Che cosa fa una coscienza?
Per chi legge i libri si parlano. Io sono un albero, il decimo capitolo de Il mio nome è rosso, il capolavoro di Orhan Pamuk, si chiude con queste, sorprendenti parole: “Un grande maestro miniaturista europeo e un altro grande miniaturista camminavano su un prato europeo e parlavano di maestria e di arte. Di fronte a loro si parò una foresta. Quello più abile disse all’altro: “Disegnare con metodi nuovi significa avere una maestria tale che, una volta disegnato un albero di questa foresta, un appassionato che guardi il disegno venga qui e possa distinguere quell’albero in mezzo agli altri”. Io, il povero disegno di albero che vedete, ringrazio Iddio per non essere stato disegnato con una simile mentalità. Non perché abbia paura che se fossi stato disegnato con metodi europei tutti i cani di Istanbul, credendomi vero, mi avrebbero pisciato sopra. Ma perché io non voglio essere un vero albero ma il suo significato”.
Alla domanda, “Che cos’è la mente?”, con il disegno di un albero si apre un volume fuori collana – perché fuori dai più consueti canoni editoriali – di Raffaello Cortina Editore, Figure della mente, scritto a quattro mani dalla biologa Simona Ginzburg insieme alla filosofa della scienza Eva Jablonka, e stupendamente illustrato dall’artista (e medico) Anna Zeligowski. Il disegno traduce (sono sicuro che “illustrare” non è il verbo corretto) una definizione della mente nei versi di Ikkyu Sojun, monaco zen, eretico, vagabondo, spirito libero e poeta giapponese del XV secolo: “Cosa poi sia la mente /Non è facile a dirsi: / È il soffio del vento /Che spira tra i pini /Di un disegno a china”.
Difficile trovare parole più ispirate di quelle di Pamuk per segnare lo spazio tra quelli che si preoccupano dell’essenza e della verità, e coloro che si interessano al significato (era un confine chiarissimo per Paolo Fabbri: “io non sono interessato a una prospettiva ontologica o a capire se qualcosa è vero o è falso: a me interessa cosa significa”); folgorante la finezza dei versi di Ikkyu Sojun, ché se si fosse fermato al soffio del vento che spira tra i pini, probabilmente avrebbe aggiunto l’ennesima immagine di “anima” all’idea di cosa sia la mente, sicché quel soffio, invece, spira tra i pini di un disegno a china: dentro una rappresentazione, un contenuto e un significato. Poesia, cos’altro? E sorprendente, fantastica la traduzione nello schizzo di Anna Zeligowski, che ovviamente a china restituisce la silhouette del pino ma, accettando il gioco di specchi del poeta, lo disegna con il ricamo delle sue stesse parole. Formidabile.
Se poi ci aggiungete che tutto è scritto e commentato e disegnato per restituire quello che si può dire della coscienza, ovvero il tema dei temi, il problema (difficile) dei problemi… c’è da far felice oltremisura il recensore: si è capito?
La biologia evoluzionistica è, nelle parole delle autrici, il filo di Arianna necessario per non perdersi nel labirinto di una serie di domande che interrogano moltissime pubblicazioni degli ultimi anni (e molte delle quali trovate recensite nel progetto editoriale di Doppiozero): “Com’è apparsa la coscienza nel corso dell’evoluzione? Quali varietà di coscienza si possono distinguere? La coscienza umana ha proprietà speciali? E, in caso affermativo, che cosa la contraddistingue? Possiamo concepire forme di coscienza aliene o artificiali?”. Nelle pagine di questo volume si trovano le idee delle autrici insieme ad argomenti di scrittori, poeti, filosofi, psicologi e biologi. Ma non basta. “In parallelo al testo [in parallelo!] faremo leva su immagini visive e verbali per cercare di illustrare questi problemi e fornire qualche elemento di risposta. La ricchezza e l’ambiguità costitutiva delle immagini e delle metafore aiutano l’immaginazione e l’interpretazione a spaziare con maggiore libertà”.
