Il godimento degli animali
C’è una forza che ci guida nel comporre il mosaico della vita, la forza del piacere. Anche “se la natura non persegue la nostra felicità”, “godimento e benessere” ispirano l’azione di ogni vivente, consciamente o meno. La vita non è il regno brutale della forza e della sopraffazione, percorso dall’esclusivo fine di fare spazio a chi è meglio attrezzato per momentaneamente esercitarvi il proprio dominio. La vita, all’opposto, è la combinazione casuale di interazioni tra chi è emerso dall’inerte all’esistenza, un continuo gioco di incastri, di formulazioni e di riformulazioni di organismi alla ricerca di soluzioni adattive. L’evoluzione è mossa dal caso, dove nulla è mai per sempre. Un fluire di forme, di soluzioni e di disfatte che, da quattro miliardi di anni, non produce “una sinfonia che affina le procedure organiche epurando i geni”, ma piuttosto procede a “una narrazione che moltiplica gli intrecci della materia e tende a rinnovare costantemente gli equilibri tra i viventi”.
La vita è fatta di incontri, di interazioni, di amori, di ricerca di partner. Siamo fatti – che si sia un gerbillo o un sapiens – per cercarci. Con quale fine? Secondo Thierry Lodé, biologo ed ecologo francese (di cui ora possiamo leggere Accoppiamenti bestiali, proposto da Carocci con la traduzione di Francesca Romana Andreotti), la risposta è una sola: provare piacere. Certamente ciascun vivente mira a dare continuità al proprio patrimonio genetico, a sopravvivere. Ma il primo motivo per cui stiamo al mondo è godere con l’altro da noi, non andare alla ricerca di “geni buoni”. L’equivoco nasce dal sesso. L’opinione comune – dalle profondissime radici culturali – è che l’atto sessuale abbia come finalità la riproduzione. Il piacere sarebbe un’appendice, o una “causa prossimale” della copulazione. Ma non è così. I termini devono essere rovesciati. È la riproduzione sessuale ad essere un necessario accidente, una sorta di più o meno fortuita evenienza. Mentre è il piacere il vero obiettivo degli amplessi.
È stato il gioco evolutivo a sovrapporre l’atto sessuale al piacere, facendoci dimenticare che il sesso è il modo peggiore per riprodursi. Sembrerebbe una boutade. Però Lodé sottolinea che il sesso “sperpera smisuratamente energia”, basti pensare che la meiosi getta la metà del materiale genetico della coppia. Inoltre richiede uno sforzo di eccitazione, ed espone a uno stato di vulnerabilità e di seminarcosi. Di fatto “il sesso complica l’atto riproduttivo”, è una procedura poco ragionevole, “strampalata”, con tutta evidenza meno efficace della strategia dei batteri, che moltiplicano la propria popolazione “senza emozione e senza sforzi”, riproducendosi in modo asessuato per scissione binaria. Come fanno gli anellidi che si riproducono staccando pezzi da sé. Del resto anche molti eucarioti (le specie dotate di un nucleo cellulare), come il geco comune, si riproducono per partenogenesi, ovvero si moltiplicano senza fecondazione, senza cromosomi maschili.
Ciononostante, il 95% degli eucarioti pratica sesso. Che, a ben vedere, appare come l’obiettivo fondamentale della vita. La sessualità attrae tutti. È così gratificante che la praticano pure alcuni protisti (eucarioti elementari), come i parameci, le vorticelle e le amebe, che possono tranquillamente riprodursi senza sessualità. Il sesso rimane allora “l’ultimo enigma della biologia” e impone una domanda: perché l’evoluzione, di solito “parsimoniosa”, ha favorito una procedura così dispendiosa?
Lodé evidenzia che nel cammino evolutivo – un cammino senza direzione – è successo qualcosa. A un certo punto il sesso si è saldato al piacere. Ovvero uno dei modi attraverso cui gli organismi si riproducono si è indissolubilmente legato a un’esperienza straordinaria, in cui “le tenui emozioni dei nostri corpi si sono progressivamente strutturate, amplificate, rinforzate”. L’evoluzione ha costruito una parte del vivente con lo scopo di cercare partner attraverso la strada maestra del piacere. E questo vale per sapiens e per qualsiasi altro animale. L’orango di Sumatra cerca il piacere; il leopardo cerca il piacere; il bonobo vive per il piacere. Citando Jacques Brel, Lodé riconosce che “bisogna pure che il corpo esulti”.
