Civitonia: viaggio al Festival che (non) c’è 

13 Gennaio 2023

Civitonia. Riscrivere la fine o dell’arte del capovolgimento è il nome del festival “inaccadente”, pensato, progettato e realizzato a e per Civita di Bagnoregio da Giovanni Attili, docente di urbanistica all’Università di Roma La Sapienza, e Silvia Calderoni, performer e attivista con Motus e non solo – insieme a una serie di fiancheggiatrici e fiancheggiatori da luglio a dicembre 2022.

Contravvenendo alla modalità comunicativa con cui è stato costruito l’evento nei mesi, diciamo subito che si è trattato di un festival fake, che non c’è stato materialmente o, per dirla più correttamente, che si è svolto in un altro modo. 

Prima di tutto perché si è trattato di atto performativo e di un gesto politico che ha intercettato due tensioni critiche convergenti: quella verso un territorio e il suo sfruttamento turistico e quella verso le politiche culturali orientate all’iperproduzione. 

Secondo, perché è stato costruito come un dispositivo capace di declinare il formato festival – il suo ancoraggio a un luogo fisico, l’iconico borgo di Civita di Bagnoregio arroccato nel promontorio del viterbese, la ricerca artistica e la transitorietà evenemenziale della performance – alle logiche della mediatizzazione, alla messa a punto, cioè, di un evento che, per lo meno per il pubblico, ha avuto (e ha ancora) altri luoghi (mediali e online) per essere fruito. 

Dunque, proprio per la sua natura progettuale di gesto performativo e politico che avrebbe prodotto spettacoli, performance, mostre, installazioni, incontri immateriali per un pubblico che non ci sarebbe materialmente stato, la qualità comunicativa del Festival di Civitonia è stata una parte fondamentale di tutta l’operazione. 

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I primi mesi sono serviti per la campagna di lancio del Festival: sono apparse le prime locandine – prima con frasi evocative (NON È COLPA DEI TURISTI, UNA CARTOLINA NON È UNA LAPIDE, NON CI SERVE UN FESTIVAL PER IMMAGINARE L’ALTRIMENTI, NON NASCONDIAMO LE CREPE, CIVITA NON È UNA CITTÀ ecc.), poi con l’indicazione “Festival di Arti Performative a Civita di Bagnoregio” e con i nomi delle/dei partecipanti – a Civita, Milano, Roma, Venezia, Orvieto e a Santarcangelo. Contestualmente sono stati aperti il sito civitonia.com, la pagina Facebook e l’account Instagram, gestiti sistematicamente con la pubblicazione dei contenuti che via via l’organizzazione del Festival, in media partnership con Nero Editions, produceva secondo un’identità visiva precisa e un’immagine coordinata riconoscibile e coerente. Gradualmente è stato annunciato il programma con i nomi di chi ha partecipato – Chiara Bersani e Marta Montanini, CHEAP, Fratelli D’Innocenzo, Daria Deflorian, Francesca Marciano e Valia Santella, Eva Geatti, Francesca Pennini e Vasco Brondi, Alice Rohrwacher, Simona Pampallona, Anagoor, Alessandro Sciarroni, Michele Di Stefano, Giorgiomaria Cornelio, Pietro Gaglianò, EXTRAGARBO, Emanuele Coccia, Annalisa Sacchi. Sono poi state fornite le date del Festival dal 13 al 16 ottobre 2022, il calendario delle giornate e le modalità per partecipare indicando un indirizzo mail al quale scrivere per prenotarsi, salvo poi ricevere la risposta di sold out vista la grande richiesta e l’impossibilità di soddisfarla… pare che qualcuno, sentendosi escluso, ci sia anche rimasto un po’ male. 

Nel frattempo, artiste e artisti si alternavano nei dieci mesi di gestazione del Festival andando (realmente) in residenza a Civita ad elaborare le loro idee senza limite di budget e di spazio. Vero e proprio esercizio di immaginazione improduttiva libero dai vincoli politici, burocratici ed economici.

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Nei giorni del Festival sono apparse sui social media delle fotografie che ritraevano (mai avvenuti) incontri pubblici per poche persone, passeggiate nei campi, performance partecipative. Tutto materiale prodotto verosimilmente in set arrangiati per restituire la rappresentazione del Festival di Civitonia mentre sul sito di Nero Editions venivano pubblicate le recensioni dei lavori “come se” fossero stati visti per davvero. 

Una verosimiglianza e una credibilità che non solo ha spiazzato quella parte di pubblico che avrebbe voluto esserci, ma lo stesso Comune di Bagnoregio che, attraverso il Sindaco, ha diffidato via Facebook il Festival a diffondere informazioni sul territorio non vagliate e autorizzate dall’amministrazione e a non sfruttare immagini e situazioni soggette al controllo pubblico. 

