La Cupola di Vitti e Antonioni

2 Febbraio 2024

Villa Malaparte a Capri e la Cupola della coppia Antonioni-Vitti in Costa Paradiso, nord Sardegna. S’affacciano sul mare come metafore ardite. Nella dimora di Malaparte, regista fra l’altro del film Cristo proibito (1951), un altro regista, Jean-Luc Godard, ha girato nel 1963 Il disprezzo, tratto da un romanzo di Alberto Moravia. 

Un anno dopo, nel 1964, Michelangelo Antonioni e Monica Vitti volarono in Sardegna per le riprese di Deserto Rosso sulla spiaggia rosa di Budelli. E s’innamorarono di Costa Paradiso. Insomma, tra le due abitazioni c’è un gioco, una danza, di coincidenze, ma anche di inquadrature, di campi lunghi e di particolari, di interni ed esterni, di giorni e di notti, che raccontano vite vissute e clamorosi abbandoni.

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Adalberto Libera-Curzio Malaparte, Villa Malaparte, Capri, 1938-42.

Certamente più famosa Villa Malaparte, attribuita all’architetto Adalberto Libera, ma in realtà – stando quanto rivela l’articolo di Stefano Bucci sul “Corriere della sera” del 10 luglio 2009 – il progetto è dello stesso scrittore. 

Dopo la rottura con Libera, tra il 1938 e il 1942 Malaparte fece costruire quello che è considerato uno dei capolavori dell’architettura razionalista italiana. L’aveva chiamata “Casa come me”: tra gli ospiti, Pablo Picasso, Jean Cocteau, Alberto Moravia, Albert Camus. 

Se uno stile unisce le case di Capri e di Costa Paradiso, pur nella diversità delle forme e dei volumi, è l’essenzialità degli interni, lo spazio libero, come a volerlo riempire di pensieri, pronti a trasformarsi in scritti e film. Ma anche il rapporto con la natura, le rocce, la vegetazione, l’azzurro del mare. La bellezza della Costa gallurese ha fermato lo sguardo di Michelangelo Antonioni. È stato il rifugio del regista ferrarese e della sua compagna, Monica Vitti, il volto simbolo del cinema dell’incomunicabilità, ma poi quel rapporto andò in crisi e la Cupola fu abbandonata. 

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Dante Bini, la Cupola, Costa Paradiso (Sassari), 1970.

A Budelli vennero girate le splendide immagini che illustrano la fiaba raccontata dall’attrice romana al figlio in Deserto rosso, il primo lungometraggio a colori di Antonioni, che vinse il Leone d’oro al festival di Venezia. La spiaggia rosa è come un sogno, un paradiso cui la protagonista ricorre per sfuggire a una vita che le appare noiosa, grigia, alienante, come sempre nei capolavori del regista ferrarese. Vitti volle seguire le riprese nell’incanto dell’arcipelago. E fece conoscere ad Antonioni l’architetto Dante Bini, che lei aveva incontrato a Cortina. Bini è l’inventore della tecnica Binishell, un’unica gettata di cemento armato, sollevata dalla pressione dell’aria. Di cupole ne furono costruite due, una per Antonioni e un’altra più piccola per la privacy della Vitti.

La crisi di quell’amore segnò il cambio di genere cinematografico per il regista e per l’attrice. Antonioni passò al ciclo estero con Blow-up, Zabriskie point e Professione reporter. Ancora grandi film, di pregio formale e narrativo, tra i quali Blow-up spicca per la ricerca delle inquadrature, i colori pop, il mistero della realtà imprendibile. E naturalmente il fascino della swinging London. Il film vinse la Palma d’oro a Cannes. Tra gli interpreti, con David Hammings e Jane Birkin, una giovanissima Vanessa Redgrave. La grande attrice inglese ha dichiarato: “Prima ancora di lavorare con Michelangelo, lui per me era come un dio! Quando ho saputo che mi voleva per Blow-Up ho pensato: Mio Dio, avrò un ruolo come la Vitti! Lei è un’attrice eccellente: la adoravo, volevo essere come lei, e anche bionda come lei... ma non avevo nulla di Monica! Le mie speranze infatti erano davvero scarse, e Michelangelo disse che mi voleva con i capelli neri e delle strisce bianche”. 

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Michelangelo Antonioni e Monica Vitti sul set di Deserto rosso.

