Shigeru Ban: sonata per L’Aquila
La Paper Concert Hall de L’Aquila è stata inaugurata ufficialmente il 7 maggio del 2011 con un concerto diretto da uno dei più celebri direttori d’orchestra giapponesi, Tomomi Nishimoto. Il concerto e l’apertura ufficiale della sala era stata voluta dall’ambasciatore giapponese che di lì a poco avrebbe finito il mandato e sarebbe rientrato in Giappone. Ci teneva, quindi, ad accelerare la chiusura dei lavori e veder finita la sala prima di lasciare l’Italia.
All’epoca del nostro incontro in un hotel del centro di Milano, durante il Salone del Mobile, dove Shigeru Ban si trovava per la presentazione di un allestimento in cartone commissionato dalla casa di moda Hermès, l’incertezza sulla conclusione dei lavori pesava ancora sull’architetto giapponese. Sapeva che per l’inaugurazione ufficiale l’edificio non sarebbe stato completamente finito: lo preoccupava soprattutto la forma del controsoffitto perché era in gioco l’acustica della sala. Intanto però l’edificio funzionava; qualche mese dopo il famoso concerto l’edificio fu completato con qualche ulteriore soluzione di compromesso riconoscibile nel disegno del soffitto. E così ora la sala de L’Aquila fa la sua bella figura nell’elenco delle architetture che Sigeru Ban chiama “Disaster Relief Projects”, più o meno progetti per portare conforto dopo un disastro. Una specie di topografia dei disastri accaduti nel mondo dal 2009 (anno del terremoto di Kobe) fino a oggi.
Quando ho letto del premio Pritzker assegnato a Shigeru Ban e fra le foto dei progetti più importanti da lui costruiti è comparso l’auditorium de L’Aquila non ho potuto fare a meno di pensare al suo racconto di come erano andate le cose. Mentre metteva in fila gli ostacoli che gli erano stati gettati davanti per farlo desistere, la sua rinnovata incredulità sembrava ancora andare di pari passo con la sua ostinazione: mi aveva molto colpito. In fondo era già un architetto famoso, stava costruendo la nuova sede del Centre Pompidou a Metz, aveva un sacco di lavoro, ma questo progetto per L’Aquila lo sentiva come un compito da portare a termine a ogni costo. Sentiva un grande senso di responsabilità per l’incarico ricevuto dal governo giapponese e anche un forte sentimento che fosse giusto, per prima cosa, ricostruire uno spazio pubblico. Di fronte a tutto questo, la controparte italiana era semplicemente latitante.
Tutto era cominciato da una foto. L’espressione compresa di Berlusconi mentre maneggia un modello d’architettura in cartone accanto all’ambasciatore giapponese al centro dal palco del G8 non poteva passare inosservata. La didascalia parlava di un auditorium portato in dono all’Italia da parte del Giappone come gesto di solidarietà per la popolazione colpita dal terremoto che aveva distrutto L’Aquila, e ora Berlusconi lo maneggiava con una certa enfasi, forse per togliere ogni dubbio che fosse sinceramente colpito da un gesto del tutto inaspettato e probabilmente per lui del tutto incomprensibile. Come poi i fatti hanno raccontato. la ricostruzione de L’Aquila passava da altre strade e non certo dall’urgenza, in primis, di ricostruire lo spazio pubblico.
La consegna dell’auditorium in cartone da parte dell’ambasciatore giapponese è la scena che apre la storia paradossale dell’unica opera che l’architetto appena premiato con il premio Pritzker – la massima onorificenza nel campo dell’architettura – abbia mai realizzato in Italia. Shigeru Ban è un architetto giapponese che deve molto della sua fama all’attività di primo intervento in situazioni d’emergenza. E poiché è giapponese, l’emergenza coincide perlopiù con le devastazioni provocate da un terremoto, come è successo a Kobe nel 1995, il momento in cui il Giappone contemporaneo si è risvegliato dal suo idillio con la Natura. Si potrebbe dire che la sua è un’idea di architettura come terapia per comunità ferite. Così è successo anche per L’Aquila. L’esperienza del disastro accumulata dall’architetto appena reclutato nella schiera dei grandi maestri contemporanei è rimasta però disarmata di fronte ai bizantinismi dell’amministrazione italiana, resi ancora più scivolosi dal fatto di trovarsi immersi in una delle vicende più emblematiche dell’Italia berlusconiana contemporanea: il sacco de L’Aquila e il suo abbandono in uno stato di coma profondo.
