Assassinio a Venezia: Branagh, Poirot e il soprannaturale

28 Settembre 2023

Come sta un belga a Venezia? Niente male, ma è calma apparente. È il 1947, e il famoso investigatore Hercule Poirot a Venezia si è ritirato, praticamente pensionato. Niente più indagini, niente più avventure. Immobili le “celluline grigie”, che gli hanno fatto risolvere centinaia di casi. Il fatto è che Poirot è triste, insofferente, non ha sopportato la guerra, non ha perdonato le ingiustizie della guerra. Così come il regista Kenneth Branagh evidentemente non tollera quel che oggi accade in Ucraina, in un ventunesimo secolo che tutti immaginavamo più solidale, più pacifico. Nato a Belfast nel 1960, di formazione teatrale come molti attori inglesi, allievo di Laurence Olivier, Branagh ha diretto e interpretato per il cinema opere tratte da Shakespeare: un po’ come Orson Welles, che ha portato sul grande schermo Macbeth, Otello, Falstaff. Prendere in mano Shakespeare e farne un film dev’essere una delle cose più difficili per un regista. Sicuramente più difficile rispetto a Agatha Christie, che però si difende bene con il suo Poirot. Che così si presenta: “Mi chiamo Hercule Poirot e sono probabilmente il miglior investigatore al mondo”.

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Kenneth Branagh sul set.

Alla porta dell’ufficio di Poirot c’è una lunga fila di questuanti, come quelli che durante il conflitto aspettavano per il pane, e ora chiedono di risolvere i loro misteri. Ma Poirot, che un tempo si sarebbe messo subito al lavoro, li ignora, pensa al suo equilibrio mentale, alle sue certezze svanite. Venezia è attraversata da acque impetuose, città cupa anche se magnifica nelle inquadrature che trasformano i palazzi, li percorrono in diagonale. Qualcosa di simile al cervello di Poirot, che però si deve arrendere al destino, un caso che lo aspetta, che lo trascina. Si avvicina la morte a Venezia, città triste e inquietante anche per l’artista Gustav von Aschembach, dal racconto di Thomas Mann e dal film di Luchino Visconti. Questa è una Venezia con l’epidemia di colera, in cui Aschembach (Dirk Bogarde) si spegne sulla spiaggia del Lido, mentre guarda il giovinetto da cui è attratto. E il colera non può non far pensare al Covid, alla pandemia che ha seminato morte e sofferenza tra di noi. 

Assassinio a Venezia (Haunting in Venice) è il terzo capitolo dedicato dal regista all’investigatore belga, dopo Assassinio sull’Orient Express (2017) e Assassinio sul Nilo (2022). Stavolta c’è una sorpresa: Poirot si muove tra forze sovrannaturali. In Poirot e la strage degli innocenti - questo il titolo del romanzo, scritto nel 1969, da cui è tratto il film -  per la prima volta Agatha Christie va oltre il giallo per scoprire qualcosa di non razionale. E il tema dell’ultraterreno ha sicuramente appassionato Branagh. 

È tempo di Halloween, e dal passato assoluto emergono voci di bambini uccisi da un morbo sconosciuto. Non tutti le sentono. Arrivano alle orecchie di un ragazzino e forse a quelle di Poirot, che viene coinvolto in una seduta spiritica da un’amica scrittrice, cui deve la popolarità perché ha scritto tanto di lui. E così lo scettico, rigoroso, investigatore si trova di fronte ad una medium, circondata da varia umanità, che nasconde segreti innominabili. Qui la figura centrale è una soprano che ha perso la figlia in circostanze misteriose. Vuole che venga evocata e sente la sua voce. Com’è morta? La madre stessa, perché non la abbandonasse, le dava piccole dosi quotidiane di un miele velenoso. Ma quando la giovane peggiora, la soprano non c’è e la governante aumenta la dose di miele, uccidendola senza volerlo. (Due parole sulla governante: è la bravissima Camille Cottin, diventata celebre con Chiami il mio agente, la pregevole serie francese sul mondo del cinema, diffusa in tutto il mondo via Netflix). 

Gli assassinii ora sono tre, perché qualcuno ha ucciso anche la medium e il padre del ragazzino, figlio del medico innamorato della soprano. Troppo per Poirot, che subisce un tentativo di omicidio. A questo punto mette da parte la pensione, si risveglia e comincia a fare le sue solite domande. No, non ha dimenticato il mestiere dell’investigatore, riassapora lo stesso fiuto, riaccende le stesse intuizioni. Tornano al lavoro le “celluline grigie”. Con il solito metodo, con le capacità deduttive, con la memoria visiva, mette le mani sull’assassino. Ma non è più il Poirot di prima. C’è stata la guerra, il mondo è più cattivo, crescono gli egoismi, ma soprattutto nel cervello razionale dell’investigatore si è infiltrato il dubbio, perché ha sentito il lamento dei bambini, qualcosa di inspiegabile. 

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Kenneth Branagh ha diretto e interpretato per il cinema tre romanzi di Agatha Christie: lo ha fatto con capacità e talento, mantenendo lo stupore, il disorientamento creato dalla grande scrittrice britannica. Non era facile, anche perché nelle trame del giallo si è insinuato, come già detto, qualcosa che non s’era mai visto: il soprannaturale; e Branagh è riuscito a legare i vari spunti del romanzo, a mantenere il filo rosso del mistero. Branagh, non si scopre oggi, sa recitare, sa dirigere, sa dare al film la giusta direzione senza perdersi nei meandri di un giallo difficile e pieno di trabocchetti. Il film scorre, non è né lento né troppo veloce. Riveduto e corretto dallo sceneggiatore Michael Green – che sposta l’azione dall’Inghilterra a Venezia, muta i personaggi e scatena una polemica tra gli appassionati e gli studiosi di Agatha Christie – è comunque ben riuscito, si fa vedere e l’interesse si concentra su questo nuovo Poirot, segnato dalla guerra e dalle epidemie, svogliato, praticamente finito, ma capace di un colpo di reni che lo riporta in vetta. 

Venezia ha fatto la sua parte. Venezia città magica, che apre spazi oltre la realtà, pare abbia più acqua, come quella girata in studio da Fellini. Venezia illuminata, in cui Casanova (Donald Sutherland) è al centro di amori e di giochi irreali, è all’altezza delle sue memorie che disegnano un’Europa del Settecento - le grandi capitali, Londra, Parigi, Berlino - così vicine a quelle dei nostri tempi, che sembrano andare verso la decadenza. Venezia de Il mondo nuovo di Ettore Scola dove Casanova è un Mastroianni invecchiato e stanco, che fugge da Parigi sotto i colpi della Rivoluzione. 

Con Branagh e Green, idea stupenda, ecco Venezia senza Piazza San Marco e il Ponte di Rialto, nascosta tra acque e palazzi inquadrati in forme inusuali. Venezia in cui, da un momento all’altro, ci si potrebbe aspettare Casanova che fugge dai Piombi e attraversa l’Europa, esule ma coraggioso, anche se soffre per la mancanza della sua città. Alla corte di Francia gli chiedono: “Come va laggiù?” E lui: “Laggiù? Venezia è lassù!” Quanto si può essere legati a una città che ti ha esiliato? Venezia triste e amata. Come per Poirot, che per sfuggire ai suoi fantasmi se ne va in un luogo bello e senza tempo. E forse ci va per cambiare, per scoprire cose in cui non aveva mai creduto. 

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