Speciale
Parole per il futuro / Buio
Un concetto o una cosa?
Il buio è un’idea, un concetto, un’astrazione? No, il buio è soprattutto una cosa, un fatto, una realtà tangibile. Ma come talvolta succede, è anche un’idea, un concetto, un’astrazione, una metafora. Come tale, non gode di grande prestigio. Come cosa, forse ancor meno. Cercheremo dunque di spiegare perché il buio sia come concetto sia come cosa è importante per il futuro, come lo è per il presente e lo fu per il passato. E per farlo guarderemo sia alla sua dimensione reale sia a quella metaforico-simbolica.
Ci piacerebbe consegnare al futuro un bene intatto e dire ai posteri: «Guardate che è prezioso, preservatelo delicatamente per il futuro», ma purtroppo il buio si trova già in pessime condizioni, gravemente alterato e danneggiato. Quindi si tratta di cercare di ricomporlo e ricostituirlo e mantenerlo in buono stato grazie all’esperienza e al pensiero e all’esercizio della responsabilità, perché così com’è non sta bene. Ci stiamo dando da fare a questo scopo anche se siamo vecchi, proprio perché i vecchi hanno conosciuto un mondo più buio (e più silenzioso) che era, paradossalmente, splendido. Rifiutiamo insomma l’idea, frequentemente espressa, che l’unica cosa che possiamo fare è «trasmettere il messaggio ai giovani». Balle. Poveri giovani, investiti dalla cura del mondo già a un’età in cui dovrebbero dedicarsi a imparare a leggere, a scrivere e a far di conto e a poco altro.
Il buio è male e ignoranza, ma anche riposo, introspezione, preveggenza
Oggi il buio è un lusso per pochi: auspichiamo invece che in futuro possa essere non un privilegio ma un bene comune disponibile a tutti, come è stato fino a non molti decenni fa. Il buio inteso non come mancanza, carenza, assenza di luce ma come valore e presenza in sé, altrettanto dignitoso della luce.
Non è facile affermarlo, se tutti i termini che designano assenza di luce esprimono contesti negativi, di ignoranza e oscurantismo; di male, ingiustizia e peccato; di vergogna, di imbrogli e di sotterfugi; di morte, di silenzio e di mistero nonché di femminile. Come non è facile consegnare al futuro, in quanto valore da preservare, la somma di tutti questi disvalori legati, pur metaforicamente, al buio.
Cerchiamo allora di compiere l’operazione uguale e contraria: quella di associare al buio, sempre metaforicamente, alcuni valori: forse, così facendo, al futuro sarà più facile accettarlo… Avremo così il buio del sollievo e del riposo, della concentrazione e dell’introspezione, nonché della preveggenza, e persino del maschile, che gli conferiranno, speriamo, bellezza e dignità.
Una connotazione positiva potrebbe nascere per es. in relazione alla condizione di oscurità che accompagna il momento serale della quiete, del sollievo e del riposo. Nel mondo preindustriale la notte e l’oscurità sono momenti di libertà e di attività notturne diverse da quelle diurne: riposo, sonno, sesso, cibo e alcol in compagnia (o in solitario); raccontare e ascoltare storie, ballare e cantare intorno al fuoco, guardare le stelle, osservare la luna, sognare e immaginare fenomeni sovrannaturali; fare giochi di carte, giochi amorosi, letture (leggiamo ancora la sera, a letto).
Tutto questo è scomparso o è stato comunque notevolmente alterato nel mondo sovrailluminato nel quale ci tocca vivere, e dove le città, nelle quali risiede ormai più della metà della popolazione mondiale, sono avvolte, invece che dal buio notturno, da una penombra biancastra e mucillaginosa di smog e illuminazione ad alta intensità.
Buio invece, allora come ora, è l’interno del nostro corpo. Al buio pompa e batte il cuore, i polmoni lavorano inspirando ed espirando nella più totale oscurità. Al buio serpeggiano le circonvoluzioni intestinali, scorre il sangue tra arterie e vene, i reni filtrano: al buio gli organi del corpo compiono a nostra insaputa i loro oscuri affari. L’interno del corpo sta letteralmente al buio, celato e protetto dalla pelle che fa da confine fra esterno e interno, e così sta metaforicamente al buio la coscienza o ciò che chiamiamo tale.
Il buio ci serve per pensare, ed è qui che il suo sapere risuona con maggior vigore: per concentrarci, entrare in rapporto col nostro centro, chiudiamo gli occhi, come se il buio producesse una capacità di visione interna. Chiudiamo gli occhi anche per assaporare più intensamente il piacere, di un rapporto amoroso o dell’ascolto di un brano musicale; chiudiamo gli occhi quando cerchiamo di ricordare un nome o una nozione che ci sfuggono, come se i ricordi giacessero nel pozzo oscuro della memoria da cui cerchiamo di ripescarli facendo sembiante di immergerci in quello stesso buio.