Dopo la famosa foto diffusa dai media ho contattato Shigeru Ban, di cui ammiravo il lavoro, per chiedergli di parlare di questa storia. Si dimostrò molto desideroso di raccontare una vicenda che ancora lo lasciava di stucco e un po’ lo feriva per le umiliazioni che aveva collezionato (il sindaco Cialente spesso si era negato all’ultimo momento e non aveva voluto riceverlo malgrado avessero fissato gli incontri con ampio margine di anticipo e spesso Ban si era ritrovato a L’Aquila dopo complicatissimi incastri di appuntamenti sparsi tra Tokyo e Parigi e intricate rotte aeree e altri mezzi di trasporto, messo alla porta da un sindaco decisamente poco solerte).
Bisogna ricordare infatti che la sala per i concerti è stata donata dal governo giapponese al popolo italiano in occasione del G8 trasferito nella città distrutta dal terremoto il 6 aprile 2009. Sovvenzionata con una donazione di 500.000 euro da parte del Giappone, la sala ha seguito un percorso a ostacoli che restituisce chiaramente il modo della gestione della ricostruzione a L’Aquila. L’intervista che segue alla fine non è mai stata pubblicata. Quale migliore occasione di un premio così importante per rispolverare una storia che si vorrebbe poter soltanto dimenticare?
Il suo progetto per la Temporary Concert Hall de L’Aquila ha avuto un percorso travagliato vorrei che mi aiutasse per ricostruire le tappe e stilare una cronologia della storia del progetto
Mi sono trovato spesso a lavorare in aree colpite da terremoti, e quindi non appena ho saputo di quel che era successo a L’Aquila ho subito chiesto allo staff italiano del mio studio di Parigi di raccogliere tutte le informazioni possibili. In un primo momento ho anche pensato che non fosse necessario un mio intervento perché le dimensioni del disastro sembravano contenute rispetto alle devastazioni di cui avevo esperienza e la situazione sembrava sotto controllo: il governo aveva subito organizzato delle tendopoli. Mi ha subito molto colpito sapere che il terremoto aveva distrutto la sala per concerti della città e che i musicisti e gli studenti sarebbero stati costretti a lasciare la città e a disperdersi. L’Aquila è famosa per la musica ed è sede di un’importante orchestra filarmonica e di una scuola di musica. Questa perdita sarebbe stato un effetto collaterale disastroso che andava ad aggiungersi alla devastazione del terremoto: questo pericolo mi ha convinto ad andare subito a L’Aquila.
Progettare una sala per concerti, quindi, è stata una sua decisione?
Quando mi sono recato per la prima volta a L’Aquila la mia idea sul tipo di intervento da fare non era così chiara. Spesso mi accade di essere invitato nelle aree colpite da un disastro ma può accadere che decida di andare di mia iniziativa per capire quali sono i progetti più urgenti. A L’Aquila è successo così, sono andato per conto mio. L’idea di fare una sala per concerti però l’avevo già in mente perché sapevo che non erano rimasti in piedi luoghi dove l’orchestra potesse suonare.
Qual era il ruolo dell’Università?
In genere mi metto sempre in contatto con le scuole di architettura del luogo. Sapevo che a L’Aquila c’era un buona università per cui mi sono messo subito in contatto con il professor Benedetti e i suoi colleghi per aiutarmi accompagnandomi a visitare l’area del disastro. Avevo sempre in mente l’idea della sala per concerti ma andavo chiedendomi come fosse possibile realizzare una struttura così complessa. Non avevo mai realizzato una struttura temporanea così grande in una situazione d’emergenza. Naturalmente ho avuto modo di sperimentare strutture di cartone di grandi dimensione ma mai in aree disastrate. In genere mi occupo di case temporanee e rifugi d’emergenza, che hanno una scala ridotta, o anche di realizzare edifici più grandi mai però della complessità di una sala per concerti. Così quando sono stato a L’Aquila, mentre mi guardavo attorno ho visto una grande tettoia d’acciaio accanto all’autostrada. Sembrava quasi un struttura non finita: un grande tetto che giaceva abbandonato. Immediatamente ho pensato che potesse servire per farne la copertura della mia sala per concerti. Bastava costruirgli intorno i muri. Tutto sommato sarebbe stato piuttosto semplice e anche economico ricavare una sala per concerti avendo già a disposizione il tetto.