Da quando si è creata questa situazione? Pur essendoci una sorta di predisposizione all’interazione, testimoniata dalla teoria delle “bolle libertine”, protocellule che già due miliardi di anni fa si scambiavano materiale genetico, all’origine della sessualità c’è la viviparità. Bisogna quindi risalire al passaggio alla fertilizzazione interna, avvenuta durante l’Ordoviciano, 485 milioni di anni fa, in coincidenza con l’abbassamento delle temperature sulla superficie terrestre. Mentre negli animali maschi compare l’organo erettile, il phallodeum, l’allontanamento dalla vita acquatica fa nascere la necessità di proteggere l’embrione.
Così gli organi femminili si trasformano e compare la placenta con cui le sostanze nutritive materne sono diffuse nel sangue fetale. Secondo la definizione di Stephen Gould, siamo in presenza di un “exattamento”, cioè di “una variazione funzionale di un tratto di carattere che assume un’altra funzione”. L’embrione, protetto dall’ovulo amniotico, il “suo piccolo mare personale di acqua salata”, diventa indipendente dall’ambiente esterno. Ma la gestazione si fa più lunga.
Il problema della viviparità è la diminuzione delle discendenze: mentre il merluzzo nordico produce milioni di uova, la salamandra partorisce al massimo due cuccioli, l’elefante uno solo. Di fronte a un calo della capacità riproduttiva la risposta è stata la sovrapposizione di sesso e piacere, culminante nell’orgasmo, riflesso ancestrale dell’espulsione dei gameti. Detto altrimenti: diventa importante accoppiarsi più frequentemente possibile per alzare la possibilità di assicurarsi una prole. La viviparità ha favorito la moltiplicazione degli accoppiamenti, soprattutto nelle specie a basso tasso di riproduzione. Il risultato è la diversificazione genetica.
Non solo. La viviparità ha favorito (o addirittura imposto) la ricerca di più partner, ovvero la poliginia e la poliandria. Ha fatto sì che l’individuazione del partner diventi l’obiettivo della vita. Come spiega l’etimo della parola sesso, che rimanda a “sezione”, i viventi si sono divisi in due. Scatenando il conflitto, “il tira e molla evolutivo”. Perché se la femmina, alla ricerca di chi la fecondi, deve scegliere, il maschio è costantemente nella necessità di fecondare, spesso in competizione con i compagni di genere. Con un ostacolo aggiuntivo rispetto alla condizione di oviparità: il maschio non ha la certezza di essere il fecondatore. Dubbio che può essere all’origine di comportamenti coercitivi e di controllo. Nel primo caso avvalendosi dei propri organi di intromissione: il pene del maiale si inserisce nella vagina “come una vite”; quello del gatto dispone di punte cheratinizzate “che lo ancorano all’interno della vagina”; mentre “il pene dei canidi è un chiavistello gonfiabile che ostruisce il tratto genitale della femmina” fino alla supposta fecondazione.
Nel secondo caso il controllo si esercita sia cercando di evitare che le femmine abbiano relazioni con altri maschi – la lucertola delle rocce, per esempio, colloca “un tappo di muco nel tratto genitale” della compagna – sia ricorrendo a un “monitoraggio molto assiduo, come le rane pescatrici di profondità, pesci degli abissi oceanici, in cui il maschio, molto più piccolo della femmina, si “aggrappa alla sua cute e tramite la bocca fonde il suo corpo in quello della compagna”. O come l’antilope cervicapra che non perde mai di viste le femmine. O come il più geloso dei viventi, il mandrillo, che, però, nonostante il controllo esclusivo ed ossessivo, non riesce ad evitare che qualche sua protetta sfugga al controllo e si unisca con altri partner. I comportamenti maschili, del resto, trovano la controparte nelle strategie di scelta femminili, dai falsi orgasmi alle scelte post-copulatorie di alcune specie, come la salamandra scura di Allegheny Mountain, in grado di conservare gli spermatozoi dei pretendenti, rimandando al futuro la scelta.