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Il Festival si è concluso con la conferenza stampa del 18 dicembre, al Macro di Roma, con la presentazione del doppio catalogo, edito da Nero. Il libro è l’oggetto in cui, per usare la metafora morfologica su cui viene sviluppato, si depositano tutti i materiali che sono serviti per realizzare il progetto e in cui il dispositivo che lo sostiene viene accuratamente disvelato. Il Volume I è dedicato al Festival: presenta il programma, pubblica nelle parti chiamate Sedimenti scritti, fotografie, disegni ecc. prodotti da artiste e artisti, ovvero le uniche tracce materiali dei loro lavori immaginati, e nelle parti chiamate Scavi i dialoghi di approfondimento raccolti da Attili e Calderoni. Chiude il Volume la parte Geologia Poetica che riguarda il ciclo di conversazioni mai avvenute, a cura di Paola Granato, previsto nel programma e inteso come momento di apertura e approfondimento sui temi del Festival. 

Se le foto su Instagram mostrano momenti di questi incontri allestiti come se stessero accadendo, il contenuto delle riflessioni e dei pensieri del poeta, regista e curatore Giorgiomaria Cornelio, del critico d’arte Pietro Gaglianò, del collettivo Extragarbo, del filosofo Emanuele Coccia e della studiosa Annalisa Sacchi possono essere letti nel Volume II. 

Ed è qui, nel libro chiuso da un lucchetto la cui combinazione va richiesta per mail, che il meccanismo fake/situazionista e il processo di creazione del progetto viene rendicontato dettagliatamente, nei suoi passaggi e nell’idea che lo sostiene.

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Un’idea che vede nel formato festival e nell’attivazione di una prospettiva di osservazione turistica alternativa da parte di artiste e artisti una possibilità generativa che riguarda l’arte e la sua funzione: la capacità di produrre forme inedite che qui vuol dire anche propensione verso uno sguardo turistico nuovo. Infatti, il mandato di Attili e Calderoni è stato quello di trascorrere del tempo a Civita “per guardarla in un altro modo. A cercare un potenziale nascosto non immediato, a evocare tra quelle pietre una forma di infestazione artistica”.

Ed è così che l’immaginazione lasciata libera dalle maglie stringenti della produzione ha creato progetti installativi e sonori, atmosfere ludiche o, viceversa, tragiche, riti collettivi che interrogano e, contestualmente, chiedono alle persone partecipanti (turisti e abitanti) di interrogarsi sullo statuto dell’immagine contemporanea e sul suo rapporto con l’esperienza. Viene messa in dialettica, insomma, la relazione fra il vedere e il fare richiamando, di fatto, una questione endemica nella cultura occidentale ovvero il rapporto controverso con le immagini che trova nelle arti e nel turismo degli affascinanti punti di contatto.

Fonte di ispirazione per molti dei progetti è il lavoro di Attili, Civita senza aggettivi e senza altre specificazioni (2020, Quodlibet) che ripercorre le vicende della “città che muore”, il ruolo dell’architetta Astra Zarina nella sua ricostruzione, il progressivo sfruttamento turistico che ha ulteriormente infragilito il territorio e la sua identità. 

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I progetti, nel loro insieme, colgono tutte queste tensioni senza naturalmente trasgredire le singolari prospettive di ricerca e poetiche. Chiara Bersani, artista disabile e attivista, insieme alla ricercatrice Marta Montanini propongono Linea Fissa. Servizio interattivo. Una performance che elabora l’idea del crollo, della franosità e della fragilità del corpo di Civita, in analogia con quello di Chiara e costruisce un percorso partecipativo e collaborativo per individuare cabine telefoniche sparse in luoghi franosi e mettersi in contatto per raggiungere e condividere un bivacco. Nel Volume I troviamo l’opuscolo che spiega come fare. 

Il collettivo Cheap, specializzato in interventi di arte pubblica, immagina Fermati, per favore, una serie di manifesti giganti da affiggere nei punti dove i turisti si fanno i selfie con messaggi che invitano a riflettere sulla turistificazione di massa e che richiamano alla responsabilità collettiva rispetto alla città: “Vieni a morire con Civita”, “Tourism is terrorism”, “Fermati per favore”, in un altro, invece, la parola Civita si ripete più volte, sgranandosi riga dopo riga. 

I Fratelli D’Innocenzo, che conosciamo prevalentemente come sceneggiatori e registi, scelgono per Civitonia di utilizzare il medium scrittura tanto che con O Civita O Morte. Volume I progettano un’antologia che contiene 15 contributi di autrici e autori inesistenti messi insieme per la loro eterogeneità. Viene presentato l’indice e pubblicato il primo racconto ‘Sti comuni mortali qua di un certo Walter Balestrieri, una storia breve metaforicamente collegabile al progetto. 