Così ne ho parlato con il professor Benedetti, il quale mi ha raccontato che molti anni addietro la città aveva avuto l’idea di realizzare una metropolitana leggera, e quando già era cominciata la costruzione dei binari e di una prima stazione, il progetto all’improvviso era stato abbandonato. Il professor mi ha anche raccontato che il comune aveva cominciato i lavori senza i permessi necessari e così tutto era stato abbandonato. Non ci potevo credere. Era una storia incredibile. A ogni modo non appena rientrato nel mio studio di Parigi ho incominciato a costruire un modello che prevedeva di usare la tettoia per farne il tetto di una sala per concerti. Quando sono tornato a L’Aquila con il mio modellino, insieme ai professori, ho incontrato il sindaco che ha molto apprezzato la mia idea e mi ha concesso l’uso della tettoia. Questo punto lo considero il vero inizio della storia.
Quando entra in scena il governo giapponese?
Dopo aver ricevuto il permesso di usare la tettoia ho avuto la fortuna di ricevere una telefonata dall’ambasciatore del Giappone in Italia, Mr Ando, che conosceva il mio lavoro nelle aree disastrate e voleva parlarmi. Dopo che Mr Berlusconi aveva deciso di spostare il G8 a L’Aquila, infatti, il Giappone si era dato da fare per promuovere un progetto da donare all’Italia e l’ambasciatore era stato incaricato di seguire la cosa. Il mio progetto gli era piaciuto e quindi aveva deciso di sottoporlo all’approvazione del governo giapponese. Così quando il nostro ex primo ministro Aso si presentò alla conferenza stampa del G8, lo fece con il mio modello in mano. Il progetto divenne di pubblico dominio e fui felicissimo di sapere che il governo giapponese aveva deciso di donare mezzo milione di euro per la realizzazione del mio progetto.
Originariamente si trattava una auditorium di 1000 posti grazie alla dimensione della tettoia. Quando ormai il progetto era stato presentato ufficialmente e il governo giapponese si era impegnato a finanziarlo, ho preso contatto con il sindaco e la Protezione Civile. Ci siamo incontrati parecchie volte per discutere dell’uso dei tubi di cartone che gli ingegneri della Protezione Civile e della municipalità non ritenevano adatti come materiale da costruzione. Pensai di rassicurarli mostrando loro molti esempi delle mie realizzazione in tubi di cartone. Alla fine dissero che semplicemente in Italia non era permesso. Dopo aver chiarito che per me non era tanto importante usare tubi di cartone e che potevo usare qualsiasi altro materiale, presentai una nuova idea. Si trattava di usare un normale sistema di impalcature per alzare le pareti da tamponare, poi, con sacchi di sabbia: la sabbia oltretutto offre ottime caratteristiche acustiche. Naturalmente avrei preferito utilizzare la mie strutture di tubi cartone, ma in alternativa ero disposto a usare qualsiasi altro materiale avessero accettato.
Così ha messo a punto un nuovo sistema costruttivo
Ho sottoposto alla Protezione Civile delle alternative, ma alla fine si è concordato di usare i tubi di cartone anche se non in funzione strutturale: la Protezione Civile era d’accordo, e ogni cosa sembrava a posto. Da quel momento in avanti non hanno più accettato di incontrarmi.
Chi nella fattispecie?
La Protezione Civile e l’ufficio del sindaco non sembravano volerci affatto incontrare. Io non ne capivo il motivo. Alla fine mi sono rivolto all’Ambasciata giapponese di Roma per capire come mai rifiutassero di parlare del progetto malgrado l’avessero approvato. Dopo qualche tempo ricevetti una telefonata da un giornalista italiano che mi chiedeva cosa pensassi del fatto che il mio progetto era stato cancellato. Dunque i giornali riportavano che il mio progetto approvato durante il G8 era stato cancellato, e io non ne sapevo nulla. Avevano deciso di cancellarlo senza avvertirmi e senza alcuna spiegazione. Chiesi di nuovo l’aiuto dell’ambasciatore per scoprirne le ragioni. Venne fuori che c’erano tre problemi. Il primo riguardava i tubi di cartone, anche se avevo proposto delle alternative.
