Rachel Cusk / Resoconto
Resoconto è narrato da una voce femminile di cui nel corso del racconto continuiamo a ignorare sia il nome che gli elementi biografici essenziali – solo a racconto un bel po’ avanzato scopriamo che si tratta di una scrittrice inglese con due figli e un matrimonio fallito alle spalle, e altro non ci sarà dato sapere. Nell’appartamento di cui è ospite ad Atene irrompe una drammaturga, anche lei inglese, che come tutti gli altri personaggi incontrati fino a quel momento racconta alla voce narrante frammenti importanti di verità personali. In aereo la drammaturga ha incontrato un uomo, proprio come è successo alla Nostra: anche lei ha incontrato un uomo, greco, che stava tornando a casa, e che poi ha rivisto nel corso dei giorni seguenti e le ha raccontato molto della sua storia personale, compresi fallimenti e storie di mogli e figli. L’uomo incontrato dalla drammaturga, invece, sembrava molto più realizzato: aveva una bella famiglia e una bella carriera; un’esistenza piena, vissuta peraltro in molte lingue, dato che l’uomo era diplomatico e ne padroneggiava diverse.
Di fronte a lui la donna “aveva cominciato a vedersi come una sagoma, un abbozzo, i cui contorni erano completi in ogni dettaglio mentre l’interno restava in bianco”. Sarà per l’aggressione subìta mesi prima, sarà per il blocco creativo che da allora la attanaglia, ma la donna, figura-specchio della narratrice, incarna perfettamente il titolo inglese Outline. “Contorno”, “abbozzo”: il titolo inglese restituisce l’immagine di personaggi incompiuti, come se fossero tratteggiati velocemente a matita e mancassero di profondità e spessore.
Outline è parte di una trilogia scritta da Cusk usando le confessioni di uomini e donne incontrati in giro per il mondo; si tratta di personaggi che sembrano non vedere l’ora di confidare alla narratrice le loro storie; Cusk, dal canto suo, in passato ha fatto largo uso del genere del memoir, raccontando in Aftermath la fine del suo matrimonio e in A life’s work l’esperienza della maternità. In Resoconto, invece, siamo in presenza di un narratore che nasconde le tracce e omette volutamente dettagli sulla propria vita, pur raccontando così tanto degli altri. È un narratore che sa tutto e tuttavia non giudica, anche se a volte non si astiene dal fornire dettagli impietosi dei suoi interlocutori, per esempio quando descrive la schiena robusta e pelosa del suo vicino d’aereo greco o quando accenna al desiderio di essere altrove rispetto al luogo dove si svolgono le conversazioni riportate. Le conversazioni si svolgono spesso con uomini; di solito questi uomini hanno disastri alle spalle, e altrettanto spesso non mostrano grande consapevolezza delle proprie responsabilità nella creazione dei disastri. Sono più argute le donne: più vivaci, più pratiche, pronte quasi sempre a raccogliere i cocci con ironia e a raccontare le proprie disavventure con inaspettata leggerezza.
Della nostra narratrice sappiamo invece che ha abbandonato alcune strutture di pensiero preconfezionate, come quelle che suggeriscono a una donna di non andare in barca con uno sconosciuto, che si sente ferita da visioni repentine e imprevedibili, come quella di una famiglia che fa una tranquilla gita in barca, che ha la sensazione che la sua vita sia ridotta in frantumi, ma non sa bene il perché. Le mancano i figli, ma neanche più di tanto. Non ha più una relazione, ma se gliela offrono risponde che sta “cercando un modo diverso di stare al mondo”. Questo passo indietro, questo passo diverso corrisponde a una maggiore chiarezza della visione, ed è forse ciò che la autorizza a raccontare non più la propria storia, ma le storie degli altri stavolta, e con una forza che fa pensare al lettore di essere in presenza di autentici scampoli di verità:
Ho detto che io, al contrario, ero sempre più convinta dei pregi della passività, e del vivere una vita contrassegnata il meno possibile dall’ostinazione. Si poteva far accadere quasi qualunque cosa, se ci si sforzava abbastanza, ma il fatto di sforzarsi, a mio avviso, era quasi sempre un segno che si stava andando controcorrente, forzando gli eventi in una direzione che di per sé non avrebbero preso, e per quanto si possa asserire che non si combinerebbe mai nulla senza andare almeno in parte controcorrente, in tutta franchezza aborrivo l’artificiosità di tale visione e le sue conseguenze. C’era una grande differenza, ho aggiunto, fra ciò che io volevo e ciò che in apparenza potevo avere, e finché non mi fossi infine e per sempre pacificata con tale stato di cose, avevo deciso di non volere nulla di nulla.
Rachel Cusk, Resoconto, traduzione di Anna Nadotti, Einaudi 2018, 17 euro.