Intanto Monica Vitti riscopriva la vena comica di gioventù. Lei aveva cominciato col teatro, quello impegnato. Shakespeare, Molière. Poi l’incontro con un maestro, un grande maestro, quel Sergio Tofano che – dopo l’Accademia d’Arte Drammatica – la coinvolse nella messinscena della sua geniale invenzione, il Signor Bonaventura, il famoso personaggio del “Corriere dei piccoli”, l’omino che ripara torti e alla fine della storia viene sempre premiato con un milione. Tofano era un attore molto irregolare. Recitazione disincantata, ironica, straniante. Fu lui che, nei primi anni cinquanta, s’accorse delle qualità comiche di quella ragazza che interpretava i classici. E la convinse a cambiare nome: Maria Luisa Ceciarelli divenne così Monica Vitti. 

Ma quanti film ha fatto la Vitti? Più di cinquanta. Da mito dell’incomunicabilità – con Antonioni girò anche L’avventura, La notte e L’eclisse – a protagonista della commedia. Come Gassman, Sordi, Tognazzi, Manfredi, Mastroianni. Unica donna tra i giganti del cinema italiano. Del ‘68 è La ragazza con la pistola, diretto da Mario Monicelli. Interpreti, con la Vitti, Carlo Giuffrè e Stefano Satta Flores. Vitti è Assunta Patanè, giovane siciliana sedotta e abbandonata che, per difendere il suo onore, insegue il seduttore fino in Scozia. Naturalmente, armata di pistola. Fa coppia con Marcello Mastroianni in un film del 1970, Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca), regia di Ettore Scola. Il triangolo è completato da Giancarlo Giannini. Un posto particolare tra i partner artistici di Monica Vitti ha Alberto Sordi. E uno dei film più importanti fatti dalla coppia, con la regia di Sordi, è senza dubbio Polvere di stelle, 1973, in cui si rievocano i fasti dell’avanspettacolo. La soubrette Dea Dani e il comico Mimmo Adami, nel 1943 a Roma, vivono un momento di gloria, che però si rivela solo un sogno quando, finita la guerra, nella Capitale arrivano le grandi compagnie. Monica Vitti straordinaria: recita, canta, balla. 

Quella cupola abbandonata rappresenta la “cronaca di un amore”. Evoca un sodalizio artistico, e anche tanti attori, registi, uomini di cultura che vi furono ospitati. Tra gli altri Andrej Tarkovsij e Tonino Guerra. Lì nacquero idee cinematografiche, sceneggiature, soggetti. Mentre la cupola più piccola è abitata, la sorella più grande andrebbe recuperata. Nel 2014 è stata vincolata dalla sovrintendenza di Sassari e Nuoro. Nel 2016 il regista tedesco Volker Sattel ha realizzato un documentario, ospitato da festival e rassegne in tutto il mondo. 

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La Cupola, costruita nel 1970, oggi è proprietà di due famiglie. Si è impegnato il Fai. Un comitato promotore ha lavorato perché venisse ristrutturata e diventasse un museo del cinema. C’erano enti privati, tedeschi e svizzeri, pronti a dare una mano, ma i vincoli e la proprietà privata hanno fermato tutti i progetti. L’architetto Gianni Errico abita lì accanto, in Costa Paradiso. Al telefono dice: “Mentre le parlo, vedo la geniale costruzione di Bini. Bisogna salvarla perché è proprio come la villa di Curzio Malaparte a Capri. Tanta gente vuole vederla. Ha un grande valore architettonico.” C’è l’opera d’avanguardia. C’è il mare meraviglioso. Rocce e macchia mediterranea. Potrebbe essere set di film girati da registi famosi, ma anche luogo a disposizione di giovani uomini e donne di cinema. Sarebbe bello farla diventare una scuola di regia, sceneggiatura, scenografia. Se la comprassero e la recuperassero uomini e donne di cultura, la Cupola potrebbe tornare come ai tempi di Antonioni e della Vitti. Fa parte della memoria che vuole vivere nella cultura di un’Isola che cambia e si apre al mondo, e affronta le sfide dello sviluppo conservando il proprio patrimonio. Come quello di Costa Paradiso, dove la finzione cinematografica, mescolandosi alla meraviglia della natura, può offrirci una nuova, stupefacente, visione della realtà.

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