L’attrice, autrice e regista Daria Deflorian realizza Pane per i loro denti. Liti, segreti, noie e dolori degli altri. Installazione sonora di 40 minuti che vuole “riportare un po’ di cattiveria a Civita” mettendo insieme spunti biografici con la riscrittura di alcuni stralci dei racconti di John Cheever per dare la possibilità agli spettatori di origliare da porte e finestre delle case i litigi, i segreti, le cose che non si dicono in pubblico. Alla fine del percorso lo spettatore può raggiungere una casa appartata dove sfogarsi ed entrare così a far parte dell’archivio di voci raccolte e diffuse per le strade. 

Anche le sceneggiatrici e registe Francesca Marciano e Valia Santella uniscono parti delle loro esperienze personali e di ricerca per il loro cortometraggio Il sonno e la cura. Richiamando storie simili avvenute in Messico e in Svezia, grazie al coinvolgimento di una ricercatrice, di un antropologo, di una giornalista e degli abitanti, Civita è raccontata come un organismo che si addormenta e che dormendo si cura. Nella forte risonanza con il trauma recente del Covid, il film immagina animali che riappaiono e un’idea di ritrovato equilibrio tra essere umano e natura come buon auspicio non solo per i civitonici. 

Eva Geatti, progetta Ascesa di un futuro, una performance visibile dal versante opposto della valle, al calar del sole quando un gruppo di scalatrici e scalatori/performer dell’Associazione Proletari Escursionisti – sulla scorta di quanto fecero le suore di Civita nel 1690 – si presentano alle pendici del paese per raccogliere detriti e scarti depositati nei calanchi a seguito dei crolli del terreno per poi radunarli ritualmente sul sagrato della chiesa e dar loro nuova vita. I disegni raccolti nel libro e le didascalie vanno a comporre uno storyboard che, anche in questo caso, è da considerarsi l’esito visibile dell’opera. 

La coreografa Francesca Pennini e il cantautore Vasco Brondi imbastiscono un complesso rito collettivo dal titolo Sotto alle palpebre. Un’altra Civita per altri occhi. Preparata da un’esplorazione bendata di Pennini, guidata da Brondi, di cui leggiamo il racconto, la performance è costruita come un viaggio a occhi chiusi anche per i partecipanti. Un percorso insolito e tortuoso, con compiti da svolgere che finisce con una camminata all’indietro sul ponte per accogliere gradualmente Civita nel campo visivo, un panorama che allontanandosi diventa qualcosa di microscopico di cui prendersi cura. 

Di temperatura più ironica è invece il lavoro della regista Alice Rohrwacher. Per non mettersi al servizio della dittatura del visibile, lei che da regista si occupa di produrre immagini, ha scelto un dispositivo interattivo che portasse a Civita un’azione, un fare e un mettersi in gioco potenzialmente trasformativi. La sua proposta è Scivolovalle, uno scivolo lungo 178 metri che da Civita porta a fondovalle in 47 minuti. Ma il gioco non finisce. Il tranello sta nella risalita. Nelle pagine dedicate ai Sedimenti, una specie di depliant da pro-loco descrive come “attraverso un favoloso percorso a tappe, si intraprenderà il ritorno verso la segreta Civita, diamante incastonato nell’argilla della valle”. 

Simona Pampallona pensa all’allestimento di Andare fuori. Mostra timida, una mostra fotografica realizzata durante la residenza a Civita insieme al figlio, alla scoperta delle valli, lontano dai sentieri tracciati, fotografando quello che l’industria turistica trasforma in scarto. Allestita nel Bucaione, la galleria tufacea che attraversa il sottosuolo di Civita, la mostra è visitabile giorno e notte grazie a un sistema di temporizzazione che alterna intervalli di luce e buio. Sempre interessata al confine sfumato fra realtà e finzione, che viene anche dalla sua esperienza come fotografa dei set cinematografici, Pamp si immerge nell’immaginario di Civita proponendo uno sguardo che va oltre ai cliché visivi. 

La compagnia Anagoor presenta la Festival La bugonia. Beehumming un progetto complesso sviluppato in due fasi. La bugonia, che prende il nome da una tecnica antica che serviva per far nascere le api dal sangue degli animali uccisi, è un rito magico di rigenerazione per Civita svolto nella primavera senza turisti e senza documentazione. Beehumming (il ronzio delle api) è l’atto conclusivo pensato per il Festival: un’installazione sonora attiva in tre momenti specifici della giornata per tre concerti di percussioni metalliche, suoni naturali e beehumming immersivo, amplificati e diffusi per le strade da ripetitori dislocati in tutto il borgo. 

