Il prossimo salto evolutivo / Da homo sapiens a homo frater

30 Ottobre 2020

Molte volte nel corso della Storia l'umanità si è trovata a vivere situazioni di tale gravità e oscurità sul futuro da temere che fossero gli ultimi tempi. Ogni volta, finora, ne è uscita e i posteri hanno visto in quella crisi il travaglio della nascita di un mondo nuovo, o perlomeno rinnovato. Noi stiamo attraversando uno di quei momenti. Ne usciremo, come è sempre accaduto, o questa volta i nostri non sono dolori del parto ma un'agonia? Ivan Illich definì il nostro un tempo apocalittico, epoca di crisi e di rivelazione in cui non si deve avere paura, ma consapevolezza e determinazione nell'agire, perché la Storia è in gran parte nelle nostre mani e siccome, ad ogni modo, va avanti, dipende dalle scelte umane la sua direzione. 

Oggi la situazione è più complessa di quanto sia mai stata prima, perché il mondo si è fatto piccolo, non esiste più un luogo in cui una parte si possa rifugiare e cercare un nuovo inizio. Il mondo è la nostra barca, o la manovriamo in queste acque di tempesta concordemente o affonderemo tutti. E non so se, in quel caso, vorrei essere tra i sopravvissuti. Il mondo si è fatto piccolo e l'uomo si è fatto troppo potente, e se alla sua potenza non corrisponderà un'altrettanto accresciuta saggezza, sappiamo tutti cosa ne potrà venire. 

La voce più alta, anche in senso morale, e più forte che si è levata e continua a gridare per richiamare tutti, senza esclusione di alcun genere, a un'azione comune per il bene di tutti è quella di papa Francesco. Ed è certamente una voce profetica, che richiama i contemporanei a una conversione – nel senso letterale di un cambiamento di direzione –, alla creazione di un nuovo modello di convivenza e di cooperazione, al rilancio di un umanesimo rinnovato che si inserisca in un quadro più grande, quello di un'ecologia integrale che considera l'essere umano e le sue attività – economiche, politiche e sociali – parte del sistema ecologico.

 

Quando la nebbia è molto fitta, per cercare di vedere qualcosa bisogna salire più in alto. Per interpretare i nostri tempi lo sguardo lungo, anzi lunghissimo della Storia è uno strumento prezioso. È con questo sguardo che Mauro Ceruti, filosofo della Scienza e teorico della complessità, legge l'enciclica Laudato si' nel saggio Sulla stessa barca (ed. Qiqajon). La complessità del mondo moderno non può essere compresa senza un pensiero in grado di concepirla collocandola entro il complesso planetario in cui oggi viviamo. In caso contrario ci ritroveremmo ciechi davanti alle opportunità, incoscienti di fronte alle catastrofi globali: ecologiche, sanitarie, nucleari; irresponsabili «perché continueremmo nell'automatismo di azioni, modelli, paradigmi, che hanno consentito svolte significative nella storia della civiltà umana, ma che oggi rischiano di determinarne il collasso» (p.13). 

Rilanciare l'umanesimo significa riportarne in evidenza l'originaria istanza di riconoscimento del valore fondamentale, intrinseco e inalienabile di ogni persona, renderlo «non più astratto, non più eurocentrico, non più antropocentrico…[ma] integrale e integrante» (p.18). In questa prospettiva è chiaro che non si può più parlare di umanesimo cristiano da una parte e laico dall'altra, entrambi possono «convergere in modo inedito nell'universalismo concreto di un umanesimo planetario» (p.17). Un chiaro esempio di cosa questo significhi è offerto dal dialogo tra papa Francesco e Carlo Petrini nel recente libro Terrafutura (ed. Giunti) in cui appaiono chiare la convergenza di interessi e la visione delle possibili vie d'uscita tra il fondatore del movimento Slow Food, laico e di sinistra, e il pontefice.

