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Addio Rivoluzione, è tempo di Rivolta

Rivoluzione addio? Sì, il suo posto sembra sia stato preso dalla rivolta. Da Clichy-sous-Bois, nella banlieue parigina nel 2005, ad Atene nel 2008, all’assalto degli studenti londinesi nel 2010, alla discesa in piazza a Roma del corteo degli studenti, per passare alle rivolte della Primavera araba e a quelle in Turchia e in Venezuela, la rivolta sembra aver preso il posto delle forze rivoluzionarie. La rivolta non sembra aver progetto, non si proietta nel tempo futuro. Come ha sostenuto uno dei suoi teorici, il germanista e mitologo Furio Jesi, morto trent’anni fa, in Spartakus. Simbologia della rivolta, testo apparso postumo, “prima della rivolta e dopo di essa si stendono la terra di nessuno e la durata della vita di ognuno, nelle quali si compiono ininterrotte battaglie individuali”.

 

Evocando Rimbaud e la Comune di Parigi, Jesi affermava: “solo nella rivolta la città è sentita come l’haut-lieu e al tempo stesso come la propria città”; nell’ora della rivolta non si è più soli, ma si è nel flusso cangiante del Noi, entità provvisoria e labile, estatica e violenta. Dopo la fine delle ideologie, dopo la caduta del Muro di Berlino, e il trionfo del pensiero unico, in Occidente come in Oriente, a New York come a Shangai, la rivolta sospende il tempo storico e crea l’istantaneo; è il trionfo del presente contrapposto al futuro. Non si attende più il giorno del compimento del lungo processo rivoluzionario. La rivolta instaura un tempo estatico, scrive Pietrandrea Amato, uno dei teorici delle nuove rivolte metropolitane, il qui e ora, nel suo libro e nell’intervista che ci ha concesso.


Walter Benjamin racconta come nel luglio 1830 “in più punti di Parigi, indipendentemente e contemporaneamente” i rivoltosi sparassero contro gli orologi, simbolo del tempo scandito dal progresso, dalla disciplina del lavoro: “dei novelli Giosué, ai piedi d'ogni torre, sparavano sui quadranti per arrestare il giorno”. La rivolta non prevede, ma vive nel subitaneo; non presuppone neppure una classe sociale che prenderà il potere, ma solo individui atomizzati, che nel corso delle insurrezioni spontanee, non preparate e contagiose, diventano una forza provvisoria. Se le rivoluzioni coltivavano il sogno dell’assalto al Palazzo d’Inverno, conquista del centro simbolico del potere, la rivolta avviene in modo molecolare con l’intento di condizionare materialmente l’andamento normale delle cose.


Dopo la rivolta nulla è più come prima. Per i suoi teorici – Paolo Virno, Alain Badiou e Jacques Rancière – la rivolta è l’analogo della catastrofe, del collasso cui ci ha abituato il nuovo capitalismo finanziario, l’unica risposta possibile a una società che non sembra più avere nessun fondamento certo, nessuna teoria con cui giustificare il proprio dominio, se non la coercizione, l’uso della forza o la seduzione del consumo. Viviamo nell’epoca del disastro, come aveva intuito alla metà degli anni Sessanta Susan Sontag. La rivolta è figlia della crisi della democrazia rappresentativa che in Occidente, per cause complesse, sembra aver perso la propria funzione storica. I rivoltosi, mossi da ragioni spesso differenti, mostrano nelle periferie urbane francesi come al centro di Roma o nelle strade di Atene o di Istanbul, l’emergere di una politica che si pone al di là il sistema che oggi la rappresenta: sono l’espressione di una caotica e spontanea volontà di vivere, opposta e simmetrica a quella che in Italia domina la scena politica maggiore.


La rovina che la rivolta, nel suo essere perturbante, porta con sé è un'emergenza nel senso letterale; è un richiamo alla vita irriducibile a significati chiari (che possono essere solo postumi) ed è, in quanto evento, lo sbocco di un processo storico, che spesso si rende visibile per la prima volta. Un fenomeno di rivolta è come il foro di uscita di un proiettile, di cui dover ricostruire lo scenario e la serie di azioni che lo producono.


Pierandrea Amato in La rivolta (Cronopio) scrive che la rivolta è un vento che porta con sé la propria auto-disintegrazione. I ragazzi che corrono con caschi e scudi per le strade, che salgono sui monumenti, che appaiono e scompaiono nelle banlieue, dando fuoco ad automobili e bidoni della spazzatura, mostrano l’esistenza di un campo di forze che sfugge alle categorie politiche tradizionali, al marxismo e al post-marxismo, oltre che alle teorie neo-liberali. Radicata nella realtà e nel suo nocciolo duro, la rivolta accade, alla stregua di un evento artistico, di una manifestazione momentanea, di una performance. Non la si può rappresentare né in forma politica né spettacolare; è un accadimento estatico, più vicino alle forme religiose, alla festa, che non alle strutture della rappresentazione politica, quali un partito o un parlamento: vive, non si rappresenta. La società dello spettacolo che ha dominato negli ultimi vent’anni, realizzando la profezia di Guy Debord, ora ha davanti a sé una serie di accadimenti non facilmente catturabili nelle forme dello spettacolo mediatico. Quello che in definitiva la rivolta destruttura è l’idea stessa dell’identità politica. Il Noi appare e scompare, e sospende il tempo storico a favore di quello che i Greci chiamavano Kairos: il giusto istante, il colpo d’occhio, quello in cui l’atleta compie la mossa giusta, supera l’avversario, taglia il traguardo.


Venuto meno il funzionamento tradizionale dei meccanismi sociali e anche di conoscenza che che connettono l'esperienza del presente al passato, dobbiamo prepararci a vivere in un tempo diverso da quello che ha segnato le vite dei nostri padri e nonni, un tempo che non ha un’unica direzione, o una destinazione prefissata, ma che accade e insieme collassa, che si mostra e si sottrae. L’Homo seditiosus è il campione di una umanità che scende in piazza oggi per realizzare “un’arte senza opera” che evoca il fantasma del  dopodomani.
Iniziamo con questa introduzione la pubblicazione di una serie di articoli sul tema della rivolta. Saranno reportage, riflessioni, interviste, testi, documenti, per costituire un dossier sulla rivolta nel mondo contemporaneo.

 

Link

 

Le rivolte degli indignati

Dopo la rivolta. Intervista a Pierandrea Amato

Da Maribor a Taksim: la rivolta per i beni comuni

Pietro Barbetta. Mario Galzigna, Rivolte del pensiero

Martina Carraro. The Square, oltre la rivoluzione

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