Pepe Karmel e la sua storia globale dell'arte / Arte astratta: una storia da riscrivere?

15 Marzo 2021

Lo spirito di Vasilij Vasil'evič Kandinskij esala dal suo corpo steso sul letto di morte. Sale in alto ondeggiando come le linee sinuose dell’opera Movimento 1 collocata alle spalle del cadavere.

 

Vasilij Vasil'evič Kandinskij sul letto di morte. Fotografia scattata da André Rogi il 13 dicembre 1944 / Kandinskij, Movimento 1, 1935, Galleria Tret'jakov, Mosca.

 

Nella poetica di Kandinskij confluirono il misticismo russo, il suo interesse per la teosofia e l’idea che gli “scienziati di professione [avessero posto] in dubbio l’esistenza della materia” (Lo spirituale nell’arte, De Donato, Bari, 1968, p. 57). Negli anni in cui elaborava il testo, pubblicato nel 1912 con il titolo Ueber das Geistige in der KunstDello spirituale nell’arte, Kandinskij scoprì il dissolversi dell’oggetto dipinto in una composizione astratta: “Si avvicinava l’ora del crepuscolo, e io rientravo con la scatola dei colori dopo uno studio, ancora tutto immerso nel mio sogno, perduto nel ricordo del lavoro compiuto, quando scorsi all’improvviso alla parete un quadro di straordinaria bellezza, che brillava di un raggio interiore. Restai interdetto, poi mi accostai a questo quadro rebus in cui non vedevo che forme e colori e il cui contenuto mi era incomprensibile. Trovai presto la chiave del rebus: era un mio quadro appeso erroneamente su un lato” (Sguardi sul passato, Edizioni del Cavallino, Venezia, 1962, pp. 37-38). Nella versione francese Regard sur le Passé (Drouin, Parigi, 1946) il quadro è posato di traverso sul cavalletto e nell’appendice della versione pubblicata nel 2006 da SE, la moglie Nina Andreevski Kandinskij ricorda che la tela non era appesa ma appoggiata al muro, al quale poi il marito la fissò senza raddrizzarla (Kandinsky pittore poeta, Milena Milani, pp. 27-28). 

L’arte astratta nasce dallo sbalordimento nel vedere un quadro capovolto? Modificando l’orientamento di un’immagine viene destrutturata la sua visione. Per il sistema visivo, quella capovolta non è la stessa immagine. Capovolgendola cambia la sua configurazione, che diventa totalmente estranea. Lo sbalordimento di Kandinskij è dovuto a questo sguardo “altro” che stravolge l’abitudine visiva.

 

Kandinskij, Primo acquarello astratto, 1910, Centre Pompidou, Parigi / Kandinskij nel suo studio, fotografia scattata da Boris Lipnitzki nel 1936.


Tuttavia, se proprio dovessimo attribuire a Kandinskij l’origine dell’arte “non-oggettiva” in relazione a uno sguardo “altro”, questa non sarebbe nata nel 1910 davanti al quadro capovolto (lo stesso anno del suo Primo acquerello astratto), ma ancor prima davanti al Covoni di Claude Monet esposti nel 1895 a Mosca: “all’improvviso mi trovavo per la prima volta di fronte a un Dipinto rappresentante un pagliaio, come diceva il catalogo, ma che io non riconoscevo come tale […] La pittura mi apparve come dotata di una potenza favolosa, ma inconsciamente l’Oggetto trattato nell’opera perdette per me la sua importanza” (Sguardi sul passato, Edizioni il Cavallino, pp. 23-24 / SE, p. 19 ). 

Sette anni prima dell’incontro di Kandinskij con il Covone di Monet,  Paul Gauguin dichiarava “l’arte è un’astrazione” (lettera inviata a Vincent van Gogh, Pont-Aven, c. 24-25 luglio 1888). L’astrazione come concetto, non ancora come linguaggio, era nell’aria. La pittrice svedese Hilma af Klint già nel 1906 realizzava delle opere astratte, mettendole in relazione con le esperienze spirituali da lei ricercate attraverso preghiere, meditazioni e sedute spiritiche. Nella pittura di Klint e in quella di Kandinskij la forma e il colore suscitano “risonanze interiori”.

 

Hilma af Klint, Il cigno, n. 17, Gruppo IX/SUW, 1915, Stiftelsen Hilma af Klint Verk, Stoccolma.


