Nel giorno del cinquantesimo anniversario dell’allunaggio / Dalla luna. XX lettera di Giacomo Leopardi

20 Luglio 2019

Prima parte, lo sbarco.

 

Miei carissimi amici, italiani, europei, terrestri tutti, e voi Armstrong, Aldrin e Collins

Scrivo anche a voi perché in notti come questa non ci ricordiamo d’esser morti e saltiamo come lepri alla luna o come que’ miei morti di Ruysch risuscitati nell’anno grande e matematico.

Eppure non ho facoltà di parlare solo per un quarto d’ora! È pur vero ch’io vi scrivo, dunque non posso dirlo con certezza. In effetto la poesia, la letteratura, la filosofia come me, non possono parlare altrimenti che rispondendo a qualche persona viva.

Vivemmo. Che fummo?
 Che fu quel punto acerbo
che di vita ebbe nome? 
Cosa arcana e stupenda oggi è la vita al pensier nostro, e tale qual de’ vivi al pensiero
 l'ignota morte appar.


Cantiamo di mezza notte come galli! Qui, nella sfera celeste, navigando verso la luna.

È certo e manifestissimo e ingenito non solo ne’ poeti ma universalmente negli uomini, un desiderio molto efficace di vedere e toccare e aggirarsi tra gli astri come faccio io adesso: il Leopardi ritorna per calcare il cammino anzi il volo dei tre, cinquant’anni addietro. Celebro la vostra impresa, opra ardita, immortal; volo anch’io, vedendo meco viaggiar la luna.

E solcando il mar del cielo mi ricordo del tempo della mia giovinezza di quando cantava: “S’avessi io l’ale da volar su le nubi,
e noverar le stelle ad una ad una – come faccio ora nel mio viaggio astronomico – più felice sarei, candida luna”.

Così per breve ed agiato cammin percorro lo stellato cielo desioso di toccarti, mia diletta luna.

 

Miei cari Armstrong, Aldrin e Collins avete fugato il motivo di temere che i viaggi di Astolfo, di Bettinelli e i più antichi di Luciano e di Dinia, fossero gli unici nel loro genere. Muove ancora non poca maraviglia la vostra impresa.  

È pure una bella illusione quella degli anniversari per cui quantunque quel giorno non abbia niente più che fare col passato che qualunque altro, noi diciamo, come oggi accadde il tal fatto, come oggi ebbi la tal contentezza, e ci par veramente che quelle tali cose che son morte per sempre nè possono più tornare, tuttavia rivivano e sieno presenti come in ombra, cosa che ci consola infinitamente allontanandoci l'idea della distruzione e annullamento che tanto ci ripugna.

 

Dilettissimi amici viventi, salgo verso la luna in questo anniversario per solennizzare i tre Colombo del cielo e con una missione simile a quella di Astolfo, una spedizione lunare perché  mi comincia a stomacare il superbo disprezzo che sulla terra ancora si professa di ogni bello, di ogni 

letteratura o sentimento, magnanimità, compassione, virtù,  amore.

Già vi scrissi nell’estate del ’15 (intendo 2015) nella quale vi parlava di un sogno che m’angustiava:

Le genti per le città d’Europa dai loro letti nelle lor case in mezzo al silenzio della notte si risvegliavano e udivano con ispavento per le strade, pei mari, il pianto di altri uomini.

Tenendo per fermo che qualunque operazione dell’animo nostro ha sempre la sua certa e inevitabile origine nell’egoismo che mal diretto, male impiegato, è stato sempre la peste della società, vado a cercare sulla luna il senno perduto degli uomini che serve solo a dirigere, a orientare, non spregiando le illusioni e sapendo che siamo un nulla, un bruscolo nell’universo, l’egoismo cioè l’amor proprio.

Come vi scriveva allora, amerei che in Italia e in Europa e nel mondo l’egoismo s’indirizzasse verso la compassione che pure nasce dall’egoismo ed è un piacere che ha bisogno di una delicatezza e mobilità di sentimento, di una raffinatezza e pieghevolezza di egoismo. La compassione non è propria se non degli animi colti e dei naturalmente delicati e sensibili, cioè fini e vivi.

 

E oggidì come ai miei tempi né può meglio chi non è nato sensitivo divenir tale, con tutta la civiltà e la scienza presente, di quello che possa diventar poeta chi non è nato alla poesia. Non vediamo come la sensibilità si manifesti e diffonda, singolarmente efficace e pura e bella, ne’ giovanetti, e ordinarissimamente si vada poi ritirando e o magagnando e sfigurando, a proporzione che l'uomo col crescere in età perde la prima candidezza, e s’ allontana dalla natura? Che più? Di quanto crediamo che sia tenuta all'incivilimento quella qualità umana che ogni volta ch’è schietta ed intensa, le leggi di questo incivilimento vogliono che, dimostrandosi, venga burlata come cosa da collegiali; e perché, il ridicolo è il maggior male che possa intervenire alle persone gentili, perciò chiunque ha vera sensibilità guardi bene di non dimostrarla; tanto che si lasciano in pace e si lodano solamente quelli che quando si mostrano sensitivi, apparisce o vero è noto che o fingono, o la sensibilità negli animi loro ha poco fondo, o è guasta e scontraffatta.

 

Incomincio senza indugio a scendere, mi poso nel medesimo luogo dei tre Colombo della luna: il mare della tranquillità, una valle immensa, deserta, giovinetta immortal.

Veggo le impronte intatte da allora e salto davvero come una lepre, mi sento leggero, mi poso su di te, candida luna.

Dolce e chiara è la notte e senza vento, quassù. La terra veduta dalla luna è azzurra e bellissima

Impossibile porgendo gli orecchi, e distendendo la vista per ogn'intorno, udire una voce né scoprire un’ombra d’uomo vivo. Un silenzio nudo, una quiete altissima empiono lo spazio immenso.

 

[…]

 

Giacomo Leopardi

 

(continua…)

fine prima parte

 

Testo elaborato da Antonella Antonia Paolini utilizzando passi tratti dalle opere leopardiane: «Canti», «Epistolario»; «Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica» «Saggio sopra gli errori popolari degli antichi» «Storia dell’astronomia», « Zibaldone».

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