Chiudiamo gli occhi per concentrarci, per ricordare, per assaporare il piacere. Per aumentare dunque il nostro stato introspettivo e percettivo. Tant’è che la cecità è stata a lungo connessa con poteri sovrannaturali simili a quelli legati all’esperienza del sonno. Gli antichi Greci, abitanti di una cultura in cui la luce era promossa quale metafora pervasiva per la comprensione e la conoscenza (oìda = ho visto = so) nondimeno ritenevano che lo stato di cecità, l'inquietante figura del non vedente, offrisse prospettive straordinarie. Molte espressioni della coscienza e del linguaggio popolare comunicano comunque una percezione negativa della cecità, quando qualificano come «orbo» o «cieco» un comportamento, una strada, una finestra, un angolo. La cecità era temuta e tuttavia ritenuta stato altamente percettivo e in grado di favorire la capacità di prevedere gli eventi futuri.
E la sicurezza?
E se tutta questa bella difesa crollasse di fronte al fatto che la luce è, più che di sapienza e purezza, elemento fondamentale per la sicurezza, che sembra essere la condizione che più desideriamo e alla quale siamo disposti a sacrificare valori ancora più importanti del buio? Che quei fari luminosi e qui globi di luce artificiale che violano la notte generando luce abbiano per solo scopo produrre sicurezza? La luce, grazie al fatto che permette di distinguere forme e persone, produce sicurezza? Più luce (e più rumore!) producono più sicurezza? È questo che vogliamo per liberarci dalle paure, e quali paure? La paura del buio? Anche Dante, in fondo, intona i suoi canti per liberarsi dalla paura della «selva oscura» e cercare di trovare la «diritta via» per uscirne; anche Descartes, immaginandosi smarrito in una foresta oscura, propone di seguire la strada diritta per uscirne al più presto.
Forse abbiamo troppa paura oggi per sopportare il buio, o il silenzio. La paura è diventata ben prima della pandemia «la cifra della nostra epoca» al punto tale che per apprezzare il buio (e il silenzio) ci vogliono anime davvero coraggiose, un po’ stoiche, un po’ scettiche. Se non ci libereremo dalla paura che paralizza il giudizio e distrugge la libertà non riusciremo più a sopportare nemmeno il silenzio e il buio, né oggi né in futuro. O forse ci riusciremo ma i tremebondi li getteranno a mare gridando: «Non li vogliamo, ci fanno paura!». Rompiamoli, perforiamoli, trapassiamoli, eliminiamoli.
Cielo stellato e legge morale
A pensarci bene, la volta celeste in cui le stelle brillano sullo sfondo scuro del cielo tiene insieme il buio e la luce quali elementi non opposti né antitetici; anzi, in questo caso e nel prossimo, luce e buio sono elementi compresenti che si alternano nella posizione attore-sfondo in relazione alla prospettiva di chi guarda: astri brillanti che punteggiano il cielo, manto celeste cosparso di stelle. «Il cielo stellato sopra di me» è per Immanuel Kant uno dei grandi motivi che suscitano tra le persone stupore e venerazione. Del resto Kant aveva già notato, nella sua operetta sul bello e sul sublime, che «sublime è la notte, bello il giorno». Possiamo immaginare la notte stellata di Kant guardando l'omonimo dipinto di van Gogh: esso rappresenta la notte come ancora potevano vederla il filosofo prussiano e il pittore olandese, la notte dominata dall'oscurità naturale di cui godette la maggior parte della storia dell'umanità, prima che il buio fosse cacciato dalle pianure e dalle montagne, dalle città e dai villaggi.
Ma pure il secondo motivo di ammirazione e meraviglia avanzato dal filosofo, «la legge morale dentro di me», è a ben vedere un gioco di luci e ombre, una compresenza di splendore della legge morale e oscurità della coscienza individuale.
Sulla scorta di Kant che mescola l'elemento reale e materiale (la volta celeste, il firmamento) con quello concettuale e immateriale (la legge morale), avanziamo e giustifichiamo la nostra metodologia. Applicata al buio essa sovrappone la dimensione reale dell'oscurità, di competenza delle scienze fisiche e naturali, con quella concettuale elaborata dall'immaginazione e analizzata dal pensiero filosofico. Su questa linea riteniamo che un intervento che ridia dignità concettuale al buio potrà forse anche restituirgli rispetto dal punto di vista reale e materiale; uniamo risorse e competenze al fine di preservare la visione del cielo stellato, evitare lo spreco di energia, poter dichiarare che buio è bello. Nel senso che per far capire alle istituzioni e ai singoli che con le loro luminarie scatenate alterano e distruggono il patrimonio naturale e culturale, è decisivo ascoltare anche contributi dal sapore analogico oltre che logico, e tener conto delle qualità concettuali del buio sottraendolo alla dimensione di non-essere.