 

Il nuovo paradigma di cui abbiamo bisogno per costruire il futuro non può che essere fatto di cose vecchie e di cose nuove, perché non si riduce tutto in macerie per ricostruire: come facevano gli antichi, si riutilizzano le stesse pietre e mattoni per edifici nuovi, o come facciamo oggi si salva ciò che del vecchio è bello e buono, e lo si rinnova. Oggi siamo chiamati a completare la Rivoluzione Francese, «dopo la libertà e l'uguaglianza, protagoniste dell'Ottocento e del Novecento, la fraternità può diventare protagonista del XXI secolo, e diventare fine senza cessare di essere mezzo» (p.16). Ne è convinto papa Francesco la cui ultima enciclica, dal significativo titolo di Fratelli tutti, vuole individuare «le tendenze del mondo attuale che ostacolano lo sviluppo della fraternità universale» [9]. Una fraternità indispensabile per il futuro dell'umanità, un futuro che, come mostrano le ricorrenti crisi mondiali di ogni genere – finanziario, ambientale e sanitario – non sembra più affrontabile con reazioni di emergenza. Se la globalizzazione si riduce a omogeneizzazione economica e culturale, lo sguardo si accieca, nell'appiattimento generale nessuna via d'uscita, nessuno spazio di novità può essere scorto. La realtà che dobbiamo costruire non è la sfera, osserva Francesco ripetutamente nell'enciclica e in Terrafutura, ma il poliedro che «rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda, benché ciò comporti discussioni e diffidenze» (Fratelli tutti, 215).

 

 

In questa ottica il dialogo «non è un'opzione morale… è un vero e proprio metodo» (Terrafutura) e l'amore un valore politico (Fratelli Tutti). Un concetto che richiama da vicino l'idea di amicizia come metodo di confronto e di formazione di Illich, uno di quei cattolici messi da parte come «tutti i grandi e i grandi profeti» che adesso, per fortuna, dice il papa, «vengono recuperati» (Terrafutura). La politica deve recuperare il suo predominio sull'economia e la finanza, perché a lei spetta di avere lo sguardo capace di armonizzare e guidare la società verso il bene comune. Per questo occorrono politici dall'animo grande, dalla solida preparazione, che intendano la politica, come essa è per sua natura originaria, «una vocazione altissima… una delle forme più preziose della carità [amore], perché cerca il bene comune» (Fratelli tutti, 180). L'amore è virtù politica quando diviene amore sociale, «una forza capace di suscitare nuove vie per affrontare i problemi del mondo d'oggi e per rinnovare profondamente dall'interno strutture, organizzazioni sociali, ordinamenti giuridici» (Fratelli tutti, 183)

 

Perché oggi la fraternità sia un valore politico indispensabile, perché sia necessario che modelli il mondo futuro in tutti i suoi aspetti, comprese l'economia e l'organizzazione sociale, lo spiega molto bene Mauro Ceruti, allargando al di là degli ultimi secoli fino all'origine dell'umanità il suo sguardo. Possiamo suddividere allora la storia di sapiens in quattro macro-periodi. 

Una prima umanità è quella dei cacciatori e raccoglitori in cui la relazione con l'ecosistema è ancora equilibrata. L'umanità agricola cambia radicalmente questo rapporto dando inizio alla progressiva supremazia dell'uomo sull'ambiente. Ma gli uomini non sono molti e il loro potere è limitato, per cui la cosa funziona e permette all'umanità una costante crescita numerica. La terza epoca dell'umanità comincia alla fine del Quattrocento con la scoperta dell'America e lo sviluppo della tecnologia; l'impatto umano sull'ambiente diventa sempre più forte con la rivoluzione industriale fino ad arrivare alla cosiddetta grande accelerazione successiva all'ultimo dopoguerra. Il potere umano è cresciuto a dismisura e a scapito di qualsiasi cosa ne rappresentasse un ostacolo. 

