Il branco
Un gruppo di cani attacca un pensionato che sta passeggiando a Baggio, nella estrema periferia di Milano, là dove la città confina con la campagna. L’uomo viene ucciso, il suo corpo massacrato senza che nessuno riesca a fermare gli animali. Cosa è successo? I cani tornano ad essere belve, lupi sanguinari che colpiscono con criteri tanto inesorabili, quanto ingiustificati? Quei cani hanno forse rotto l’antico patto con la nostra specie, fondato sul nutrimento in cambio di protezione? L’uomo è stato “sbranato”, dicono le cronache. Il corpo oscenamente rivoltato, l’invisibile reso visibile. Si azzardano spiegazioni etologiche (o pseudo etologiche) che chiamano in causa aggressività, difesa del territorio, risposta alla paura, tendenza a far branco dei randagi. Ma in effetti a far presa è il disorientamento. Come è possibile che queste cose accadano? A Milano, poi, nella civilissima Milano. E così, nello spaesamento appunto, si reagisce nel modo più prevedibile e inevitabile. I cani – normalmente quasi uomini – vengono descritti come “sotto-uomini”. Il branco diventa una banda di killer non nuovi ai raid anti-uomo. A qualcuno dei suoi componenti si attribuisce un’identità: un lupo meticcio, un cucciolo (tu quoque?). Le testimonianze permettono di individuare il capobranco, un pitbull femmina, catturato con una fulminea azione di polizia.
Spiegazioni, si vogliono spiegazioni. I cani non sono nulla senza l’uomo. Dove c’è un cane che sbaglia c’è un uomo che sbaglia. Prove convergenti – ribadite da una comunicazione ufficiale dell’Ente protezione animali di Milano – permettono di risalire al terreno di coltura dei randagi, ovvero i numerosi campi rom della cintura periferica. Come da tempo segnalano gli abitanti del quartiere, i nomadi favoriscono il proliferare di cani senza padrone e regole, a cui danno da mangiare ( i killer sono ben nutriti infatti). Ci dobbiamo credere? Perché no. Ma la convergenza tra reietti fa pensare. Cani dei margini e uomini dei margini, associati a moltiplicare le minacce all’ordine costituito. Coalizzati per colpire. La questione – nata con la modernità, ci pensò per primo Baudelaire a far l’equivalenza – si fa politica. Da una parte finiscono in modo indifferenziato animalisti, rom, il sindaco Pisapia e la sinistra; dall’altra ci sono le destre, i destrorsi, gli uomini del buon senso, gli esasperati, tra cui c’è chi vorrebbe abbattere quei cani o chi li vorrebbe mettere nelle camerette dei figli degli animalisti.
Cosa dire? Nonostante le fauci spalancate e sbavanti dei cani riprodotti nelle foto che pubblicano i giornali (immagini che nulla c’entrano con quelle dei veri protagonisti della tragedia), nonostante l’insistenza sullo “sbranamento”, alla storia della regressione del cane a lupo, pochi sembrano disposti a credere. La realtà è che l’opinione comune si rifiuta di credere che il cane possa avere un’esistenza propria, una capacità di autorganizzazione a prescindere dall’uomo (e non siamo lontani dalla verità pensandolo).
Così ogni questione canina si fa invariabilmente umana. È da tempo, ormai, che il cane ha smesso di essere un animale.