L’Astrattismo sorge da premesse espressioniste e simboliste da cui si emancipa attraverso le ricerche delle avanguardie russe. Il punto d’arrivo di questa emancipazione è il Quadrilatero di Kazimir Severinovič Malevič, che la critica rinominò Quadrato nero (su fondo bianco), una singolarità che merita particolare attenzione per la discontinuità introdotta nel sistema delle arti visive. Nel progetto di sipario per la 5ª scena, 2ª parte dell’opera Vittoria sul Sole, andata in scena nel 1913 e replicata nel 1915, compare per la prima volta l’idea del Quadrilatero. È la svolta verso il grado zero della pittura, inteso come punto di partenza per un rinnovo radicale della società in rapporto alla costruzione di un uomo nuovo. È l’utopia di una sua rifondazione materiale e spirituale, nata nel corso degli anni in cui si susseguirono gli eventi che portarono la Russia a diventare il primo Stato socialista della storia. 

 

Kazimir Severinovič Malevič, Quadrilatero / Quadrato nero (su fondo bianco), 1915. Galleria Tret'jakov, Mosca.


Sono gli stessi anni in cui Konstantin Ėduardovič Ciolkovskij pose le basi filosofiche e tecnologiche dei viaggi interplanetari. Il suo articolo L’investigazione dello spazio cosmico per mezzo dei razzi del 1903 non ebbe la risonanza che invece ebbero il successivo articolo del 1911 e quello del 1914, in cui viene discusso il tema della comunicazione interplanetaria e quello del sistema di propulsione dei razzi. Ciolkovskij credeva che il futuro dell’umanità fosse nello spazio cosmico e che la sua colonizzazione avrebbe portato l’umanità alla perfezione. Sua fonte d’ispirazione fu l’opera di Nikolaj Fёdorov Abbozzo dell’immagine di un compito universale di resurrezione, scritta intorno al 1900, con la quale l’autore sosteneva la necessità di una radicale espansione della vita umana per mezzo di metodi scientifici e anche della resurrezione. Mescolando scienza e spiritualismo, il Cosmismo russo di cui Fёdorov fu il fondatore, dette il via all’esplorazione spaziale sovietica. Tutti i documenti di questa straordinaria avventura sono stati presentati al pubblico in occasione della mostra Cosmonauts: birth of the space age, organizzata dal Science Museum di Londra (dal 17/09/2015 al 12/03/2016), di cui si può reperire il catalogo. Impressiona molto l’idea che la recente esplorazione di Marte sia una conseguenza di una visione escatologica in cui i morti resuscitano. Si può così comprendere come sia sorta l’utopia di una rifondazione spirituale oltre che politica e sociale dell’uomo nella Russia trasformata dagli eventi che si susseguirono dal 1905 al 1917. 

 

Konstantin Ėduardovič Ciolkovskij, foglio dall’album Viaggi Cosmici, 1933, Accademia Nazionale delle Scienze della Federazione Russa, Mosca / Ciolkovskij con un apparecchio acustico (all’età di 10 anni si ammalò di scarlattina e divenne sordo).


Se Fёdorov immagina una resurrezione, Malevič immagina una trasfigurazione da raggiungere in un vuoto, forse simile a quello cosmico. In questa dimensione, rappresentata da una sconcertante eguaglianza di cui uno dei due termini è Zero, pubblicata nella rivista Jizn IskusstvaVita dell’arte (22 maggio 1923), Malevič trova la radice dell’arte contadina, che comprende attraverso l’icona, come racconta nella sua autobiografia. Egli cammina verso lo Zero mentre le ossa dei morti scricchiolano sotto i suoi piedi. Questa strana concezione dell’esistenza potrebbe trovare senso nel rapporto con la terra coltivata, con la cultura dell’uomo stanziale, che scopre la resurrezione del seme. Il bellissimo film Zimna Wojna (Cold War), scritto e diretto nel 2018 da Paweł Pawlikowski, comunica molto bene lo smarrimento dell’uomo che ha perso le sue radici contadine. Le ritrova sotto forma di piccoli semi allineati su una tavola d’altare, come in un solco preparato per la semina. Sono dei barbiturici.

 

Zimna Wojna (Cold War), 2018, manifesto del film scritto e diretto da Paweł Pawlikowski.


