L’estate dei festival / Centrale Fies alla ricerca di naturali identità

6 Settembre 2019

L'uomo è un animale carente, “non definito” come diceva Nietzsche, un essere che deve prendere posizione nel mondo e colmare le sue mancanze con un'azione, costruendosi sovrastrutture e cultura. Rifacendoci all'antropologia tedesca di inizio Novecento, con la cultura l'uomo si crea la sua “seconda natura”, una gabbia innaturale nella quale riesce ad adattarsi e a trovare la propria posizione e la propria identità, in contrapposizione all'animale. In questa costruzione di sovrastrutture il “naturale diventa così tutto ciò che appartiene a una comunità, i canoni attorno ai quali si definisce la propria identità. 

 

La 39° edizione di Drodesera, svoltasi dal 19 al 27 luglio negli spazi di Centrale Fies, con la direzione artistica di Barbara Boninsegna in collaborazione con Filippo Andreatta, ha accompagnato gli spettatori in un viaggio verso l'abbattimento di queste sovrastrutture, alla ricerca di un contatto più diretto con la natura, dove ogni spettatore è stato invitato a cercare il proprio limite identitario e a superarlo. Ipernatural, questo il tema del festival, dopo un primo weekend dedicato all'arte contemporanea con una sessione di Live Works, nel secondo ha presentato un programma dedicato alle arti performative, volto alla demolizione dei nostri canoni naturali per uscire dalla zona di agio imposta dalla società e allargare orizzonte culturale e tolleranza. 

 

Raquel André, Collection of Lovers, ph. Alessandro Sala.


Valicare i nostri confini ci pone domande esistenziali, rimette in discussione il nostro io, il nostro canone e la società che ci accoglie. L'io si astrae dal corpo per diventare modello sociale. In un mondo sempre più politically correct che fa delle debolezze umane i nuovi punti di forza, la diversità diventa una dote e i tabù si annullano. L'intimità è un momento da palesare e condividere: i social network sono megafono di un privato ormai pubblicato sulla piazza digitale. La sfera emotiva in cui, senza il timore di attacchi esterni, morali e fisici, le difese si abbassano, come quando si dorme, non esiste più. Cosa succede quando si fanno entrare nella propria confort zone perfetti estranei? 

Nel 1979 Sophie Calle chiese a 28 sconosciuti di dormire nel suo letto, con turni di 8 ore per 8 giorni, creando una ritualità attorno a un giaciglio che non doveva mai rimanere vuoto, chiedendo in cambio di essere fotografati ogni ora. Un lavoro artistico e di osservazione che ha sancito il successo dell'artista e che l'ha portata alla Biennale di Venezia l'anno successivo. Ma oltre a un'operazione artistica, l'atto ha abbattuto anche una delle ultime barriere sulla prossemica del corpo, ricalibrando il concetto di intimità. Sulla stessa linea continua a giocare Raquel André con il suo Collection of Lovers: in un esperimento che durerà 10 anni, dal 2014 al 2024, l'artista portoghese raccoglie amanti di ogni nazionalità e genere. Sola in scena, con vaporosi capelli ricci raccolti in una coda e un microfono in mano elenca numeri, nomi, vizi, gesti, particolarità e curiosità dei 237 lovers che ha contato fino a luglio 2019, per lo spettacolo a Centrale Fies, sommati nelle città in cui è stata, incontrati in appartamenti differenti. Chi fuma, chi mangia, chi piange, chi vuole un abbraccio, chi si fa la doccia, chi vestito e chi nudo. C'è chi dopo l'incontro le fa dei regali, le manda delle mail, chi è solo e chi ha tradito qualcuno. Con ognuno ha costruito una intimità immaginaria, sviluppata in un'ora di solitudine, immortalata con fotografie, diventando così collezione e memoria per un progetto artistico che indaga la creazione di una nuova sfera privata, fittizia e artificiale. Il confronto con l'altro, tolta la maschera sociale, è di norma momento di creazione di una propria identità: ma André costruisce in questo modo un nuovo palcoscenico tra le mura domestiche. Realtà e finzione si fondono e l'intimità diventa solo un tema per un effimero progetto antropologico (e artistico), senza fine ma con molta amarezza, in un momento storico in cui l'unione tra persone è questione politica e burocratica quando si parla di stesso genere o paesi differenti. 

 

Michikazi Matsune, Goodbye, ph. Roberto Segata.