Questo enorme potere distruttivo ha creato una condizione totalmente inedita nella storia del pianeta producendo «un fatto nuovo: la comunità di destino dell'umanità intera» afferma Ceruti (p.26). Non c'è più la possibilità di limitare un evento e le sue conseguenze, buone o cattive, a una parte, coinvolgono tutto (l'ultima pandemia è talmente chiara che non occorre dire di più) e tutti, «la coscienza morale deve acquisire una nuova universalità… La ricerca del bene non può più essere ristretta alla sfera delle relazioni fra persone» (pp.38-39).

 

Potremmo trovarci alle soglie di una quarta umanità e dovrà essere un'umanità solidale per sopravvivere. E non potrà più esserci posto per quell'idea di progresso, in cui ancora oggi ci riconosciamo, che si basa sulla fede in una crescita inarrestabile, prodotta dalla tecnica e misurata esclusivamente in termini quantitativi di reddito e consumi. A questa concezione di benessere il papa, nella conversazione con Petrini e in diversi documenti, invita a contrapporre l'idea dei popoli originari dell'Amazzonia di buen vivir, vivere bene «che implica un’armonia personale, familiare, comunitaria e cosmica e si manifesta nel loro modo comunitario di pensare l’esistenza, nella capacità di trovare gioia e pienezza in una vita austera e semplice, come pure nella cura responsabile della natura che preserva le risorse per le generazioni future. I popoli aborigeni potrebbero aiutarci a scoprire che cos’è una felice sobrietà e in questo senso» (Terrafutura, p.79). 

Il nostro mondo Occidentale è vittima di un'iperspecializzazione, necessaria allo sviluppo della tecnologia, che rende deboli e, come afferma Ceruti, ha creato un modello economico che non sa più tenere conto della realtà dell'essere umano e dei suoi bisogni immateriali, incapace di «passioni, emozioni, gioie, infelicità, credenze, miserie, paure, speranze, che sono il corpo stesso dell'esistenza umana» (p.53). Non si tratta di fermare lo sviluppo, ma di ridefinire il concetto di progresso riconoscendo che la giustizia sociale e una buona vita ne sono elementi intrinseci e necessari. 

Che cosa consideriamo progresso? Il papa suggerisce di pensarlo non più soltanto in termini materiali e quantitativi, ma piuttosto come sviluppo umano integrale. Lo spirito umano ha molti più reali bisogni del suo corpo.

 

In un mondo che si evolve tanto radicalmente, anche l'essere umano deve cambiare per sopravvivere. Rifacendosi ai meccanismi dell'evoluzione, Ceruti sottolinea come siamo vittime, in un certo senso, di una caratteristica evolutiva che, in un ambiente totalmente diverso, ci ha permesso di sopravvivere: l'aggressività. Oggi, spiega, abbiamo la stessa aggressività che avevamo quando l'uccidere una preda significava sopravvivere. Ma il nostro ambiente non è più quello, l'aggressivtà oggi è uno svantaggio a livello evolutivo. E cita Teilhard de Chardin: "siamo giunti a un punto decisivo dell'evoluzione umana in cui l'unica via d'uscita si trova nella direzione d'una comune passione e d'una 'cospirazione'". Cospirare significa operare in armonia, concordemente. È questo che bisogna imparare e lo si fa soltanto attraverso il dialogo instancabile, l'amicizia, la fiducia reciproca (che tra l'altro è un elemento fondamentale anche dell'economia di mercato!).

Dopo i secoli dell'homo oeconomicus, afferma Carlo Petrini, «è il momento di far nascere un nuovo paradigma con cui identificare noi stessi: l'homo communitarius» (Terrafutura, p.91). Tornare all'idea di beni comuni gestiti in comunità da cittadini residenti nel luogo in cui quei beni si trovano, allargare il concetto di commons ai beni che devono essere di tutti e amministrati per il bene collettivo è certamente un modo di interpretare l'economia e, allo stesso tempo, di rieducarsi alla politica. Oggi, però, c'è bisogno di un salto evolutivo vero e proprio, di un cambiamento profondo, radicale e spirituale. La quarta umanità deve essere quella di homo frater

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