Quadrato bianco su fondo bianco dipinto da Malevič nell’estate del 1918 segna una cesura. Nel 1919 abbandona il “pennello arruffato” per la “penna più affilata” allo scopo di raggiungere l’immaterialità del “concetto puro”, anche per rispondere alle critiche dei costruttivisti e di alcuni suoi allievi sconcertati dal radicalismo della sua ricerca. Anche se successivamente si orienterà verso l’architettura e dal ’28 si dedicherà alla produzione di opere post-suprematiste, il ’19 segna una svolta. La teoria diventa per lui la conseguenza necessaria dell’attività creativa e forse questa è l’eredità che lascia a coloro che oggi sono impegnati nel chiarire quale sia il ruolo che il discorso sull’arte deve assumere rispetto alla pratica curatoriale e anche a quella artistica (visiva e letteraria), nella quale il discorso s’innesta, già a partire dalla Dichiarazione pubblicata nel 1920 dove la scrittura assume un carattere sperimentale (mancano la punteggiatura e le maiuscole). La scrittura è il mezzo attraverso il quale trasferire nel “pensiero puro” e “alogico” la stessa “eccitazione” che è anche nella pittura, come in ogni altra cosa: “il pensiero è solo un certo stato di eccitazione” (Dio non è stato detronizzato. L’Arte. La Chiesa. La Fabbrica, paragrafo 24, edizione dell’Unovis, Vitebsk, 1922). Non si può afferrare il senso di un Quadrato nero (su fondo bianco) e quello di un Quadrato bianco su fondo bianco, senza tener presente che in questo Zero della pittura vibra qualcosa, così come vibra nell’immaterialità di un “pensiero puro” dotato di una forza vitale, creativa e rivoluzionaria. Il Suprematismo è sostanzialmente un modello di pensiero, che trova nell’utopia rivoluzionaria un campo di applicazione. È il mezzo attraverso il quale attuare una trasformazione dell’uomo sul piano spirituale e di conseguenza anche sul piano materiale: egli crede in “una vita fisica nuova nel campo spirituale” (Dio non è stato detronizzato. L’Arte. La Chiesa. La Fabbrica, paragrafo 19), forse analoga a quella teorizzata da Fёdorov. Forse la stessa in cui credono Wiktor e Zula, i protagonisti del film di Pawlikowski. L’ultima battuta è di Zula: “Andiamo dall’altra parte. Lì la vista è migliore” e i due escono dall’inquadratura, ma non dal paesaggio che osservano da un altro lato. 

 

Piet Mondrian nel suo studio, 1942, fotografia di Arnold Newman / Mondrian, Composizione in Blu, 1926, Museo della Arti, Filadelfia.

 

L’astrattismo di Malevič è molto diverso sia da quello lirico di Kandinskij, sia da quello geometrico di Piet Mondrian. L’arte astratta è un fenomeno complesso e rizomatico. Sulla traccia di Paul Gauguin, i Nabis giunsero all’arabesco mentre i Neoimpressionisti esaltarono il valore espressivo del colore. I Fauves superarono consapevolmente il naturalismo e gli Espressionisti utilizzarono la forma e il colore per destare “risonanze interiori”. Possiamo forse considerarli i primi tentativi di liberare le arti plastiche dall’oggetto, che trovò poi il suo compimento nell’arte “non-oggettiva” di Mondrian, di Kandinskij e delle avanguardie russe.

L’arte astratta include le sperimentazioni di Mikalojus Konstantinas Čiurlionis, che dal 1904 tradusse il linguaggio musicale in linguaggio pittorico astratto. Include anche l’interesse per l’ornamentazione grafica e gli studi di Alois Riegl sulle arti minori che tracciarono l’ipotesi di una linea naturalistica e di una astratta, studi ripresi da Wilhelm Worringer, che nel 1908 pubblicò il saggio Abstraktion und Einfühlung (Astrazione e Empatia). La nascita ufficiale dell’arte astratta come concetto, anziché come linguaggio (cosa più difficile da determinare), è sicuramente da riferire alla pubblicazione del testo di Worringer, in rapporto all’aspetto espressivo dell’astrazione.

Secondo lo storico dell’arte Pepe Karmel il fenomeno dell’astrazione in arte include molto altro, che gli studi precedenti hanno marginalizzato. Per esempio la pittura di Hilma af Klint. Quello dell’artista svedese è uno sguardo sbalordito davanti all’ignoto, quanto quello di Kandinskij davanti al quadro di Monet, divenuto improvvisamente enigmatico.

 

Hilma af Klint, La colomba n. 2, Gruppo IX serie SUW/UW, 1915, Museo d’Arte Moderna (MoMA), New York / Klint nel suo studio, fotografia scattata da anonimo.


