Ri-letture e neo-letture
Superata la soglia dei sessanta, non potendo più pensare il “mio” tempo come indeterminato, è giunta l’ora di dividerlo salomonicamente tra ri-letture e neo-letture, tra ansia di novità (che persiste) e bisogno di pagine consolidate, patrimonio – da anni – di orecchie, cuore e memoria. Sempre più mi accorgo che rilettura è in verità lettura al quadrato: leggere un libro che rimanda agli incontri già avvenuti con lo stesso testo più o meno distanti nel tempo (e alle condizioni mentali, fisiche, anagrafiche, categoriali di allora), con il risultato di leggere le proprie differenze inscritte – più o meno piacevolmente – nel Testo-Tempo.
Libri freschi o antichi, eviterò in ogni caso gli instant books o le letture attualizzanti del passato, che non ho mai amato, frutto della passione sfrenata – propria del nostro Occidente– per tutto ciò che è territorio di Cronaca, Moda, Attualità. Anzi, per spirito di contraddizione (unico tratto giovanile che mi sia restato), mi dedicherò ai libri più inattuali che possa concepire.
Ho già iniziato e continuerò per tutta l’estate la rilettura del Purgatorio dantesco, impresa arduo-piacevole, che mi sta sorprendendo per il reincontro con passi indimenticati e con altri (a volte interi canti) quasi totalmente rimossi; sul perché degli uni e sul perché degli altri, non so: è evidente che Memoria ha operato le sue insindacabili scelte ad insaputa della volontà di trattenere o di espellere, per oscuri legami con questo o quell’altro passaggio, con questo o quell’altro personaggio. Il risultato è l’impressione di affrontare una Cantica conosciuta a macchia: cosa in realtà falsissima perché le mie precedenti letture del Purgatorio – per motivi di studio o di insegnamento – non erano mai state antologiche. So invece abbastanza bene perché ho scelto di ripenetrare in questa Cantica “mediana” e non in una delle due estreme: mi trovo io stesso in una “terra di mezzo” di pena e di spes, con un mannello ormai pesante di errori alle spalle e un’ansia di chiudere meglio la vita, di passare degnamente aldilà. Per questo mi pare anche che sarebbe bello recitare Purgatorio arrampicando in montagna, percorrendo una strada in salita (o anche, più borghesemente, evitando l’ascensore e facendo le scale di casa), seguendo un corso di studi o un cammino di conoscenza di sé, intraprendendo insomma un percorso che abbia un inizio e un(a) fine segnati, una direzione da-fatica a liberazione-dalla-fatica, e che la cosa sia metaforica o fisica è indifferente: la metafora somatizzandosi, la fisica trapassando immediatamente in meta-fisica, come succede in tutte le balze del Purgatorio dantesco.
Un secondo libro che ho messo da parte per una lettura estiva (ed antispiaggesca) è I viaggi la morte di Carlo Emilio Gadda letto per la prima ed unica volta venticinque anni or sono e che mi era parso uno dei vertici della prosa gaddiana (se così si può dire di un autore che è tutto-vertice). Il testo – ricordo – è fatto di una ventina di pezzi apparentemente dispersi e variamente datati, riflessioni, recensioni, interviste, dichiarazioni di poetica che, tutti, fanno libro per la potenza di lingua e d’invenzione dell’autore, vero mastice capace di unire testi nati in e per occasioni diverse, totalmente autentici perché totalmente umorali. In pochi autori mi è parso di vedere all’opera una nevrosi capace di trapassare alchemicamente in scrittura come in Gadda e in questo libro – dove la libertà d’argomento e d’accostamenti è totale e i “doveri” della narrazione praticamente assenti – l’effetto è ancora più impressionante che nei racconti o nei romanzi. L’ingegnere come scrittore di frammenti assoluti, insomma, come grande moralista e grande indagatore di sé: questo (e probabilmente molto più di questo) ritroverò, venticinque anni dopo, nel Gran Pozzo Gadda.
Il nuovo arrivato nella mia biblioteca è invece Soumission di Michel Houellebecq (che ho la fortuna di poter affrontare in lingua). Ne ho percorso, molto lentamente, le prime trenta pagine e le aspettative non sono andate deluse: a patto, ovviamente, di non leggerlo come l’ennesimo instant book sull’Europa alle prese con la violenza islamista (come più di un recensore ha avuto il cattivo gusto di fare all’indomani di Charlie Hebdo). Non un instant book; se mai un prophetic book di uno dei pochi écrivains rimasti alla Francia una volta scomparsa la generazione del Nouveau Roman, opera di un pensatore forte che viviseziona un Occidente debolissimo, totalmente in-fedele (nel senso di “senza più fedi”), smangiato dall’interno dal proprio edonismo, inetto ad autentiche rivolte (non diciamo a rivoluzioni!), paurosissimo di perdere il proprio benessere, incapace di rimettere in gioco il totem folle di Progresso da lui stesso innalzato tre secoli or sono. E – a giudicare almeno da questi primi tre capitoli – Houellebecq mi pare confermarsi scrittore in grado di far convivere, attraverso la tragicomicità dei suoi personaggi, nostalgia per la grande letteratura europea e pessimismo (non solo storico) per l’humana nostra condicio.
Infine, a chiudere questi progetti di vecchio lettore, un libretto appena ordinato in libreria: Autorità spirituale e potere temporale di René Guénon, autore entrato da decenni nel Pantheon adelphiano. Nulla so del nuovo testo tradotto al numero di catalogo 661 della “Piccola Biblioteca” se non ciò che il titolo stesso lascia affiorare: una ulteriore riflessione dello studioso francese sull’essenza e sui rapporti dei “due poteri” che è al centro di tante altre sue pagine. Ma sono certo che difficilmente la nuova lettura mi deluderà: con i testi di Guénon mi confronto da più di trent’anni, almeno a partire da quel portentoso Il Regno della quantità e i segni dei tempi apparso da Gallimard nel 1945 e da me letto – nella traduzione Adelphi appunto – nel 1982, libro che mi segnò a vita introducendomi alla dicotomia Qualità/Quantità imprescindibile per “la critica del mondo moderno”, alla simbolica e al suo rovesciamento, ai “misfatti” della psicanalisi, solo per citare alcuni di quei capitoli indimenticabili. So bene che senza la decina di libri di Guénon letti finora, non vedrei il mondo come lo vedo, non giudicherei come giudico, insomma non sarei del tutto ciò che oggi sono. Lettura quindi inconsapevolmente scelta per confermarmi in ciò che già so, per ripensare ciò che già penso? Sì probabilmente, ma ancor più desiderio di un nuovo libro-antidoto contro la vacuità di tante pubblicazioni contemporanee, di tanto vecchiume presentato come nuovo assoluto, di tante banalità celebrate nelle hit parades dei quotidiani e nei talk shows delle tivù.
Libro(i) insomma come amico(i) per la vita, non come conoscenza(e) occasionale(i) di una stagione nella nostra società baumanianamente liquidissima.