamo visto poi che le operazioni narrative di maggior successo hanno adottato la forma della serialità. Tra i primi format seriali di edu-tainment c’era stato il caso di un ex studente di storia a Oxford, Alwyn Collinson, che ha twittato maniacalmente tutta la seconda Guerra mondiale (@WwarII), giorno per giorno. La storia è uno di quei domini in cui questo uso di Twitter è particolarmente efficace.
Recente è il caso del racconto dell’ultimo viaggio del Titanic per celebrarne i cento anni dall’affondamento e il racconto di un compagno d’avventure di Scott, Ed Shackleton (@eshackleton). In Italia però i casi recenti più interessanti sono quelli legati allo sport e alla letteratura. Una vera opera di rievocazione storica in formato fiction è quella di @giro1946, la cronaca in “tempo reale”, usando a piene mani documenti storici dell’epoca, del Giro d’Italia del 1946, famoso come “il giro della rinascita”. Un esperimento che ci restituisce, per frammenti, l’atmosfera dell’Italia appena uscita dalla guerra, meglio di tante fiction televisive.
Contemporaneamente altri esperimenti di storytelling sportivo stanno ri-narrando “in tempo reale” i mondiali del 1982 (@ilmundial82 e @Futbologia82). Al di là del sapore retromaniaco che anima queste operazioni, ogni tweet apre casualmente a una serie di rimandi notevoli con l’attualità, dal calcio scommesse, alla crisi economica, alla politica estera, al modo di fare giornalismo e di trattare la nazionale di calcio.
Più letterari invece gli esperimenti di @Torinoanni10, che ha lanciato la riscrittura integrale de La Luna e i Falò di Cesare Pavese (@pavesecesare) e i @fratelligrimm, creati dal Goethe Institut di Roma per riscrivere con i followers le loro fiabe più famose e celebrare così la natura collettiva delle fiabe dei Grimm in occasione dei 200 anni dalla loro prima pubblicazione.
Oltre alla rievocazione storica in tempo reale e alla riscrittura collettiva o individuale di testi già esistenti, un terzo uso narrativo di Twitter si va consolidando, ed è la scrittura per sé, anche se quest’ultima applicazione è quella più complessa. Il primo scrittore a proporre su Twitter un intero romanzo pare sia stato l’americano Matt Stewart; nel 2009, stanco dei “no” delle case editrici decide di frammentare la storia in tweet e pubblicarli. L’esperimento riesce, tutti i giornali cominciano a parlare di lui, così nel 2010 la Soft Skull Press pubblica, finalmente, il suo romanzo. Ma se il primo che lo fa diventa una notizia in sé, non è detto che la pratica sia di per sé efficace una volta passata la moda. Eppure ci sono scrittori affermati che hanno preso l’uso di Twitter come macchina narrativa molto seriamente. Jennifer Egan, premio Pulitzer per la narrativa nel 2011 per il suo magnifico Il tempo è un bastardo, ha iniziato il 24 maggio a pubblicare un racconto in tweet attravero l’account del New Yorker (@Nyerfiction). Il racconto s’intitola Black Box. Il primo tweet era questo: “People rarely look the way you expect them to, even when you’ve seen pictures”.
Non solo emergono format seriali adatti alla fruizione su Twitter ma emergono anche tecnologie che ne permettono il godimento non disperso nei flussi di tutti gli altri tweet. Un po’ come era accaduto per il romanzo d’appendice quando dal giornale era stato riformattato per la pubblicazione autonoma, così per Twitter esistono strumenti appena nati, come Tweet-book (@udieci, www.tweet-book.it) che trasformano il flusso di tweet attorno ad un tema o hashtag in un libro autonomo, che mantiene la memoria dello streaming di tweet dispersi nelle nostre timeline. Dalla forma papiro della lettura quotidiana di Twitter si passa alla canonica forma libro, più adatta alla lettura. Non si inventa nulla, tutto si ricrea, oppure, più semplicemente, Twitter sta ripercorrendo le tappe dei medium del passato, quando i vecchi media di oggi erano i nuovi media dell’epoca, ovvero sta ri-mediando tutte le forme e i linguaggi precedenti, così come la radio ha ri-mediato il teatro nel radiodramma, la televisione la soap radiofonica nello sceneggiato televisivo, il computer la televisione in YouTube e via discorrendo. Così come Rudolph Arnheim scriveva nel 1934 un saggio sulla radio intitolato La radio cerca la sua forma, oggi potremmo scrivere un saggio simile sostituendo “Twitter” alla parola “radio”, perché in fondo, abbiamo sempre avuto bisogno di giocare, con tutti i mezzi a disposizione, al “come se” del mondo.
Tiziano Bonini (@tbonini)