Allo sguardo “altro”, con il quale nasce l’arte astratta, Pepe Karmel affianca lo sguardo “altro” della critica d’arte per interpretare l’esperienza dell’arte astratta attraverso una serrata critica alle culture orientate, che hanno marginalizzato figure come quella della pittrice svedese Klint. Nell’approccio di Karmel pesano gli studi di cultura visuale, che analizzano la produzione e la ricezione delle immagini in rapporto al loro essere situate in un contesto culturale e sociale. Nel saggio L’arte astratta. Una storia globale (Einaudi, Torino, 2021) Karmel ricostruisce le origini e lo sviluppo dell’arte astratta. A suo parere gli studi tradizionali si sono concentrati sui problemi formali perdendo di vista le connessioni di questa esperienza artistica con la realtà, intesa in senso sociale, politico e culturale. Nel suo libro rileva come anche le donne e gli artisti di colore abbiano partecipato all’esperienza dell’astrazione visiva per dare risposta ai problemi posti dai mutamenti sociali, politici e culturali. 

 

Pepe Karmel, L’arte astratta. Una storia globale, Einaudi, 2021, copertina.


Con lo scopo di “incoraggiare i lettori a confrontarsi con una gamma più ampia di opere astratte”, Karmel organizza la storia dell’arte astratta intorno a cinque categorie tematiche: il corpo, il paesaggio, il cosmo, l’architettura e il repertorio artificiale dei segni e dei motivi decorativi. Il libro ha il pregio di far conoscere al pubblico una vasta gamma di astrazioni visive: carte nautiche composte da bastoncelli, coperte chilkat in lana di capra, xilografie, oggetti tribali, tessuti in gabardine, acquerelli su carta retinata, tele e installazioni di artisti contemporanei. 

 

Pepe Karmel, L’arte astratta. Una storia globale, Einaudi, 2021, pp. 222-223.

 

Lo scopo del saggio di Karmel è ricondurre l’arte astratta “alle circostanze sociali, culturali e politiche in cui è nata”, ignorate dagli studi, che si sono concentrati sui problemi formali. Egli li fa risalire ai saggi pubblicati dal critico americano Clement Greenberg tra il 1939 e il 1944 (p. 24). Con la nascita della cultura di massa, secondo Greenberg, le opere d’arte potevano salvarsi dall’appiattimento solo dimostrando “che il tipo di esperienza che fornivano aveva un valore proprio”. Questa indipendenza dell’opera è rivendicata dall’arte suprematista per ragioni del tutto diverse. 

Nel corso degli anni Venti i produttivisti russi criticarono le opere suprematiste, che trovavano svincolate dalle necessità pratiche della neonata Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (il Produttivismo e l’Arte Produttiva costituivano due schieramenti interni al Gruppo dei Costruttivisti – Marco Elia, VChUTEMAS. Design e avanguardie nella Russia dei Soviet, Lupetti, Milano, 2008, p. 35). Per Malevič, le “finalità tecnico-utilitaristiche” potevano essere estratte dalle “leggi nascoste nei fenomeni pittorici”, ma queste stesse leggi non potevano essere ridotte allo scopo utilitaristico. Della critica produttivista e del dibattito che seguì si trova una traccia nelle attività svolte pressi i VChUTEMAS, Laboratori Tecnico-Artistici Superiori di Stato fondati nel 1920. I produttivisti e i costruttivisti (in particolare Vladimir Evgrafovič Tatlin) non riconobbero la forza rivoluzionaria del suprematismo di Malevič, considerato “la somma di tutti gli errori del passato”, anziché una forma autonoma di pensiero creativo indispensabile alla costruzione di un nuovo uomo. È comprensibile che l’idea suprematista di una rifondazione spirituale dell’uomo venisse intesa come una “metafisica di sinistra” da avversare. L’idea di “una vita fisica nuova nel campo spirituale” è anche quella di Fёdorov e Ciolkovskij, una visione che trasporta il mito della resurrezione dal mondo agricolo stanziale a quello dei viaggi interplanetari alla ricerca di una nuova vita. Lo scopo del progetto spaziale di Elon Musk non è appunto quello di salvare l’umanità colonizzando Marte?

 

Negli stessi VChUTEMAS, dal 1921 al 1924, il teologo, fisico, matematico, filosofo e poeta Pavel Aleksandrovič Florenskij tenne dei corsi di Analisi dello Spazio nelle opere d’arte figurativa e di Analisi della prospettiva. Florenskij e Malevič associarono l’utopia positiva e razionale della rivoluzione socialista a una rifondazione spirituale dell’uomo, in entrambi i casi assegnando alla rappresentazione dello spazio nell’icona un ruolo importante (Pavel Florenskij: la prospettiva rovesciata e altri scritti, a cura di Nicoletta Misler, Gangemi, Roma, 2005 / Pavel Florenskij, La prospettiva rovesciata, Adelphi, Milano, 2020).  

