Concetti tenaci: Atlantis della Fortezza
Da dove veniamo, noi esseri umani? Siamo stati creati? Siamo accaduti per successive trasformazioni, adattamenti incessanti, conflagrazioni impreviste? È segnato il nostro destino o lo andiamo costruendo nelle tenebre di una libertà indomabile, spesso sconosciuta a noi stessi? Che cosa ci annunciano gli astri nel cielo e le acque che scorrono sotterranee? Quali leggi governano il nostro corpo e le sue pulsioni? Da dove nasce il pensiero? Moriamo quando muore il corpo? O si può morire anche prima o non morire mai? E se i morti restassero tra noi sotto altra forma, facendoci sentire meno soli? Cos’è la vita? Chi ce l’ha data? A chi appartiene? Perché la luna appare di notte con il suo corteggio di stelle? Perché il sole tramonta? È reale solo ciò che percepiamo con i sensi o anche ciò che immaginiamo? Qual è lo statuto dei sogni? Chi stabilisce la frontiera dei saperi? L’oltre e l’altrove, temporali e spaziali, non sono forse concreti e plausibili quanto il qui adesso? È possibile squarciare la realtà data o supposta tale e aprire in essa dei varchi luminosi non sull’a venire, ma su quell’esistente che la nostra sazietà ottusa o impaurita ci impedisce di vedere o perfino di concepire?
Si apre così, sugli interrogativi che solo i bambini e i grandi eretici – artisti, scienziati, poeti e altri indagatori – sanno porsi, la prima tappa della nuova quest teatrale di Armando Punzo e della Compagnia della Fortezza, in scena dal 28 luglio al 3 agosto nel cortile e in alcuni spazi interni della Casa di reclusione di Volterra.
Se l’opera precedente, Naturae, si concludeva con l’approdo alla Valle della permanenza, il paradiso del mistico sufi Farîd ad-Dîn ‘Attar, in questo nuovo avvio il ‘permanere’ è assunto come processo attivo innescato da un inquieto e temerario esplorare. In bilico tra curiosità o capacità di dubitare (la forza positiva che muove il mondo) e disperanza (la forza negativa che induce disperazione, sfiducia e sgomento davanti alla vastità dell’ignoto), Atlantis. Cap. 1 – La Permanenza dà inizio a un percorso di ricerca che è alla lettera missione, impresa, avventura, tentativo, viaggio. Un immenso dichiarato non sapere che fa da miccia a una frenetica ricognizione dei saperi e dei paradigmi scientifici e umanistici che fondano – e stanno neanche tanto lentamente affondando – il canone cognitivo occidentale e i suoi riti e miti d’origine.
“Siamo partiti dalla Genesi”, spiega Armando Punzo, “e ci siamo detti che, se la Bibbia ci ha condotti al punto in cui siamo, forse bisogna cercare altre genesi e interrogare altre cosmogonie”. Allontanarsi dalle favole e dalle dottrine che hanno alimentato l’interpretazione occidentale della creazione e formazione dell’universo può consentire una maggiore umiltà, una maggiore responsabilità nei confronti della nostra comune vulnerabilità. “Lui, l’essere umano giunto alla Valle della permanenza deve, per permanere, avere rapporti con altri lui e dunque con altri saperi.” Deve entrare risolutamente in contatto anche con l’altro da sé che porta inscritto nel corpo, nella preistoria dell’infanzia, in una memoria sua e tuttavia mai solo individuale.
Nel ‘lui’ interrogante di Atlantis la biografia personale, in divenire fino alla morte, è strettamente agganciata alla biografia del mondo: antica come il fuoco e l’acqua e il vento e il cielo stellato, fragile ed effimera come i petali del papavero e le libellule. Noi, un intreccio di vite sempre misteriosamente comunicanti, stiamo gli uni agli altri come i pianeti stanno alle stelle. Orbitiamo gli uni intorno agli altri, ci attraiamo, ci catturiamo, possiamo trasformarci in buchi neri o disegnare incandescenti traiettorie di luce in piena notte.
Ecco, la nuova opera di Punzo e della Compagnia della Fortezza – che a ragione aspirano al riconoscimento della stabilità teatrale – si misura con questa materia: filosofica, poetica e scientifica insieme. E lo fa nello spazio concluso del ‘campino’ del carcere e in alcuni suoi angusti spazi interni, mettendo al lavoro proprio il limite costituito da una realtà fatta di un dentro e di un fuori, di un alto e di un basso, di un lontano e di un vicino, di un prima e di un dopo, di un ipotetico noi/loro che le sinuosità del tempo storico confermano e smentiscono.
Lì, in un’arena di rovente luce meridiana, il passato con le sue svolte, le sue ripetizioni e i suoi fallimenti e l’altrettanto ondivago, perturbante futuro si danno appuntamento. A canalizzarli, le figure/persona degli attori, mobili e fisse nello spazio scenico come i corpi celesti nel firmamento, i loro protesici oggetti di scena, la drammaturgia musicale di Andreino Salvadori e la fittissima trama narrativa affidata da Punzo a una tecnologia sapiente che duplica gli assolo creando una sorta di alone o riverbero acustico intorno alle parole e ai concetti.
