Il Furioso di Lenz
L’amore che non si sazia è un tempo che corre sempre uguale a se stesso. Quello che è stato, sarà ancora, in tutte le direzioni in cui riesci a guardare. “Qui” è un moto a luogo continuo ne Il Furioso di Lenz Fondazione. Trasportato dal suo farsi, il desiderio di dirsi e darsi straborda oltre gli argini di Ludovico Ariosto e del Museo Guatelli a Ozzano Taro di Collecchio, provincia di Parma. Come se la terra intera fosse argine, ogni zolla e attrezzo che l’ha coltivata fossero l’espressione di una possibilità inappagata: costruire, realizzare, compiere la propria vita per mezzo dell’oggetto amato. Contenere tutto dell’altro e lasciare libero tutto di sé. Correre restando fermi.
Per questo, la nuova ricerca drammaturgica di Lenz dedicata all’Orlando furioso, nei suoi due primi episodi (andati in scena per l’ultima volta al Guatelli sabato scorso), La Fuga e L’Isola, può essere considerata una fantasmagoria, un’allegoria di fantasmi abitati dagli attori sensibili – con disabilità psichica e intellettiva – e dagli attori storici della Compagnia, sembianze arrese di guerre che non si possono più vincere, solo riperdere con più spirito, allegro o rabbioso che sia. Il progetto complessivo, otto spettacoli tra il 2015 e il 2016 per spazi non teatrali, è l’ennesimo esito performativo della pluriennale collaborazione con il Dipartimento assistenziale integrato di salute mentale dipendenze patologiche dell’Ausl di Parma. Dopo la chiusura degli Ospedali psichiatrici giudiziari, sempre più una ricchezza da preservare per il recupero e reinserimento sociale.
Il Museo Guatelli
Il Furioso è partito dunque dal museo etnografico nel parmense che presenta una collezione di utensili della cultura contadina, ma anche scatole, giocattoli e scarpe: sessantamila articoli, spettri anch’essi senza ombra al muro della loro inservibilità, irreparabili e non riparati, come esigeva Ettore Guatelli, il “Madre Teresa delle cose”, perché collezionava unicamente oggetti poveri, racconta Enrico, il volontario che ci fa da guida nella casa museo dopo La Fuga e L’Isola. Ovunque guardasse, cercava spazi da riempire. La sua vera ragione di vita. Quando tornava da una ‘spedizione’, la macchina era così carica che la marmitta strisciava sulla ghiaia dell’ingresso. Una furia dell’accumulare, lucida, perché comunque era il primo a scherzarci su. È morto il 21 settembre 2000 all’età di 79 anni.
“Gli spazi esterni e interni del Museo Guatelli danno voce materica all’ossessione del collezionista – afferma Maria Federica Maestri, che cura installazione, elementi plastici e regia de Il Furioso – l’atto infinitamente ripetuto (interrotto soltanto dalla morte del collectionneur) del raccogliere un insieme di oggetti ‘minori’ apparentemente senza valore e utilità, perché espropriati dalla funzione primaria di utensile, è simile al nostro dispositivo drammatico. La forma dell’impossibile messinscena del poema è una raccolta di soggetti in fuga, da se stessi e dalla propria funzionalità normativa, è la ‘messa in mostra’ del soggetto collocato con amore e ostinazione sulla parete poetica del teatro”.
Vista dal prato sul Museo Guatelli, ph. Matteo Brighenti
Il cammino di Lenz
Maria Federica Maestri con Francesco Pititto, responsabile per Il Furioso di drammaturgia, imagoturgia e scene filmiche, ha fondato nel 1985, a Parma, l’allora Lenz Rifrazioni. Un’estrema e radicale fedeltà alla parola e al testo, sviscerato, tradotto e adattato per la scena, un lungo lavoro laboratoriale con gli attori, un’originale attività di installazione scenica e creazione filmica, ne hanno definito fin da subito la poetica: grandi opere classiche, considerate irrappresentabili per la loro sperimentalità linguistica o drammaturgica, sono state trascritte in visioni contemporanee. In una fase più recente al centro c’è l’indagine visiva e plastica: l’azione teatrale si incunea tra la scrittura per immagini e la creazione dello spazio, che vuole essere un’installazione autonoma, con gli interpreti ‘reagenti artistici’ del testo creativo. Dal 1996 hanno aperto un dialogo attivo con la scena internazionale attraverso il festival Natura Dèi Teatri dedicato alle nuove ricerche, di cui sono i curatori. Lenz Fondazione è nata nel novembre dell’anno scorso dall’unione di Lenz Rifrazioni e Natura Dèi Teatri. La direzione artistica è curata da Maria Federica Maestri e Francesco Pititto, che ne è il presidente. Presidente onorario e direttore scientifico è Rocco Caccavari, già presidente di Natura Dèi Teatri. La sede è Lenz Teatro, uno spazio industriale degli anni ’40, completamente ristrutturato, nella periferia storica di Parma.
