18 novembre, ore 17; Piazza Affari, Milano / Bonus cultura: qualche riflessione

18 Novembre 2017

Palazzo Mezzanotte

 

Sta per chiudersi il primo anno di Bonus cultura ed è partito l’anno 2: i ragazzi nati nel 1998 hanno tempo fino a Natale per spendere i loro 500 euro e, nel frattempo, il 19 settembre 2017 è stato lanciato il bonus cultura per i ragazzi nati nel 1999. 

Come è noto, il bonus cultura è un voucher di 500 euro destinato ai diciottenni (e agli insegnanti, ma di questo non parlo qui) da spendersi per prodotti e servizi culturali con la seguente procedura:

 

- Ottenere lo SPID (un identità digitale). 

- Iscriversi ad apposito sito APP.

- Acquistare prodotti culturali (la varietà di prodotti e servizi acquistabili è aumentata fra il primo e il secondo anno di presenza dell’incentivo) fino ad esaurimento del credito.

 

Attorno alla manovra si è creato nei mesi scorsi un diffuso scetticismo, che francamente capisco poco. Provo quindi a riflettere su tre punti:

 

- È un buon intervento?

- Come sta andando?

- Che cosa si può migliorare?

 

1. Bonus cultura: è un buon intervento?

 

Ci sono diverse ragioni per cui penso che il bonus cultura sia una buona iniziativa.

Innanzitutto, non è mistero che l’Italia si caratterizzi per livelli di consumi culturali molto bassi rispetto al resto dei paesi OCSE. Oliviero Ponte di Pino (2017) presenta alcuni dati e purtroppo le ricerche OCSE successive non mostrano miglioramenti; non penso sia necessario dilungarmi sul fatto che questo sia un grosso problema, che ha ricadute profonde sulla “capacità di tenuta” del paese da un punto di vista sociale ed economico. Il Rapporto Annuale Istat 2017 propone dati preoccupanti in termini di consumi culturali: dal 2008 al 2016 si è verificato un aumento del 3,4% della quota di persone che non partecipa in nessun modo ad attività culturali, passando dal 34% del 2008 al 37,4% del 2016. Risulta eroso soprattutto l’insieme di coloro che partecipano a una sola o a due attività culturali, che passano dal 34,7% del 2008 al 32,7% del 2016. Le famiglie italiane destinano a ricreazione e cultura mediamente 130 euro al mese, un valore decisamente inferiore alla media UE28. 

Una manovra che cerca di intervenire su un problema così importante mi vede favorevole “a prescindere”. Poi, certo, si può discutere sul fatto che sia una goccia nel mare e che possa essere utilizzata a fini propagandistici. Però, intanto, piuttosto che niente meglio piuttosto.

 

Un altro motivo per cui sono ben disposta nei confronti di questo intervento di policy è dato dal fatto che si rivolge ai diciottenni, una fascia di età molto difficile da raggiungere dagli operatori culturali. Mi piace pensare al bonus come a un gesto generoso che la società fa al momento dell’ingresso nel mondo adulto per consentire ai ragazzi di attrezzarsi in modo autonomo a orientare i propri gusti e a sviluppare una propria coscienza critica. Consumiamo cultura da bambini per la presenza di influenzatori forti e autorevoli e spesso paternalisti (i genitori, gli insegnanti…); con il bonus è possibile esplorare in tante direzioni e la somma è tale da permettere anche di fare qualche errore. Siccome mi sembra che i nostri policy maker in genere tendano a trascurare i giovani a vantaggio dei loro genitori o dei loro nonni, ho salutato il bonus come un piccolo raggio di sole.

Inoltre, da un punto di vista tecnico, il bonus è una politica di incentivo alla domanda (a chi consuma) e non all’offerta (a uno specifico settore). Rispetto agli incentivi all’offerta, gli incentivi alla domanda producono più facilmente ricadute diffuse e responsabilizzano un po’ tutti al risultato. Ad esempio, poiché i ragazzi possono spendere i 500 euro come vogliono, è interesse del singolo museo o della singola libreria attivarsi per intercettarli; gli incentivi alla domanda stimolano comportamenti proattivi a livello territoriale e all’interno delle filiere.  