Il pubblico – quarta parete e testimone silente – osserva e ascolta, di continuo implicato dallo sguardo di Armando Punzo, maestro di scena e nume tutelare di un’investigazione mai solamente scenica e tuttavia teatrale fin nei gesti più minuti. I corpi si intrecciano agli altri corpi e manipolano lievi i minimali oggetti di scena che frastagliano lo spazio scenico dandogli la volatilità di un testo scritto e riscritto all’infinito. Per andare avanti e oltre è necessario cancellare, tornare sui propri passi, cambiare punto di vista, mettersi in movimento, farsi maestri di se stessi. Quadrati, cerchi, rettangoli, tubi di varia misura, tutti rigorosamente bianchi o neri come gli incostanti, elegantissimi costumi disegnati da Emanuela Dall’Aglio (marsine formali e impudenti, dissimili l’una dall’altra), obbligano i corpi e le mani a danzare, stringere, impugnare, far roteare, ruotare, interrogare il vuoto e gli interstizi che in esso si schiudono.
Si gioca sul vedere e non vedere in Atlantis, sull’imprendibilità e l’imprevedibilità del segno: il nero della scrittura sulla pagina bianca; il bianco instabile del gesso sul nero di una superficie provvisoria; lo scarlatto della X sulle spalle degli uomini in frack nero, contrassegno dell’eretico, di colui/colei che non ha rinunciato a pensare, marchio indelebile o indizio di appartenenza, di esclusione o inclusione.
All’interno del carcere, in piccole stanze vuote dalle pareti immacolate e in una più grande invasa da specchi, libri, mobili e oggetti in cui prevale un rosso vinaccia, manierista, caravaggesco, l’azione perde la sua geometria, si scompone, si aggruma, si disordina. Al centro o negli angoli, circondati da frange di pubblico, singoli attori espongono simultaneamente la propria parte di testo, duplici e soli, come se il corpo e la voce fossero sempre lievemente in ritardo sul pensiero. La loro non è una ripetizione, bensì una sorta di inseguimento, di adattamento della materia corporea alle velocissime linee di fuga della materia mentale.
C’è geometria nel mormorio delle corde.
C’è geometria nel mormorio delle corde, c’è musica negli intervalli tra le sfere.
C’è geometria nel mormorio delle corde, c’è musica negli intervalli tra le sfere.
Un numero reale ma non razionale.
Un numero reale ma non razionale.
La radice quadrata di 2 è un numero reale ma non razionale.
La radice quadrata di 2 è un numero reale ma non razionale
Un numero reale ma non razionale.
La radice quadrata di 2 è un numero reale ma non razionale.
Il più veloce non può mai sorpassare il più lento.
Sappia, chi legge, che a monte del lavoro drammaturgico ‘in fusione’ da cui sta prendendo forma Atlantis c’è una voluminosa bibliografia, i cui capisaldi sono I 4 maestri di Vito Mancuso e Il principio speranza, Speranza e utopia, Ornamenti. Arte, filosofia e letteratura di Ernst Bloch, ma anche – più modestamente o ambiziosamente – i libri Gribaudo della serie Grandi idee spiegate in modo semplice, piccoli manuali divulgativi per orientarsi o perdersi nelle foreste dei saperi specialistici.
Leggiamo libri bugiardi come se bevessimo acqua da un pozzo avvelenato.
La nostra determinazione è di stare fuori dalla storia.
Non tutto ciò che esiste è naturale che esista così.[…]
I venti, i venti non soffiano mai in linea retta.
Inizia così il nuovo lavoro del regista e drammaturgo Armando Punzo e della Compagnia della Fortezza, con una denuncia (talora i libri mentono e avvelenano), una determinazione (stare fuori dalla storia) e una rivelazione (ciò che esiste non è di per sé naturale).
Tre differenti inviti a negare non solitariamente la schiacciante, inalterabile indiscutibilità dell’esistente, a esercitare l’arte giocosa e trasgressiva dell’immaginazione. Le invenzioni o le svolte storiche non originano forse da chi assume “lo stupore come domanda assoluta”, da chi non confonde l’utopia con l’ideologia e si ostina a fare “buchi nella realtà” o ad aprire buchi di realtà in un reale sempre più fittizio, imperioso e mortifero? “Nel mondo, ma non del mondo”, perché “l’eternità è adesso”, in questo caos allegro e selvaggio in cui si stenta a nascere, a mettersi in piedi e a restare vigili, qui, insieme,
“Il tenace concetto” dell’eretico Punzo è questo.
Le fotografie di Atlantis di Armando Punzo e Compagnia della Fortezza sono di Stefano Vaja.