Speciale
Ancora da Ghiffa a Lugano passando questa volta per Brissago
Mi trovo a Brissago, sulla sponda svizzera del Lago Maggiore, la west coast del Verbano. Seduta su una panca vista lago, ho di fronte a me, sull'altra sponda, un massiccio di colline verdi poco edificate (per il momento), separate da un tratto di acque lacustri. Sotto di me, direttamente sulla riva, un brutto edificio, il solito parallelepipedo di cemento, non del suo usuale color grigetto bensì dipinto, questa volta, di rosa, forse per farlo apparire meno deprimente. Sono lì che attendo la corriera che mi porterà a Locarno, dopo essere scesa dalla corriera che da Intra mi ha trasportata fin qui per una modica cifra. Anche il servizio era stato comunque modico: poche corse giornaliere, un mezzo vecchio, rumoroso e mal ammortizzato che ti spara nella schiena tutte le buche della strada. Il paesaggio però merita il viaggio scalcagnato. La strada si snoda parallela alla linea della costa, attraversa paesi, costeggia da una parte spiagge e calette, dall'altra la scarpata della strada sommersa dal verde. Non dovendo guidare e trovandomi in posizione elevata, scorgo molti più particolari e me li godo. Dalla parte del lago si aprono soprattutto spiaggette e rocce o brevi terreni con piccole residenze; dalla parte interna, parchi di ville invisibili, terreni incolti o coltivati che impongono il loro verde selvaggio composto di arbusti e alberi della vegetazione locale: sambuchi, palme, rovi, rampicanti, ma anche magnolie, mimose, ortensie.
Brissago
La corriera passa lungo la statale, costeggiando il confine esterno di due grossi paesi che si protendono sul lago, entrambi suggestivi: Cannero, con la sua spiaggia rinnovata, amplissima e accogliente; e Cannobio, all'imbocco della selvaggia omonima Val Canobina. I paesi esibiscono una chiesa ciascuno, enorme, priva di ogni bellezza, pesante, imponente, decisamente ingombrante; chiese anonime e senz'anima come ce ne sono tante, la cui costruzione risale a un decennio imprecisato della fine dell'Ottocento. Poco dopo Cannobio, ecco il confine tra Italia e Svizzera: una bella cascata, una brutta finta roccia di cemento grigio e tutto cambia. Non proprio tutto, e non subito; il lago c'è sempre, i fianchi delle colline pure ma il verde della parte interna della strada è per il momento scomparso, sostituito da edifici a profusione, quasi tutti moderni, a cascata, uno più brutto dell'altro: è come se incombesse su queste zone tutto il «peso» della Svizzera tedesca che sta al di là delle Alpi, oltre i valichi e i trafori del San Bernardino, del San Gottardo e del Sempione (che da bambina avevo fatto santo anch'esso, perché il cartello che lo indicava, S.S. Sempione veniva da me letto come «Santissimo Sempione»); è come se, dicevo, quella Svizzera interna con poca luce, poco sole e tante montagne, premesse fisicamente su questi luoghi meridionali edificandoli con cemento, vetro e acciaio soltanto con la forza del pensiero. Immagino migliaia di turisti, milioni di pensionati affacciati, nella loro cella condominiale, a godersi il sole su un minuscolo balconcino (se c'è) mentre fanno colazione circondati da altri balconcini analoghi. Ah, questa è vita!
Brissago avrebbe anche un piccolo centro storico molto curato, con una chiesina non esuberante come le precedenti, ma ormai arriva la corriera elvetica, tutta bella e con l'aria condizionata: il tratto svizzero costa quattro volte tanto per una lunghezza quattro volte inferiore, ma pazienza. Salgono turisti, pensionati, mamme con passeggini; a loro il bigliettaio, con pazienza infinita, stacca i biglietti, e dà resti accettando franchi e euro.
Poco prima di Ascona, la frazione di Moscia, indicata da un piccolissimo cartello. Dall'autobus non si riescono a scorgere le costruzioni poste sotto il livello stradale, ma noi sappiamo che ci sono. Soltanto scendendo dal mezzo e facendo molta ma molta attenzione a non venire travolti dagli altri veicoli che percorrono la strettissima costiera in entrambe le direzioni, scopriremo le scalette che portano in un posto incredibilmente suggestivo. Si tratta degli edifici che compongono il centro culturale di Eranos, casa Eranos e Casa Gabriella, contornate da un ampio parco che arriva fino alla spiaggetta dove, quando era ospite da queste parti, soleva entrare a bagnarsi nelle acque del lago Maggiore, alle sette del mattino, Gustav Jung. Gli edifici sono rimasti come erano negli anni '30, quando Olga Fröbe-Kapteyn fondò in questo luogo una sorta di scuola estiva di spiritualità comparata, che si estese poi a comprendere altre attività di incontri. Tali raduni tra studiosi internazionali si svolgevano l'ultima settimana di agosto, a frequenza annuale, nella sala conferenze di casa Eranos, identica a se stessa nel tempo. Ho parlato anch'io in quella sala, e giuro che è un'esperienza indimenticabile. Usciti nel giardino ci si può sedere alla tavola rotonda posta sotto due grandi cedri, che invita alla conversazione dotta, come quella che si svolgeva tra Jung e gli altri oratori presenti a questi incontri. Oppure sul muretto davanti alla sala principale, dove Jung era solito prendere posto circondato da ammiratori e discepoli.
Le Mura di Bellinzona
Nel ripensare a quel luogo posseduto da una intensa atmosfera del luogo (nel giardino si trova un piccolo monumento dedicato «al genio sconosciuto del luogo», genio loci ignoto) ci si scorda che il viaggio verso Lugano ha da continuare. Il nostro autobus deve ancora raggiungere Ascona, dove si entra lasciando la circonvallazione, e poi Locarno, sempre seguendo la circonvallazione. Sembra incredibile il fatto che fino a non molti anni fa queste strade che circondano le cittadine non esistevano, e tutto il traffico locale e internazionale passava davanti al centro, con le auto, proprio davanti alla gente che prendeva il caffé ai tavolini inondandola di gas di scarico.
Dalla stazione di Locarno, dove l'autobus svizzero ci deposita, un treno porta a Giubiasco, sobborgo di Bellinzona; da lì, cambio per Lugano. I tragitti non li descriveremo, ci soffermeremo soltanto sul tempo di percorrenza del tragittoi da Ghiffa a Lugano, meno di 80 km.: in meno di tre ore non ce la si fa. E poi c'è chi da parte elvetica urla contro i selvaggi frontalieri italici che osano prendere l'automobile per spostarsi, e si tolgono i parcheggi liberi allo scopo di agevolare il traffico, si dice, in realtà per punire chi, in mancanza di trasporto pubblico efficiente e dignitoso, usa il mezzo privato. V'è un funzionario politico, un assessore, leghista, in Ticino, che mira a colpire il traffico generato dai frontalieri ostacolando la ricerca di un parcheggio. Dovrebbero farlo loro tutti i giorni quel viaggio, gli amministratori, per capire che farebbero meglio a impegnarsi per trasporti pubblici efficaci e sostenibili ecologicamente e finanziariamente, a vantaggio del territorio e degli utenti, lavoratori o turisti che siano.