 

Infine, penso che il bonus cultura sia di stimolo ai settori culturali per due motivi. Il primo è ovvio e scontato: hanno un po’ di risorse. Evviva. Per quanto in crescita, gli investimenti statali in cultura sono lo 0,28% del PIL; non mi pare quindi sia iniquo un piccolo investimento ulteriore. Il motivo più importante è però un altro. Non sappiamo niente ma proprio niente in modo condiviso dei consumi culturali. E quello che sappiamo è intuizione più che conoscenza. L’operatore che ha informazioni più accurate è Amazon (ma si guarda bene dal condividerle), mentre tuti gli altri osservano i loro possibili clienti, i loro pubblici dal buco della serratura e vedono per definizione poco. Ciascun editore sa quanto ha venduto del suo autore, le librerie Feltrinelli o IBS conoscono come si distribuiscono le vendite dei loro prodotti in assortimento, il direttore del museo quanti ingressi ha… mancano però informazioni sui panieri di consumo. Per la prima volta abbiamo uno strumento che potenzialmente ci permette di valutare il mix di consumi culturali su un campione di popolazione importantissimo e a partire dalla rilevazione dei consumi effettivi e non da interviste a campione. 

 

2. Come sta andando?

 

I dati disponibili per valutare i risultati diretti di questa politica sono purtroppo molto pochi: un articolo su “La Stampa” del 9 febbraio 2017 evidenzia un avvio faticoso e pone l’accento sulla scarsa percentuale di studenti iscritti.

 

Un post del 30 maggio 2017 di Tommaso Nannicini (sottosegretario alla presidenza del Consiglio durante il governo Renzi) va comprensibilmente nella direzione opposta e fornisce qualche indicazione sul paniere di consumi, evidenziando la netta prevalenza di consumi di libri.

 

Un’inchiesta di Repubblica del 25 settembre 2017, infine, sottolinea le lamentele dei ragazzi sul mix di prodotti offerti e sulla difficoltà di processo. Purtroppo questi sono i dati più recenti che ho trovato. 

 

La tabella sottostante raccoglie e confronta i risultati disponibili, permettendoci di avere un quadro su come si è diffuso l’utilizzo del bonus nel corso dell’anno

 

 

Il fatto che più di 350.000 ragazzi abbiano speso a settembre la metà dei fondi disponibili mi sembra una buona notizia. Sono ottimista che entro fine anno li spenderanno in gran parte, se non altro per l’acquisto di libri universitari o per qualche regalo di Natale. Mi pare un buon risultato sia rispetto ai consumi medi ISTAT delle famiglie sia rispetto a un obiettivo che con bonus cultura non c’entra nulla e cioè di avere l’80% degli italiani con identità digitale entro cinque anni. Di sicuro rispetto a questo obiettivo il 61% dei diciottenni il primo anno è un ottimo risultato. Inoltre, il grosso della spesa è andato in libri, diciamo il 75% in media; questo equivale a circa 184 euro a settembre. A un prezzo medio di 15 euro fanno 12 titoli … E sei subito forte lettore. Se non è una buona notizia questa…. 

Un altro aspetto che merita di essere rilevato è che a metà ottobre 2017 13.828 punti vendita risultano registrati (fra librerie, musei, sale cinematografiche ecc). Di sicuro fra questi c’è Amazon e le librerie di catena, ma anche tanti punti vendita indipendenti, incentivati a uno sforzo di innovazione dei processi. È un grosso salto rispetto ai 3.483 dichiarati dal Mibact al primo luglio, il che mi fa pensare che in un caso si tratti di punti vendita e nell’altro di operatori economici; in ogni caso è un numero significativo, destinato ad aumentare. 

 

3. Come migliorare

 

A fronte del 61% dei nati del 1998 che hanno un’identità digitale e si sono messi nelle condizioni di spendere il bonus, c’è anche il 40% che NON si è iscritto, che non ha approfittato dell’opportunità. E questo è effettivamente un peccato e un problema. I diciottenni non sono cretini, o meglio anche per i diciottenni vale la regola che la stupidità si distribuisce come una funzione gaussiana: siccome l’offerta culturale è smisurata, se una persona normale rinuncia a 500 euro di regalo, la colpa non può essere tutta sua.