L’inversione del senso comune è illuminante: immagini e metafore non come “tradimenti” del contenuto scientifico, ma come sostegno all’immaginazione e all’interpretazione, così da spaziare con maggiore libertà dentro quegli stessi contenuti, continuando a rispettarne il rigore. Un programma di lavoro.
Che si sviluppa in cinque panoramiche: la prima a illustrare alcuni classici modi attraverso i quali abbiamo provato a figurarci cosa sia la coscienza; la seconda, formulando una serie di domande su cosa e specialmente “chi” si può definire cosciente; la terza introducendo il quadro teorico della biologia evoluzionistica come imprescindibile riferimento; la quarta occupandosi nello specifico della coscienza umana; la quinta, per finire, su alcune varietà anomale che vanno oltre le proprietà più familiari, così “da indagare con l’immaginazione e la fantasia le sue possibili espressioni future, e addirittura una coscienza extraterrestre”. 72 quadri (è proprio il caso di dire) più la prefazione, le note e l’indice analitico, accompagnati da 78 tavole, qualcuna sorprendente, alcune meno riuscite nel cedimento didascalico, ma tutte originali e riconducibili alla cifra stilistica dell’artista, Anna Zeligowski. Per la struttura e le ragioni compositive che abbiamo appena riassunto, tentare una sintesi dei “contenuti”, più che difficile sarebbe sbagliato: nel miscelare arte, filosofia e scienza – come avvertono le autrici, tutte, nella prefazione – l’intento e l’auspicio è quello di stimolare l’immaginazione dei lettori. Il giudizio sul risultato non può che rimandare all’esperienza di ognuno di quelli.
Ciò che vale la pena sottolineare, però, è che il progetto editoriale, proprio perché irriducibile ad una prospettiva divulgativo-didascalica, volendo consapevolmente incoraggiare la curiosità in luogo di riassumere tutti i problemi, le domande, i punti di vista, alcune possibili risposte, non di meno si esime dal proporre una personale visione del “problema difficile”, inquadrandolo epistemologicamente e schierando le autrici all’interno di un preciso programma di ricerca. Per rispondere alla domanda, da cosa dipende la coscienza, occorre una teoria della mente: “Noi autrici come la pensiamo? Come spiegheremo nella prossima sezione, la terza, siamo convinte che l’evoluzione della coscienza sia un fenomeno legato all’evoluzione dell’apprendimento, anzi, che le due cose siano inscindibili”.
Non a caso è nella la terza panoramica, dal titolo, “Come è evoluta la coscienza?”, proprio nei primi tre capitoli – laddove le autrici sottolineano la necessità di riassumere l’ultima versione della dottrina evoluzionistica, giacché come tutte le teorie scientifiche viene continuamente aggiornata, “e trattandosi del fondamento sul quale poggerà la nostra teoria della coscienza” – che a gusto del recensore si trovano alcune delle tavole grafiche più riuscite: una coloratissima versione dell’albero intricato (di cui anche al saggio di David Quammen) a pagina 79, “la fauna e la flora delle Galapagos hanno ispirato le intuizioni del giovane Darwin” (a pagina 83). Per procedere in termini di analisi evoluzionistica, a parere delle autrici, si deve e si può circoscrivere il motore del “cambiamento” a diversi livelli: quello genetico-molecolare, quello fisiologico-evolutivo, quello comportamentale o culturale. Se però è vero che gli organismi modificano il loro comportamento e la loro fisiologia così da rispondere al mutare delle circostanze esterne (il mondo) e interne (il genoma), “i loro adattamenti culturali e comportamentali tendono spesso a precedere il cambiamento genetico e contribuiscono a prefigurare le circostanze in funzione delle quali le variazioni saranno selezionate”. Una visione originale: in sostanza, gli adattamenti contribuirebbero alla modifica di quelle circostanze esterne che poi premieranno la variante genetica più adatta a quegli stessi cambiamenti. Nelle parole della biologa evoluzionista Mary Jane West-Eberhard: “In materia di evoluzione i geni sono seguaci, non apripista” (e bello, di nuovo, il disegno del cavallo – un cavallo fatto di un centinaio di altre figure – che trasporta un carretto a forma di DNA). Ne consegue che l’approccio integrato al ragionamento evoluzionistico, capace di considerare gli effetti delle variazioni sia a livello di DNA, che di sviluppo epigenetico, di comportamento e di cultura “è adottato da un numero sempre maggiore di biologi – noi comprese”.