Probabilmente è la viviparità ad aver dato avvio all’ipertelia, vale a dire allo sviluppo eccessivo di alcuni organi per far colpo sulle femmine. Il maestoso palco del cervo gigante, “la voce profonda dei rospi, la gola colorata delle lucertole, le colorazioni azzurrine della cinciarella e il dente colorato del narvalo” rientrano tutti nella categoria. Lodé ricorda che l’ipotesi prevalente è il cosiddetto “principio dell’handicap” di Zahavi: i tratti ipertelici rivelerebbero “che l’individuo può permettersi di sperperare le proprie forze”. La sua convinzione è però un’altra. Più che andare “alla ricerca di geni buoni”, le femmine sono sedotte dalla bellezza. L’ipertelia, determinando una “distorsione sensoriale”, potrebbe allora essere “il grande esordio estetico dell’arte di piacere”. Quanto è certo, è che la viviparità ha prodotto la biodiversità ed è all’origine della speciazione. Il sesso è un meccanismo evolutivo che determina la ricomposizione dei genomi, a differenza di quanto sostiene la teoria neodarwiniana, secondo la quale i migliori errori del gene producano nuove specie, mentre i peggiori errori le eliminano. Quindi il motore dell’evoluzione non sarebbe la “selezione naturale”, ma la “selezione sessuale”. E in questa grande caccia al partner che è la vita, la regola è l’esogamia. Si desidera chi è diverso.
Come si fa a riconoscere la somiglianza genetica evitando i rischi dell’omozigosi e sviluppando resilienza di fronte agli agenti patogeni? Gli animali “si toccano e si respirano a vicenda”, cercando di mescolare i loro odori. Il naso, o meglio l’organo vomeronasale, è un organo sessuale. La specializzazione delle molecole ha inventato i feromoni erotici. Le impressioni olfattive rivelano l’originalità dell’altro. Il bacio è l’“assaggio del corteggiatore”. La ricerca dell’esogamia è così frequente che, a fronte della riduzione dei viventi, specie affini arrivano ad accoppiarsi tra loro, come nel caso della balenottera azzurra che spesso si unisce con la balenottera comune.
La legge della vita, in definitiva, se da un lato ribadisce che le decisioni sull’individuazione del compagno/a sono dettate dall’amore, e sono tutte esito – consapevolmente o meno – di una scelta libera, dall’altro evidenzia che il tradimento è quasi inevitabile. Alcune specie di instancabili amanti, come la rana agile o la scimmietta rinopiteco dorato, lo dimostrano appieno. Difficile trovare amori eterni. E, pur tra le specie più monogame, si tende ad alternare nel tempo i compagni (è la “monogamia seriale”, di cui si avvale lo scricciolo fatato dorsorosso).
La “naturalezza” dell‘infedeltà. O la fluidità della sessualità. Che può adottare le soluzioni più diverse: in alcuni gruppi di insetti, gli psocotteri, sono i maschi ad essere penetrati. Tra i pesci, la femmina più anziana della girella dalla testa azzurra, in mancanza di maschi, si trasforma in riproduttore. “L’audace trasformazione” si evidenzia anche nel pesce pagliaccio occidentale, nel pesce pappagallo, nella crepidula e nelle chiocciole di Borgogna, che “sono portatrici di entrambi i sessi contemporaneamente”., praticando un “ermafroditismo simultaneo”. La “naturalezza” della transessualità.
Dando piacere, attivando i circuiti cerebrali della ricompensa, la sessualità animale percorre tutte le strade possibili, come rendono evidente la pratica di sesso anale e orale, l’omosessualità e la masturbazione. La femmina del pipistrello dal muso corto maggiore pratica sesso orale. Abitudini masturbatorie sono comuni a moltissimi animali: ratti, pecore, facoceri, leoni, pipistrelli, trichechi, zebre, cavalli, orsi, mosche, una grande varietà di specie di uccelli. L’omosessualità animale è una storia nella storia. Quando lo zoologo Desmond Morris descrisse la sodomia tra oranghi, nel 1970, la si ritenne un’anomalia. Negli anni Ottanta venne studiata nel gabbiano occidentale e nell’istrice nordamericana. Negli anni Novanta fu la volta dei Bonobo. Oggi l’omosessualità è stata osservata in più di mille specie. A riprova che la funzione adattiva è quella della libera scelta del partner, fondata sulla “ricerca di piacere e di affettività”.