Cina-Usa: tecnologie e palloni-spia

20 Febbraio 2023

Nel recente discorso sullo stato dell’Unione del 7 febbraio 2023, il presidente Biden ha affermato che gli Stati Uniti proteggeranno la loro sovranità quando essa è attaccata, con riferimento al pallone-spia cinese che ha sorvolato il suolo americano prima di essere abbattuto al largo della South Carolina il 4 febbraio. La richiesta del Pentagono di chiarire con la Cina l’accaduto è stata respinta dal governo cinese.

Per capire il vero retroterra di un simile scontro leggiamo il libro di Alessandro Aresu, Il dominio del XXI secolo. Cina, Stati Uniti e la guerra invisibile sulla tecnologia (Feltrinelli 2022). Si legge come un romanzo, questo saggio che è il migliore studio di geopolitica oggi in Italia. Lo ha scritto un filosofo di formazione, allievo di Massimo Cacciari e Guido Rossi, oggi esperto di geopolitica e di politica tecnologica e consigliere scientifico di Limes, la rivista diretta da Lucio Caracciolo: ha le categorie giuste, quelle del dominio e della potenza, per entrare nei meandri della fase attuale della globalizzazione.

L’intelligente libro di Aresu non parla mai di guerra tra Stati Uniti e Cina come scenario militare diretto, come ha fatto un generale americano, Michael A. Minihan, a capo della mobilità aerea, in un memorandum distribuito ai suoi subordinati lo scorso 1° febbraio, in cui si fa la data del 2025 come possibile orizzonte del conflitto. Ma il libro parla continuamente di guerra tecnologica tra le due superpotenze, che è parte di uno scontro permanente per il dominio del mondo. Certo l’epoca del “consenso di Washington”, quando i parametri economici fondamentali del mondo intero erano fissati dagli Stati Uniti, è tramontata da tempo.

Nel frattempo la Cina, entrata nel WTO (World Trade Organization) nel 2001, è diventata il nuovo centro manifatturiero del mondo, e non più solo la fabbricazione, ma la concezione e il controllo delle tecnologie di punta sono oggi in via di trasferimento verso i grandi poli tecnologici Asiatici. Il ruolo cruciale è svolto dalle supply chains, le catene di fornitura globali di cui Pechino ha assunto il ruolo di architetto. Le sue posizioni sui vari segmenti delle catene principali, in particolare le terre rare (litio, cobalto), l’energia, l’auto elettrica, e l’innovazione digitale, sono cresciute a scapito dei suoi partner e dei suoi rivali.

Un punto chiave è però la relativa eccezione nell’industria delle industrie, i semiconduttori. Qui Taiwan ha il primato, e il destino politico e militare dell’isola più importante del mondo è tutto legato a questo incontrastato dominio: da quando Morris Chang, nato in Cina nel 1931 e divenuto negli Stati Uniti uno degli ispiratori dell’industria dei semiconduttori, fonda la Taiwan Semiconductor Manufactury Company (Tsmc), che attraverso enormi fabbriche da trent’anni domina la produzione in conto terzi dell’anima dell’industria informatica mondiale, i microprocessori.

E qui interviene la guerra dei semiconduttori tra Stati Uniti e Cina. In nome della sicurezza nazionale infatti, gli Stati Uniti avviano nel 2019 le sanzioni nei confronti dei principali gruppi industriali cinesi: Huawei in testa. Ma è l’intera supply chain dei semiconduttori, in cui operano Apple e altri grandi, ad essere scossa: il governo americano intima a Apple nel 2022 di non comprare chips dalla cinese Yangtze Memory Technologies Co, su cui Pechino punta molto. Le transazioni di mercato ne vengono sconvolte. Si impone il primato della politica. A bene vedere sia Cina che Stati Uniti sono capitalismi politici, l’uno guidato dal partito comunista cinese l’altro dall’apparato industriale-militare statunitense.

Tutto era iniziato molti anni prima, a ridosso della seconda guerra mondiale, quando la sicurezza nazionale degli Stati Uniti diviene il parametro-chiave di ogni manovra economica, politica e militare. Il National Security Act è del 1947, il Defense Production Act è del 1950: ma è nei decenni successivi che proliferano gli interventi per assicurare le supply chains dalle influenze del nemico. Peccato che la globalizzazione abbia nel frattempo messo nelle mani della Cina le chiavi principali delle catene globali del valore. E che tutti i più recenti tentativi di riportare in America le produzioni siano nel frattempo falliti, nonostante la retorica dell’”America great again”.

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Ambiguità e fallimenti americani non significano però che non siamo entrati in un’altra era, quella del sanzionismo. Il Cfius, comitato interdipartimentale del Tesoro americano, può scrutinare e bloccare ogni investimento estero degli Stati Uniti, facendo ricorso a una vastissima competenza settoriale, e con possibilità di intervenire anche in termini retroattivi e su transazioni che riguardino gli Stati Uniti anche in modo secondario.