Il secondo riguardava la tettoia: non la potevo usare anche se nessuno aveva sollevato la questione tanto che il sindaco mi aveva già accordato il permesso. Il terzo riguardava il budget: non era sufficiente. Come potevano affermare che non era sufficiente senza prima vedere il progetto? Ad ogni modo la Protezione Civile aveva deciso di cancellare il progetto. Ero sorpreso perché avevo già discusso con gli ingegneri di possibili alternativa, ma soprattutto non capivo in base a quale conteggio potevano sostenere che mezzo milione di euro non fosse un budget sufficiente.
La vostra proposta prevedeva di coinvolgere nella costruzione gli studenti?
Questo è un obiettivo importante dei miei progetti. Lavoro sempre con gli studenti, perché l’idea stessa della ricostruzione ha a che fare con l’insegnamento e il coinvolgimento dei giovani. Ero già stato all’Università de L’Aquila con il professore Benedetti, dove avevo tenuto due lezioni a cui erano venuti tanti studenti pieni d’entusiasmo e di voglia di fare. Erano pronti a lavorare con me, a partecipare al progetto. Ormai ho sviluppato una certa esperienza nel realizzare costruzioni a basso costo con l’aiuto degli studenti. Avevo anche organizzato una raccolta di fondi aggiuntivi… invece senza neanche parlare con me avevano deciso di cancellare il progetto.
È al corrente delle accuse mosse alla Protezione Civile e a Bertolaso?
Sa cos’è emerso riguardo alla tettoia? Che dal momento che il progetto della metropolitana leggera era saltato la municipalità non aveva pagato l’impresa. Così mentre il terreno era di proprietà comunale, la struttura apparteneva all’impresa che non appena aveva saputo del mio progetto ha cercato di rivalersi per recuperare il denaro. Ecco cosa c’era dietro il problema della tettoia.
Come ha reagito al paradosso di tutta questa situazione?
Ho incontrato di nuovo la Protezione Civile dicendogli che se non era possibile usare la tettoia potevo inventarmi qualcos’altro. Che se ritenevano che il budget non fosse sufficiente avrei ridimensionato il progetto. Così ho fatto: ho ridisegnato la sala per un nuovo sito riducendone la dimensione e acconsentendo a tralasciare i tubi di cartone per costruire una nuova struttura. Non c’era ragione che cancellassero il progetto: così alla fine del 2009 abbiamo cominciato tutto da capo. Dato che il governo giapponese avevo già consegnato la donazione in denaro e il progetto era diventato di dominio pubblico, erano costretti a rispettare gli accordi.
Vuol dire che il governo giapponese aveva consegnato i 500 mila euro direttamente nella mani della Protezione Civile?
Esattamente. Questo è il motivo per cui il progetto è diventato un progetto della Protezione Civile ma io avevo il dovere di seguire tutto il complicato processo incluso la vicenda degli appalti. Ad ogni modo l’estate successiva è stato deciso di affidare l’appalto a un’impresa costruttrice. Anche questo era molto strano. La Protezione Civile ci disse che non ci era permesso supervisionare la costruzione. Malgrado fosse il mio progetto, mi dissero che non potevo lavorare con gli studenti: secondo loro era troppo pericoloso. Avevo trovato un’impresa disposta a impiegare gli studenti ma ne fu preferita un’altra. La parte più difficile da digerire era comunque il fatto di non poter supervisionare il progetto. Era il mio progetto e il lavoro degli studenti ne era parte fondamentale. Dopo l’assegnazione dell’appalto quando abbiamo chiesto di controllare gli esecutivi, è venuto fuori che avevano cambiato il progetto in molti dettagli importanti ma la cosa più grave risultò che avevano deciso di abbassare il soffitto di due metri all’interno della sala per i concerti.
Qual era il motivo?
Dissero che c’era un problema con l’impianto di condizionamento. Proponemmo altre soluzioni ma non vollero stare a sentirci. Neanche la Protezione Civile, che si preoccupava soltanto di proteggere l’impresa. Tutti sanno che in una sala per concerti le proporzioni sono estremamente importanti. Noi avevamo la consulenza di Daniel Commins, uno dei migliori ingegneri acustici francesi, che ci aveva aiutato a stabilire la proporzione della sala in funzione dell’acustica (ndr Commins Acoustic Workshop ha progettato l’acustica de La Cité de la Musique di Parigi). L’impresa, invece, aveva deciso di abbassare il soffitto senza neanche parlarcene. Quando gli abbiamo chiesto di fermare i lavori e ripristinare le proporzioni originali non hanno voluto ascoltarci.