#1 La Fuga
Lontano dal centro, ai margini, fa bella mostra di sé la verità sincera e naturale della caducità delle cose. Quando arriviamo al Museo Guatelli gli uccelli stanno cantando l’addio al giorno, l’erba tagliata profuma di fresco e il rumore delle macchine su via Nazionale è un rombo sordo, ovattato dalla distanza. La casa museo e tutto il complesso sono bassi, vicini alla terra da coltivare, il capo chino del lavoro, l’impegno e la fatica di aspettare il sole che verrà per tirarlo su. Dietro le colline, il tramonto cade in un rosso sempre più ruggine, il tempo rovina, consuma, attacca, è una porta che conduce a un’altra porta, e poi a un’altra e a un’altra. Corre Angelica, traversa le soglie del suo fuggire su tre grandi schermi appesi alle volte del portico di quella che era la stalla di casa Guatelli. Si vede e no, la corsa pare la luce di un sogno. È Carlotta Spaggiari, attrice autistica di Lenz, già Ermengarda nel recente allestimento dell’Adelchi manzoniana, la protagonista del primo episodio de Il Furioso, La Fuga.
Il Furioso, #1 La Fuga, ph. Francesco Pititto
Ha un casco da pugile, un boa colorato a far da lunga coda, un bustino dorato. Tutti gli attori, che arrivano come onde dietro gli schermi, hanno questa tenuta da Tori Scatenati che hanno smarrito la via del ring, che non hanno più corde cui aggrapparsi: la battaglia della vita li ha lasciati soli con gli angoli nella testa. Parlano un emiliano che non ha separato il grano dalla pula, concreto, popolare, il testo non è solo di Ariosto, ma anche della loro innegabile natura presente. Maria Federica Maestri dà loro il passo struggente e inquieto della polvere che si deposita sulle cose, i granelli e la caduta.
Angelica fugge da chi la vuole per desiderio, da Orlando, che da saggio è diventato matto e l’anima è volata all’Inferno o chissà. Le immagini di Francesco Pititto rimandano una corsa di cui non si sente il respiro affannato, che fluttua come impronta sulla sabbia, il vento è una soffice sorpresa tra la criniera di questa donna imbizzarrita. C’è tutto quello che non possiamo vedere con gli occhi, i ricordi, le aspirazioni, le decisioni prese e ritrattate.
L’agire attorno al lettore/spettatore della moltitudine di personaggi in continuo movimento di fuga, inseguimento, lotta, perdita della ragione, magia – suggerisce Pititto – è dal punto di vista della visione/fruizione molto simile a un’allucinazione. La scansione paratattica delle scene costruisce un quadro in progressiva formazione; pare non esserci termine, non c’è fine della Storia fatta di tante storie. Una giostra di cavalieri, amazzoni e cavalli che gira all’impazzata.
La Fuga è il fuggire, è tautologia, è ripetizione ossessiva tra uomo e donna, perché per Angelica che fugge e Orlando che insegue ci sono Bradamante che insegue e Ruggero che sfugge. L’atmosfera è carica di attesa ignota, come l’aria prima della pioggia, una carica concentrata su di noi (il disegno sonoro è di Andrea Azzali ed è ispirato alla Tetralogia wagneriana). Seguiamo la scia delle chiome nel piazzale e poi nel Museo. Dentro, i soggetti amorosi sono trasfigurati nella serialità di martelli, pinze, chiodi, forbici, falci e coltelli raccolti da Ettore Guatelli. Angelica, adesso raddoppiata nella corsa da una seconda attrice, l’una lancetta delle ore, l’altra dei minuti, li guarda, li nomina e loro restano fermi immobili nel proposito di ricevere attenzioni. La stanza è talmente piena di arnesi che non si riescono ad aprire più le finestre. L’oppressione della ricerca del possesso assoluto, totale, si fa calore oscuro che raschia la gola. Troviamo riparo tornando indietro sui nostri passi, a respirare dove già sapevamo farlo e la bocca si può aprire quanto gli occhi, nel piazzale, all’aperto.
Il Furioso, #1 La Fuga, ph. Francesco Pititto
#2 L’Isola
Ritorna alla quiete anche Il Furioso. Nel secondo episodio, L’Isola, si siede sul trono di Alcina, Delfina Rivieri, già Ofelia nell’Hamlet e Monaca di Monza ne I Promessi Sposi, fata maligna con un chimono rosso bordello, strega simile alla Maga Circe, che trasforma in piante e animali gli uomini che si invaghiscono di lei. La ricerca infuriata dell’amore si fa più parlata e meno agita, si indebolisce la spinta, trovando conforto nelle proposizioni concentriche di un corpo che finge la propria bellezza oltre i limiti degli anni. La levità profonda del teatro di burattini, il colore sgargiante del gioco giocato seriamente, si appesantisce di sfocature, illusioni insistite: il viaggio, costruito ne La Fuga per tappe di sofferta libertà, su L’Isola pare rivoltarsi contro, mancare sotto i piedi di inseguitori e inseguiti. Cercavano un’altra porta ancora, si sono ritrovati in una rete. Come il Museo per Ettore Guatelli, il mondo passato per quella casa è finito per essere il suo unico mondo possibile.
Il Furioso, #2 L'Isola, ph. Francesco Pititto
Chiudiamo il cerchio del racconto con i tre grandi schermi dell’inizio. Alcina è sdraiata davanti a noi e, in video, è filmata sul letto della stanza privata di Guatelli, colma di decine di orologi. I quadranti sono muti. Nel ‘bosco delle cose’, oltre alla ruggine e alla polvere, ora si è fermato anche Il Furioso sensibile e labirintico di Lenz Fondazione. Le infinite opportunità di amare, alla fine, finiscono tutte. Ma amare l’irraggiungibile raggiunge già in vita l’incanto gelido dell’eterno riposo.