Speciale

Campioni # 2. Gherardo Bortolotti

5 Maggio 2014

 

05. diverse dalle scarpe che abbandoni in un angolo, dalle tracce sbiadite che hanno lasciato all’ingresso, decifrabili ancora, alle tue spalle, come prove di una stagione precedente del tuo essere vivo, del fatto che altrove hai solcato il presente, disfacendoti in parte, in superficie, sprecandoti nel processo del tuo futuro imminente.

 

03. differenti dalle belle mattine di sole, dalle occasioni, dalle piccole coincidenze che si innestano nel moto del giorno, come anime in fil di ferro, sottili, raggiate, filiformi, in grado di rimanere, nel tempo, dopo il crollo dei minuti, delle ore, in piedi come resti di muri in cemento armato, alzati in anni passati, consegnati al futuro, al disfacimento.

 

Qualche anno fa Agamben rifletteva sul fatto che «contemporaneo è chi riceve in pieno viso il fascio di tenebra proveniente dal suo tempo»; il contemporaneo, quindi, è un genere speciale di relazione con il proprio tempo che prevede insieme un’adesione e uno scarto, ovvero una dialettica tra vicinanza e lontananza che, a ben vedere, è l’unica che permetta di cogliere l’oscurità del presente. Il filosofo usava metafore stellari, ma il poeta può far discendere sul tavolo di casa propria il suo sguardo da esploratore degli spazi e trovare, nelle briciole del pane e nei resti di una qualsiasi cena, il disegno di costellazioni inattese. Uno sguardo da esploratore degli spazi domestico-stellari è quello che il lettore sa di poter sempre trovare nella scrittura di Gherardo Bortolotti ed è quello che trova anche in questo piccolo e bellissimo libro, Senza paragone (Transeuropa, 2013).

 

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Nella doxa comune, un’esperienza senza paragone è incomparabile, impareggiabile, impossibile da confrontare con qualsiasi altra (se la guardassimo da vicino, risplenderebbe di quella luce che secondo Agamben proietta il presente). Nelle poesie di Senza paragone (come si può ascoltare qui) troviamo sempre la struttura grammaticale della similitudine, ma privata del primo termine; ciò che resta sono catene associative parziali, anche se la compattezza dei testi non suggerisce in alcun modo l’idea di anelli mancanti o parti incomplete. Le catene associative sono introdotte da parole che si muovono lungo le direttrici simile/diverso: «come», «identico», «simili», «paragonabile», «affine», «analogo», «non diverso», «pari», «somigliante» o, invece, «diverso», «non come», «opposto», «differente», «non più», secondo una scala di prossimità a sé e al proprio mondo che fa pensare alle affinità chimiche di Goethe.

 

Le cose che stanno davanti ai nostri occhi parlano un linguaggio di miseria, di povertà, di speranze, di spreco della parte migliore del nostro tempo. Sono i dettagli a dirlo: la polvere sul tavolo, le briciole, le scarpe lasciate all’ingresso, il traffico del ritorno dal lavoro, le architetture tristi, la luce delle lampade d’ufficio, le pozzanghere, le fotocopiatrici, i semafori, le decurtazioni dello stipendio sono «come» noi, sono «simili» a noi, sono la nostra falsariga, sono una fattispecie di esistenza che si spaccia per vita autentica, anzi, per l’unica vita possibile. Sono la dispersione e l’entropia dunque a essersi impadronite della nostra percezione del tempo (uso intenzionalmente il pronome «noi», dato che la parcellizzazione dell’esistenza è ormai entrata a far parte della nostra esperienza da tempo immemorabile, più di quanto le nostre fibre riescano a ricordare), mentre l’incomparabile che ironicamente il titolo suggerisce si è sfilacciato e indebolito fino a diventare un’aspettativa da reality.

 

Il tempo dell’ufficio, allargatosi a macchia d’olio fino a coincidere quasi totalmente con il tempo dell’esistenza, è una cattiva infinità potenzialmente onnipotente e davvero infinita, proprio come la sfilza di similitudini inanellate da Bortolotti. Ciò che ci resta e che il linguaggio conserva insieme con freddezza e trattenuta commozione, è ciò che è diverso, è l’inaspettato che sfugge alle maglie della ripetizione, dell’identico, dalla «trama velleitaria che le cose si piccano di mantenere in piedi».

 

 

Gherardo Bortolotti è nato nel 1972 a Brescia, dove vive e lavora. Nel 2009, ha pubblicato Tecniche di basso livello (Lavieri) e ha partecipato all’antologia Prosa in prosa («fuoriformato» Le Lettere). Nel 2011 è stato incluso da Vincenzo Ostuni nell’antologia Poeti degli anni Zero (Ponte Sisto). Con Michele Zaffarano cura la collana Chapbooks per Arcipelago Edizioni, che pubblica letteratura sperimentale dalla Francia, dall’Italia e dagli USA. Ha pubblicato testi e traduzioni in rete e su rivista. È stato tra i fondatori e curatori del blog di traduzioni e letteratura sperimentale GAMMM (http://gammm.org) e redattore del blog letterario Nazione Indiana (http://www.nazioneindiana.com).

 

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