Alessandro Sciarroni, artista attivo nelle performing arts, realizza Civita. Un’azione teatrale in cui un Sindaco interpretato da un attore senza nome nella chiesa del paese, recita un monologo anticipato da un’overture con sette operai/performer residenti a Civita e nei dintorni, anch’essi senza nome. Nei Sedimenti possiamo leggere il monologo del Sindaco, il suo operato, la storia della città, il suo sviluppo turistico, di come salvare la città che muore lasciandola morire… Viene anche descritta la partitura di gesti che gli spettatori e il Sindaco eseguono per lasciare la chiesa, attraversare il ponte, lasciare il paese e raggiungere un’altra città senza nome da cui osservare Civita da lontano e aspettare la sua demolizione. 

E infine Adiós del performer e curatore Michele Di Stefano che progetta uno spettacolo colossale che coinvolge la comunità, il pubblico del festival e niente meno che Nick Cave come guest star internazionale. L’idea da cui muove il progetto è quella di ribaltare il rapporto fra esterno e interno e la pervasività dell’immagine turistica, attraverso la fondazione di un rituale da ripetere ogni anno. Il giorno dello spettacolo, alle 8 di mattina, vengono svuotate le case, gli abitanti lasciano Civita e vanno in crociera per una settimana, rimangono solo il più vecchio e il più giovane, nel frattempo arrivano i visitatori che, lasciati gli oggetti personali, scelgono un posto dove stare; alle 18.00 accendono un fumogeno e da lontano si vede Civita sparire nella coltre di fumo nero mentre Nick Cave comincia a suonare. Rimarrà da solo quella notte a Civita, dopo che il pubblico invisibile se ne sarà andato. Tornano gli abitanti, il vecchio e il giovane vanno in vacanza, le cose rimesse a posto e c’è una festa che dura fino a mezzanotte. Come atto conclusivo Di Stefano prevede la fondazione dell’Istituto di Alti Studi Coreografici di Civita, sostenuto da istituzioni importanti che si propone di offrire ogni anno residenze di studio e sperimentazione corporea con sessioni di lavoro aperte ai residenti.

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Al di là e oltre una sintesi forse un po’ brutale dei progetti artistici che sostanziano il Festival di Civitonia, il cui interesse e originalità meritano di essere approfonditi con la lettura del libro, quello che vale la pena mettere in evidenza è il modo con cui questa azione nel suo complesso riesce ad essere esplicativa di quei paradigmi della performatività che intercettano diversi piani dell’esperienza individuale e collettiva.

Il Festival di Civitonia ci ricorda che il turismo è una pratica sociale, una questione di sguardo e che il desiderio dell’altrove dipende sempre da una qualche anticipazione mediale. Tuttavia, che l’industria turistica abbia fatto di questo desiderio una spinta al consumo che ne svilisce le potenzialità di senso e di un territorio fragile come Civita un esempio evidente di una “metafora estrattiva”, spesso richiamata da Attili nei suoi scritti, è un dato di fatto difficile da negare. 

Ma è proprio la richiesta fatta alle artiste e agli artisti di guardare altrimenti per attivare uno sguardo turistico alternativo ad essere una chiave interpretativa ulteriore di un progetto come questo. Si tratta infatti di un approccio coerente con il paradigma dell’immaginario performativo del viaggio che, superando quello rappresentazionista (realista e incentrato sul vedere), mette al centro l’esperienza come unica dimensione possibile dell’autentico. Laddove, però, è autentica un’esperienza fatta da qualcuno e non una qualche realtà esterna supposta tale.

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Se poi si chiede a degli artisti di fare un esercizio di immaginazione e di portarci dentro, noi pubblico, grazie al racconto che ne sanno fare, allora davvero è il viaggio a riprendere la sua forza metaforica senza bisogno di ‘invadere’ uno spazio con i corpi. “Nel caso di Civita, – affermano Attili e Calderoni – non volevamo che il festival venisse sussunto nelle maglie tentacolari dell’industria turistica, trasformandosi nell’ennesima mercanzia scintillante”. In questo senso è di grande interesse vedere come i progetti artistici, che sono poi la sostanza del Festival, siano il punto di congiungimento dei diversi piani di ragionamento sull’arte e sul turismo che il progetto di Attili e Calderoni chiama in causa. Civitonia esiste nella mediatizzazione dei suoi racconti e delle sue immagini perché è accaduto diversamente da un classico festival. Ed è così che ha potuto non invadere un paesaggio, non usare un festival come ulteriore acceleratore di consumo ma realizzarsi con tutto il suo portato di autenticità, quello cioè che dipende da come ognuna e ognuno di noi avrà voglia di rapportarsi a questo tipo di esperienza. Il Festival di Civitonia è la liveness possibile nelle relazioni mediate che questa arte del capovolgimento è in grado di realizzare.

Le fotografie sono di Andrea Pizzalis.

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