A questo punto non potevo accettare che le cose andassero avanti a quel modo: se l’impianto fosse stato istallato, la sala non avrebbe più funzionato acusticamente. Non capisco perché la Protezione Civile non volesse ascoltarci. Così di nuovo mi sono rivolto all’ambasciatore perché si mettesse in contatto con la Protezione Civile, ma nel frattempo Bertolaso aveva dato le dimissioni. A questo punto la situazione si è maggiormente complicata perché la persona che ha sostituito Bertolaso non conosceva la storia del progetto. Si limitò a dire che l’abbassamento del soffitto andava bene così. Ci fornirono anche dei calcoli sulla riflessione del suono per provarne la validità che passai al mio ingegnere acustico. Lui li guardò, poi, dato che la riflessione non è che uno solo dei parametri necessari per valutare l’acustica, rilevò che i calcoli erano incompleti e non provavano nulla. Così intimai che si ritornasse al progetto originale, ma a questo punto l’impresa chiese 150.000 euro per ripristinare il progetto originale: lo stesso che avevano deliberatamente alterato.
Nella sua esperienza, nelle aree dei disastri, le capita spesso di affrontare situazioni del genere?
Ho lavorato ovunque nel mondo, recentemente anche ad Haiti. Ma non mi è mai successo una cosa del genere. Quando venni a sapere che avevano incominciato ad abbassare il soffitto per installare l’impianto di condizionamento, chiesi di fermare i lavori, ma andarono avanti lo stesso. Chiesi un incontro, rifiutarono. Il contratto firmato dall’Ambasciata Giapponese e dalla Protezione Civile stabiliva chiaramente che erano tenuti a rispettare il mio progetto: è scritto nel contratto. Era illegale far qualsiasi cosa senza il mio permesso.
Quando succedeva tutto questo?
Alla fine del 2010. Si pensava di finire per Natale ma il problema del soffitto ha protratto i lavori. Non potevo permettere che proseguissero a quel modo. Alla fine ho accettato di arrivare a un compromesso. Abbiamo ridisegnato i dettagli della nuova soluzione. Per me la cosa più importante è la qualità del suono più che l’aspetto visivo. E comunque ho dovuto dare priorità alla conclusione dei lavori. Nel frattempo la Protezione civile e l’Ambasciata Giapponese sono pervenuti a un nuovo accordo per fondi aggiuntivi: la Protezione civile ha accettato di aggiungere 100 mila euro, più altri 150 mila raccolti da parte del Comune.
Qual è il suo sentimento riguardo all’edificio?
Posso dire che molte cose sono successe, ma siamo arrivati a un risultato, e tutti si sono prodigati per raggiungerlo. Ognuno ha la sua posizione e io la devo accettare e comprendere. Perché si tratta di un progetto a basso costo in una situazione difficile.
Ritiene davvero che si tratti di un edificio a basso costo?
La cosa che mi dispiace di più è la questione degli studenti: non aver coinvolto gli studenti è il mio grande rimpianto.
Cosa pensa della scelta di costruire ex novo delle new town fuori dal centro, che invece non è ancora stato ricostruito?
È veramente un peccato. Ogni volta che mi reco a L’Aquila, vedo la città ancora inaccessibile: non sta accadendo niente lì dentro.
In base alla sua esperienza quale pensa siano i cardini della ricostruzione in un luogo ferito da un terremoto?
Devo dire che in genere mi occupo delle prime fasi dell’emergenza. Soltanto in occasione dello tsunami del 2004, mi sono occupato di costruire un intero villaggio permanente per una comunità di profughi. È la prima volta però che in queste situazioni affronto il progetto di un edificio pubblico.
Penso che sia molto importante che la gente sai messa a conoscenza di quello che sta succedendo a L’Aquila. Far tornare i musicisti a suonare penso che sia il modo migliore per riportare le persone in città e attirare l’attenzione su L’Aquila.
(L’intervista si è tenuta a Milano nell’aprile del 2011)