 

Nella mostra Ultima esposizione futurista di quadri 0.10, organizzata nel 1915 presso la galleria di Nadežda Dobyčina a Pietrogrado (oggi San Pietroburgo), Malevič appende il Quadrato nero (su fondo bianco) in un angolo della sala principale, come nelle case russe venivano appese le icone. È la prima volta che l’opera è mostrata al pubblico. Secondo Andréi Nakov è una risposta ai “rilievi d’angolo” che Tatlin espone nella stessa mostra (Kazimir Malevič. Scritti, Mimesis, Milano – Udine, 2013, p. 26 – tutti i testi di Malevič qui citati sono contenuti nell’antologia curata da Nakov, pubblicata da Feltrinelli nel 1977 e ristampata da Mimesis a cura di Francesca Lazzarini). Opponendo alla materialità dei “rilievi d’angolo” l’idealità piana della pittura suprematista, la sconcertante “nuova icona” di Malevič è una finestra che apre su un nuovo mondo, quello della pittura liberata dall’asservimento alla “Chiesa” così come dall’asservimento allo “Stato” e alla “Fabbrica” (in chiave utilitaristica o produttivista), liberata anche dagli aspetti espressivi, estetici ed emozionali che invece caratterizzano l’altra faccia dell’arte astratta rappresentata da Kandinskij. “Occorre costruire un sistema nel tempo e nello spazio che sia indipendente da qualunque bellezza estetica, emozione, stato d’animo, ma che piuttosto sia un sistema filosofico” (Suprematismo. Catalogo della 10ª mostra di Stato Creazione non oggettiva e suprematismo, Mosca 1919).

 

Malevič si dirige verso una pittura pura e concettuale anziché “retinica”, già teorizzata da Albert Gleizes e Jean Metzinger (Du “Cubisme”, Parigi, 1912), seguendo la via del “piano libero”. Nella sua interessante analisi di questo aspetto, Nakov osserva come il concetto di “piano libero” nell’arte e nella scienza del XX secolo sia stato promosso alla comunicazione digitale per immagini, di cui ancora ignoriamo le conseguenze sul piano percettivo e cognitivo (Il quadrato nero: affermazione della superficie-piano al livello di concetto strumentale, in Kazimir Malevič. Scritti, p. 98). Nakov pone indirettamente un problema di indubbia attualità, quello del sapere scientifico, umanistico e artistico che ogni prodotto incorpora nell’economia della conoscenza. 

 

NeXTcube presentato da Steve Jobs il 12 ottobre 1988.


Vale per tutti l’esempio del sapere incorporato nel minimalista NeXTcube presentato da Steve Jobs il 12 ottobre 1988 e nei prodotti Apple, (si è detto molto dell’influenza esercitata dai quadrati suprematisti sulla Minimal Art e sulle derive del minimalismo inteso come stile. Se la forza creatrice umana dovesse essere totalmente libera o asservita all’industria, per svolgere al meglio la sua funzione rivoluzionaria, è una questione che ha animato il dibattito artistico degli anni Venti, prima che lo stalinismo degli anni Trenta ponesse termine a tutto. Con Stalin finisce la grande epopea rivoluzionaria e con essa l’utopia di costruire un uomo nuovo e libero. Molti artisti e intellettuali furono reclusi nei campi di lavoro con la falsa accusa di propaganda trozkista controrivoluzionaria e molti altri eliminati fisicamente. L’8 agosto 1933, Florenskij viene recluso nel gulag di Svobodnyj in Siberia, due anni prima della morte di Malevič. 

 

In una foto della camera ardente, allestita alla sua morte, si nota la bara suprematista posta in verticale, dipinta dal suo allievo Nikolaj Suetin, e Quadrato nero (su fondo bianco) al capezzale. Simmetrica alla fotografia della camera ardente di Kandinskij, quella di Malevič indica una via diversa all’astrazione, che si radicalizza dal 1919. Dopo questa data si dedicò alla scrittura e all’insegnamento, da lui considerato un mezzo per costruire l’uomo nuovo liberato dalle schiavitù della “Chiesa”, dello “Stato” e della “Fabbrica”.

Ora che l’attenzione della politica italiana sembra stia tornando ad occuparsi di educazione, sarà necessario affrontare i problemi posti dall’economia della conoscenza, facendo tesoro del dibattito avvenuto nel corso degli anni in cui nacquero le prime scuole di progettazione industriale, ma servono visioni potenti come quelle di Fёdorov e Ciolkovskij, in grado di penetrare in profondità la realtà sociale, economica, politica e culturale trasformandola. Non abbiamo bisogno di immagini e vedute, abbiamo bisogno di visioni. Il Quadrilatero ha posto questo problema alle arti visive con una radicalità sconcertante e con una forza che nessun’altra opera astratta ha saputo eguagliare.

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