Tutto il mondo, a partire dalle imprese cinesi, deve subire, aggirare e prevedere il sanzionismo americano. Ma anche le guerre in corso ne sono condizionate: ad esempio le esportazioni globali di semiconduttori verso la Russia dopo le sanzioni sono crollate del 90%, con conseguenze sulle industrie dell’aerospazio e della difesa russe. Ma è soprattutto la Cina il target delle sanzioni americane: l’accelerazione è impressionante a partire dal 2018.

Prima ha colpito la corsa cinese nel 5G (blocco dell’operazione Qualcomm-Broadcom e moral suasion verso tutti i governi occidentali per impedire la penetrazione cinese). Poi ha indotto l’olandese Asml leader mondiale dei semiconduttori sotto i 7 mn (nanometri) a non esportare le sue macchine-necessarie per produrre semiconduttori sotto i 7 mn-verso la cinese Smic (Semiconductor Manufacturing International Corporation) su cui punta tutto la leadership cinese.

Quindi ha inserito Huawei leader cinese nelle telecomunicazioni (195.000 addetti in 170 paesi), Smic leader cinese nei semiconduttori, e Dji leader cinese nei droni, nella entity list (che comporta l’obbligo di chiedere licenze per l’esportazione). Ha tentato di bloccare l’avanzata di TikTok, leader cinese nei social network, videogiochi e istruzione nel mercato americano, dove essa peraltro opera con dirigenti e capitali americani, ma le decisioni sono state rese inefficaci dall’operato delle corti di giustizia americane. Ha bloccato l’acquisizione della coreana Magnachip da parte del fondo cinese Wise Road Capital, e ha messo sotto controllo tutte le filiere dei semiconduttori, batterie, e altri materiali critici per la difesa.

Basterà tutto questo a ritardare, o perfino bloccare, l’avanzata cinese? Un decennio fa quasi tutte le principali piattaforme Internet erano americane, oggi 6 delle principali 10 sono cinesi. La Cina nel 2025 avrà 77.000 dottori di ricerca all’anno nelle discipline Stem (scienza tecnologia matematica) da cui dipende lo sviluppo futuro delle tecnologie di punta, contro i 40.000 americani. Il sorpasso è già avvenuto. Gli effetti della rivoluzione manifatturiera globale si sono realizzati, nella cecità o nello strabismo occidentali (Biden pensa tuttora che “la Cina non innovi”, mentre sta entrando a valanga nei settori di punta del digitale, dell’automotive elettrico, dell’estrazione mineraria di paesi come Cile, Argentina, Australia e Africa nelle materie prime rare).

Nel frattempo anche la Cina risponde con le sanzioni: da ultimo il Ministero del Commercio cinese ha aggiunto alla lista delle unreliable entities, cui è proibita ogni attività di esportazione e importazione correlata alla Cina, due imprese americane come la Lockeed Martin Corp. e la Raytheon Technologies Corp., ‘colpevoli’ di aver venduto armi a Taiwan.

Il progresso tecnologico non libera i settori, al contrario li incatena alle decisioni degli apparati statali, secondo un crescente nazionalismo tecnologico o imperialismo. E tutto il resto, a partire dal grande tema del cambiamento climatico (Cina e USA sono i principali responsabili delle emissioni mondiali di CO2) ne risulta dipendente, facendo entrare la crisi climatica tra le variabili della sicurezza nazionale. Questo passaggio chiave del libro, improntato a un realismo politico in cui risuonano gli echi di Hobbes e Schmitt, mostra anche la pericolosa novità dell’epoca nostra: ormai non si tratta più di stati di eccezione alla Schmitt, ma di assoluta normalità, di stato delle cose. E allora le domande si affollano: cosa resta della politica democratica? cosa resta del “valore” da difendere nei confronti della marcia della burocrazia celeste cinese? La risposta di Aresu è: la sicurezza nazionale è il vero ritmo politico del mondo, e ogni grande democrazia ne farà un uso crescente.

La stessa Europa, spettatrice del grande conflitto che si prepara, inadeguata nella gara tecnologica e militare in corso, dovrà ripensarsi. Il libro si chiude con una lunga citazione del personaggio Hans Castorp, il protagonista della grande opera di Thomas Mann, Der Zauberberg. Il giovane ingegnere di Amburgo, espressione del mondo borghese della precisione, lasciandosi alle spalle la Montagna Incantata, incontrerebbe oggi il porto di Amburgo in mani cinesi, gli ingranaggi delle supply chains, le pretese delle politiche industriali sempre più dipendenti da vincoli esterni, la violenza delle sanzioni. Oppure come nel romanzo di Thomas Mann, sparirebbe nella stessa tempesta che ha investito il giovane protagonista, una “mondiale sagra della morte” che attende il nuovo universo della precisione.

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