Madrid: Sua Maestà la Decadenza
Non sono più i tempi in cui il Carlo III, soprannominato il Miglior Sindaco di Madrid, additava José Antonio de Armona a suo successore. Era il 1777 e il lucchese Luigi Boccherini, musicista di corte, componeva lo splendido quintetto per archi Musica notturna per le strade di Madrid. Da allora sono cambiate molte cose, ma la decadenza è rimasto uno dei concetti primari della nostra percezione di una città, di una nazione e di una civiltà. L’articolo pubblicato da El País sul finire del 2013, La decadencia de Madrid, ha suscitato un ampio dibattito dal quale l’attuale Alcadesa Ana Botella rischia di uscire malconcia, con il disonorevole appellativo di Peggior Sindaco di Madrid attaccato dietro la schiena. Il fatto che sia stata scelta da José María Aznar, ex Primo Ministro e padre dei suoi pargoli, è circostanza ricevuta con infinito maggior scetticismo che un tempo. Lontano dal denotare comprovate qualità personali, le cosiddette scelte a dedo si accompagnano oggi a diffusi e a volte un po’ confusi sospetti di consorteria, compiacente fedeltà quando non d’inettitudine.
Ogni decadenza ha un’età dell’oro di cui illuminare la precipitazione, e sarebbe ingeneroso mettere a confronto la Madrid di oggi con quella di Diego Velásquez e Francisco Goya. Il confronto suggerito da Rafael Méndez e Álvaro de Cózar nel loro articolo è più stringente, ma non per questo meno insidioso. Prende a esempio, più o meno esplicitamente, il quinquennio che seguì la morte di Francisco Franco e trasformò Madrid in un’“oasi di musica, intellettualità, droghe, amore libero, locali aperti fino a notte fonda e idealismo illimitato (...) Una specie di San Francisco degli anni ‘60”, secondo la rivista Rolling Stones. All’epoca, il sindaco era l’eterodosso Enrique Tierno Galván, che capeggiò una variegata formazione socialista e la portò a vincere le prime elezioni amministrative della democrazia. Galván era già stato traduttore di Ludwig Wittgenstein e di Edmund Burke, docente di Diritto e studiava da tempo il modo di non vessare la libera cittadinanza coi lazzi tradizionalmente usati dai governanti. Non tardò a stringere con la popolazione madrilena, da sempre incline alla belle parole e al buon umore, un idillio che sfociò nella rielezione per maggioranza assoluta nel 1983 (unico sindaco socialista ad averlo conseguito nella storia della città). I suoi funerali, celebrati nel 1986, furono seguiti da una moltitudine che ai nostri occhi può ricordare solo quelli di Enrico Berlinguer.
L’inizio della Movida è tradizionalmente fissato il 9 febbraio 1980, quando si tenne il Concerto di Primavera nella Scuola Superiore di Architettura, durato otto ore. Vi si esibirono diversi gruppi destinati a costellare l’opaco firmamento del punk. Da allora e per i cinque anni a venire la Sala Rock-Ola, la Sal Sol, il Pentagrama e i bui locali di Malasaña dai nomi stellari battezzarono un idolo per notte: Pedro Almodóvar, Fabio McNamara, Alaska y los Pegamoides, Antonio Vega, Enrique Urguijo e i Nacha Pop (among others) foggiarono un canone inedito in cui non c’era eroe senz’eroina e senza la sua dose legale d’ironia. Radio España, Radio Popular e Radio Juventud emettevano programmi di fiancheggiamento dalle frequenze FM mentre le riviste La Luna e Madrid me Mata, insieme ad altre finanziate dal Comune di Madrid, coprivano il fronte delle edicole e delle librerie. Il risultato fu un’altissima onda che sommerse trentacinque anni di proibizionismo, rime vetuste e castità.
