Voci

22 Gennaio 2013

Le voci delle radio si assomigliano tutte. Lasciamo stare quelle istituzionali, da nomenclatura, della radio di stato (con l’eccezione delle pastosette voci intellettuali di Radiotre) o quelle più sbrigliate ma per curriculum “serie” di Radio24 o quelle finto-naif-incespicanti di Radio Popolare. Qui ho in mente le voci delle radio private di “intrattenimento”, quelle che fanno da sfondo sonoro a chiunque si trovi a maneggiarne i canali durante la giornata. Ignoro chi possieda quelle voci, ma tutte indistintamente danno l’impressione di collocarsi in un’area anagrafica che sta tra i trenta e i quaranta anni inoltrati. Maschili o femminili che siano, appartengono a un orizzonte di eterna adolescenza, contrassegnata dal cazzeggio permanente con risatine, gusto del doppio senso, continua allusività a copule fatte o da fare, gioco delle parti tra i generi (“Noi uomini”, “Noi donne”). Le connota una morbida amichevolezza, anzi una disponibilità immediata e senza ombre ad esserti vicino.

 

Nella logica di chi le vuole ascoltare e di chi le propone, le voci rispondono all’obiettivo di “rilassare”. Devono allentare le tensioni, introdurre spazi di divertissement, distrarre automobilisti nevrotici, accompagnare lo svolgimento di lavori casalinghi ripetitivi. Così i loro interventi si accavallano secondo la cerimonia della conversazione degli ex- giovani, ripetendo lo schema del pub, di cui sono l’evidente correlativo, come mostrano il feticcio della birra o dell’aperitivo continuamente evocati, ma anche il ricorso ad un linguaggio aperto ai gergalismi, alle parole di origine calcistico-giornalistica, a quelle inglesi di moda. Per precisa volontà, è bandito qualsiasi eccesso di serietà, o, anzi, qualsiasi serietà. Il lazzo e lo sbeffeggio sono destinati a chi ammorba l’atmosfera con simulata esibizione di erudizione, ma anche a chi cerca vie diverse dalla mediana per far sorridere. Il pensiero sembra il loro grande nemico, il vero estraneo al palinsesto. Unica concessione alla “cultura” è l’aneddoto curioso, di solito pescato tra le notizie in Rete e quasi invariabilmente legato alla sfera della corporeità e del sesso in particolare. Sua alternativa soft è il “gossip”, proposto con soffice indulgenza mescolata a curiosità leggera.

 

Il rapporto delle voci con i “brani musicali” con cui si alternano incessantemente risponde allo stesso spirito. Si rifugge da qualsiasi prodotto che possa andare oltre i binari di quella medietas che le voci stesse rappresentano e, nel contempo, contribuiscono a creare. La musica - pop preferibilmente – deve far moderatamente sognare, moderatamente riflettere, moderatamente soffrire.

Come un tessuto che ci avvolge senza mai esaurirsi, le voci accompagnano la giornata stando rigorosamente dentro l’orizzonte di attesa in cui ci muoviamo tutti. Ci dicono quello che tutti diciamo e pensiamo. Così il mattino è sempre difficile per via del risveglio e dell’abbandono del letto, Il mezzogiorno è l’anticamera della piacevole ma frettolosa “pausa-pranzo”, la fine del pomeriggio è il preannuncio del ritorno a casa, nel caldo conforto della famiglia e nell’attesa dell’inevitabile partita di calcio. Nonostante qualche sfondamento, queste voci si eclissano però nelle ore notturne, per lasciare spazio a soggetti che alludono a vaghe trasgressività, oppure che incarnano ruoli galeotti, con scelte musicali atte a favorire accoppiamenti di stile.

 

Durante le ore diurne, le voci adorano fare considerazioni sul tempo, senza mai andare oltre la constatazione di quanto sia fastidiosa la pioggia e di quanto il sole metta allegria e voglia di aria aperta. Questa passione per il meteo ha determinato il reclutamento tra le voci dei responsabili delle previsioni, annullando l’ingessata distanza che li separava dai non addetti ai lavori. Ed è questo in effetti l’obiettivo degli interventi delle voci, colmare le distanze, farci sentire tutti dalla stessa parte, smussando le punte in alto o basso che siano, schiantando le differenze in nome di quello stesso atteggiamento emotivo che percorre le classi scolastiche, tradizionali nemiche delle diversità.

 

Supremo idolo delle voci è il fine settimana, atteso già il mercoledì. È qui che si svelano completamente per quel che rappresentano. Ovvero un impiegato/a di buon livello, di media cultura, simpatico ed estroverso, leggermente sportivo (calcetto per gli uomini, fitness vario per le donne), amante dei film di buon senso che guarda prevalentemente in tv, poco appassionato di politica, lettore di ridotto impegno. Le voci sanno che il week end è il mondo sottratto alle leggi del dovere, quel mondo che loro cercano di ricreare in ogni istante della settimana con la giocosità e la scherzosità permanenti. Il sabato e la domenica vengono fantasticati come momenti in cui si può dormire fino a tardi se single, dormire fino a tardi abbracciati se conviventi, dormire un po’ meno ma giocare con i bambini nel letto se genitori. Il fine settimana è il momento delle uscite deodorate per le vie del centro, del centro commerciale, dei pranzetti, delle cenette, dei giardinetti, del cinema (multisala), della gita, del match di livello della squadra del cuore. Il fine settimana è il tempo ritrovato, quell’atemporalità da stato di natura vagheggiato tutto l’anno nelle immagini caraibiche delle agenzie di viaggio.

Il fine settimana è la prefigurazione in sedicesimo del Mito della Vacanza, vero asse attorno a cui ruota l’universo delle voci radiofoniche.

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