Uno dei gesti di massima intimità è scrivere una lettera di addio. I motivi per un saluto definitivo possono essere molteplici, ma molti si sono salutati con una confessione scritta: Maria Teresa d'Austria che scrive a sua figlia Maria Antonietta il giorno della sua partenza per la corte di Francia, il pilota kamikaze che lascia una lettera ai suoi due figli, un cieco che scrive al suo cane guida, o la nota suicida di Kurt Cobain. Sono queste e altre lettere le protagoniste di Goodbye, spettacolo di Michikazi Matsune, performer giapponese che vive e lavora in Austria. Seduto a una scrivania nella grande sala illuminata, apre una alla volta le lettere impilate che ha davanti a sé: ogni riga si trasforma in una confessione delle proprie paure, apertura a un'intimità che diventa pubblica. L'addio è un saluto corale, condivisibile, da cantare insieme, una compilation su youtube in cui il performer danza, salta, si sdraia esibendo un cartello con su scritto “Goodbye”, fino a prendere in mano un grande martello e distruggere gli orologi presenti in scena, in uno scaramantico allontanamento del momento dell'addio. 

 

Mohamed El Kathib, Renault 12.


Dopo Finir en beauté presentato al Festival d'Avignone nel 2015 e arrivato per la prima volta in Italia l'anno successivo a Centrale Fies, torna a Drodesera Mohamed El Kathib. Corollario allo spettacolo precedente, Renault 12 è l’esordio nel cinema documentario del regista e drammaturgo franco-marocchino, un road movie alla ricerca delle proprie origini, partendo ancora una volta dalla morte della madre. Presentato nella sezione 11th Continent al Marrakech International Film Festival 2018, il lungometraggio è la documentazione del tragitto da Orléans a Tangeri, durante il quale il regista incontra amici, parenti e passanti. L'elemento centrale continua a essere il grande vuoto lasciato dalla mamma: l'identità di un individuo abbandonato nel mondo, che intraprende un viaggio alla ricerca di un nuovo sé, sospeso tra un futuro lasciato a Orléans con una figlia che viene alle volte inquadrata e un passato in un Marocco che vive di ricordi. Un viaggio a ritroso per capire chi si è per ritrovare la propria strada e proseguire il cammino.

 

Ivana Muller / I'm Company, Conversations Out of Place, ph. Alessandro Sala.


Anche una festa può essere vissuta come un viaggio: Crowd della regista e coreografa francese Gisèle Vienne è una ritmica danza in slow motion, metafora della creazione di una comunità, tra incontri, allontanamenti in un gioco di difficile equilibrio (qui la recensione di Massimo Marino). Il viaggio alla ricerca di un contatto diretto con la natura lo cerca Ivana Muller / I'm Company con Conversations Out of Place, un dialogo tra corpo e immaginazione alla ricerca di una nuova relazione con il reale. Quattro esploratori che si muovono con gesti lenti, in contrasto con le voci che hanno una regolarità “standard”, si perdono in un paesaggio irreale composto da una sola pianta, dove il tempo scorre con ritmo innaturale: una composizione che disturba, aliena e disorienta. Man mano che i minuti passano, la meta della ricerca perde la sua importanza: il vero viaggio è la trasformazione di sé stessi entrando in simbiosi con l'altro e con la natura, alla ricerca di un ritrovato equilibrio nel mondo.

 

Cedric Price e Joan Littlewood, Little Fun Palace, ph. Il Gaviale – P.


A corollario di questa edizione di Drodesera, parcheggiata vicino alla seconda uscita di Centrale Fies, la roulotte di Little Fun Palace, che diventa all'occorrenza libreria e bar, consolle per djset e palco per conferenze. È un omaggio al Fun Palace, progetto cult dell'architetto Cedric Price e della regista teatrale Joan Littlewood, che negli anni Sessanta volevano realizzare una università della strada. Posizionata ai confini, come per sancire un dentro e un fuori dal mondo naturale e dal mondo umano/culturale, Little Fun Palace è luogo effimero che in un mondo in continua trasformazione e movimento, che fa della sua duttilità il punto di forza.

 

Ipernatural è stato un percorso alla ricerca di un nuovo spazio vitale in cui scoprire e impossessarsi di altre possibili nature, altre possibili esistenze, confermando Centrale Fies un avamposto per la cultura teatrale e performativa in Italia, in cui l'estetica va a braccetto con la messa in discussione dei canoni, per la creazione di nuove identità.

 

L’ultima fotografia, immagine di Ipernatural, è di Alessandro Sala.

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