Quel che più meraviglia, è il fatto che tra il 1980 e i 1986 i subbugli notturni, le fanzine e le radio libere trovarono una sorprendente eco culturale e un concreto appoggio economico nelle decisioni del Palazzo. Il sindaco Galván sancì la sua unione emotiva con artisti e nottambuli rivolgendosi agli spettatori di un concerto con questo ammiccamento: “Rocchettari, chi non si è ancora fatto che si faccia, e state all’erta!”. Il vecchio professore di Princeton aveva saputo intercettare nella scena clandestina della capitale un’imperdibile occasione di liberazione collettiva. E dato che in quegli anni esistevano già la crisi industriale, i sindacati, la stampa, la metropolitana e la televisione, è logico che il confronto con la Madrid di Ana Botella sia più calzante. La decadencia de Madrid, che ha ricevuto oltre 100.000 segnalazioni nelle reti sociali, prende di mira anche il peggioramento della scena notturna della capitale, cosa che ha indotto diversi blogger ad appoggiarlo con riserva. Il madrileno è infatti estremamente orgoglioso dell’anarchia aurorale che discende sulla città a partire dalle tre antimeridiane.
Ciò che ritiene semplicemente intollerabile è che per la prima volta dal 1983 il Festival Jazz non si celebri per mancanza di finanziamenti pubblici, e ancora meno che il prezzo medio di un gin-tonic abbia raggiunto quote esorbitanti (il 40% se ne va in tasse ma è comunque suoperiore ai sette euro). La frase che ha reso celebre la Sindachessa Ana Botella, “Venite a Madrid a sorbire un relaxing caffellatte”, rivolta alla giuria che avrebbe assegnato a Tokio l’organizzazione dei Giochi Olimpici del 2020, è il biglietto da visita di un progetto i cui bastioni sarebbero dovuti essere la costruzione di Eurovegas, il più grande Casinò d’Europa, e lo sfruttamento dell’indotto economico creato dalle Olimpiadi. La prima si è rivelata un’illusione, giacché dopo tre anni di estenuanti trattative il magnate Adelson ha deciso di destinare i suoi capitali altrove, mentre alla terza candidatura olimpica consecutiva Madrid è stata superata perfino da Istambul (quando qui già si festeggiava in piazza).
A questo si deve aggiungere che la pedonalizzazione degli argini del Manzanares ha prodotto un buco di 700 milioni di euro. L’ultima sconfitta di Ana Botella è stata la privatizzazione della pulizia stradale. Il progetto prevedeva il decurtamento del 40% del salario degli spazzini. Dopo gli scioperi e le agitazioni, compattamente assecondati dalla cittadinanza, ci si limiterà a un loro congelamento fino al 2017 e a 45 giorni all’anno di sospensione delle paghe. In un contesto simile, quando a dicembre si è sparsa la voce dell’imminente chiusura della Sala Sol, più d’uno ha pensato di vivere un brutto sogno. La notizia è poi rientrata, ma il vaso è ormai colmo e la goccia che lo farà traboccare potrà essere anche più piccola.
Ogni sindaco, è naturale, deve fare i conti con il passato della città che amministra. Così, per esempio, Matteo Renzi si confronta ogni giorno con la memoria di Giorgio La Pira (che a un console statunitense estasiato dal panorama disse, al Piazzale Michelangelo: “Mentre noi costruivamo Palazzo Vecchio voi inseguivate ancora i bisonti”) e di Piero Bargellini, autore di meravigliosi commenti alla Divina Commedia.
E anche Ignazio Marino, da parte sua, sentirà l’ingombrante ombra di Ernesto Nathan e Luigi Petroselli, chissà se più o meno di quella dell’Imperatore Costantino. Basti a dimostrare che non è necessario attendere Alarico per decretare la caduta di un Impero, il ricordo di quanto successo a Madrid, dove la temuta decadenza dei costumi e della morale pubblica ha sorprendentemente rovesciato il tavolo, stagliandosi con sardonico sorriso a riferimento di un’impronosticabile Età dell’Oro. Questo può indurre a chiederci: che cos’è la decadenza? E decadenza di cosa, anzitutto? Sembra che il bene più sensibile ai crolli sia la libertà.