Ma come mettere a punto una teoria evoluzionistica della coscienza senza mettersi d’accordo sulla definizione dei termini chiave? Secondo le autrici, come ha fatto il chimico ungherese Tibor Ganti, affrontando il problema (simile) dell’origine della vita: quando stilò un elenco di capacità la cui compresenza, in linea di principio, si poteva ritenere sufficiente per parlare di vita. Per Ganti l’elenco comprendeva: un confine che separa l’entità dall’esterno, il metabolismo, una persistenza dinamica nel tempo, la conservazione di informazioni, la regolazione dell’ambiente interno, la crescita, la riproduzione, la dissoluzione irreversibile (morte). Qual è il singolo marker capace di implicare la presenza di tutte queste caratteristiche? Un’ereditarietà illimitata. “E un buon esempio di sistema a ereditarietà illimitata è quello incentrato sul DNA”.
Quale lista di capacità dobbiamo presupporre per parlare di una forma elementare di coscienza? Secondo le autrici: unità e molteplicità (un essere cosciente ha la capacità di formare immagini unificate del mondo e del corpo), accessibilità globale e trasmissione, esclusione selettiva e attenzione, intenzionalità (“coscienza di”) e rappresentazione, integrazione nel tempo, sistemi affettivi di valore e obiettivi, incorporazione e agentività, senso del sé. Anche in questo caso, anche per la coscienza, si deve cercare e si può dire che esiste una singola proprietà (un marker, appunto) la cui presenza in un’entità data implicherebbe da sé la compresenza di tutte le caratteristiche di base della coscienza? “Noi siamo convinte di averlo individuato […] è costituito da una forma di apprendimento associativo a orizzonte aperto che proponiamo di chiamare apprendimento associativo illimitato (unlimited associative learning, UAL)”.
Ci siamo limitati a riproporre un elenco, di per sé esplicativo di poco, e a virgolettare la convinzione di ricerca delle autrici, per ribadire che Figure della mente, non è un testo di divulgazione sul tema “la coscienza attraverso la lente dell’evoluzione” (come recita il sottotitolo), del tipo di quelli che riassumono l’ipotesi degli autori, in questo caso delle autrici, a confronto con le diverse convinzioni e i molti indirizzi di ricerca che corrispondono ad altrettante équipe di ricerca che, ai quattro angoli della Terra, si stanno misurando con il problema dei problemi. Le ipotesi delle autrici le trovate argomentate, e potete confrontarle con quelle di Joseph LeDoux, di Stanislas Dehaene, di Anil Seth, di Antonio Damasio, di Mark Solms. Ma Figure della mente è, principalmente, un esperimento di allargamento possibile del pubblico degli interessati nella misura in cui, lo ricordiamo ancora, fa leva su immagini visive e verbali e si affida alla ricchezza e all’ambiguità costitutiva delle immagini e delle metafore a sostegno dell’immaginazione e della interpretazione di lettori: perché chiunque possa “spaziare con maggiore libertà”. Un esperimento che si rivolge a tutti, “dagli studenti liceali più curiosi ai professori in pensione: a chiunque si senta affascinato dal tema della coscienza”.
È un libro, Figure della mente, che anche noi ci sentiamo di consigliare a tutti.