Da questo punto di vista, può essere utile guardare all’utilizzo del bonus cultura come a un problema idraulico: abbiamo creato un sistema per pompare cultura e innaffiare tutti i nuovi adulti e abbiamo perso acqua per strada. Per quanto nessuno si aspettasse il 100% degli utilizzatori (anche perché ammettiamolo, ottenere lo SPID è macchinoso… sono sicura che se gli studenti avessero accesso alla APP attraverso il codice fiscale, i numeri salirebbero), è indubbio che il 40% di perdita richiede attenzione, e molta.

Che fare, dunque? Alcune manovre correttive sono già in atto e si verificano quasi per inerzia: il numero di punti vendita aumenterà, la gamma di prodotti e servizi acquistabili con bonus cultura si è allargata e il passaparola è un’arma potente. Rispetto allo scorso anno ci sono 350.000 testimoni che il bonus cultura esiste e che funziona e gli esercenti possono testimoniare che i rimborsi dal ministero sono veloci. Inoltre, l’anticipazione del lancio di bonus cultura allunga il tempo disponibile per la spesa e favorisce in particolare la filiera del libro. I consumi di libri sono molto stagionali: inizio dell’anno scolastico (o dell’anno accademico) e Natale. È evidente che il periodo di validità settembre 2017 / dicembre 2018 intercetta ben quattro picchi di consumo. Per tutti questi motivi, anche senza far nulla, mi aspetto un miglioramento dei risultati per il prossimo anno e non mi stupisce che sia aumentato il numero degli iscritti a due mesi dal lancio: 182.713 iscritti per i nati nel 1999 contro 138.313 per il corrispondente intervallo di tempo lo scorso anno.

 

Si può fare di più, però. Tutti possono fare di più. L’incentivo economico mi auguro stimoli un numero crescente di esercenti non solo a intercettare i giovani, ma anche a fidelizzarli: Amazon lo fa già. Le scuole, i territori (penso alle aree difficili, ad alcuni comuni nei quali è più difficile intervenire perché la scolarizzazione è bassa e gli abbandoni sono alti, dove non c’è cultura digitale) insieme alle associazioni culturali possono attivarsi per facilitare l’ottenimento dello SPID. E c’è una cosa importantissima che può e secondo me dovrebbe fare il governo, anzi due: mettere a disposizione i dati di utilizzo del bonus e chiedere la fattura parlante per poter garantire il rimborso. Sarebbero due azioni che permetterebbero di guardare al tubo che perde con attenzione e non solo ridurre le perdite (e punire i furbetti), ma anzi generare sviluppo diffuso.

 

I dati medi ci aiutano ad avere qualche prima informazione, ma il sistema della cultura ha disperato bisogno di informazioni sui consumi culturali. Abbiamo bisogno di sapere quanti sono i ragazzi che hanno usato tutti i loro 500 euro, quanti si sono fermati al primo acquisto o addirittura hanno SPID ma non hanno comperato. Penso sia molto utile sapere se il 40% dei non utilizzatori è geograficamente concentrato in alcune aree del paese o se invece si distribuisce un po’ ovunque. Per quanto riguarda gli utilizzatori del bonus, vogliamo sapere che cosa hanno comperato, in che ordine. Abbiamo bisogno di verificare se ci sono concentrazioni “anomale” di forti utilizzatori in alcuni centri, in alcuni momenti dell’anno, perché in questo caso con tutta probabilità dietro a questo fenomeno c’è un insegnante lungimirante, un sistema bibliotecario che funziona, un teatro che si è dato da fare, una libreria capace di fare promozione attorno a questa opportunità. Vogliamo una volta per tutte circostanziare l’affermazione che ci sono 3 milioni di persone di buona volontà che sono onnivori culturali; e vogliamo quantificare gli ideologi del fumetto, i patiti dell’opera, i fanatici dell’archeologia e verificare se i loro consumi seguono pattern confrontabili.

 

Conoscere il comportamento di 350.000 diciottenni rispetto alla cultura è fondamentale per chi insegna, per chi produce e vende prodotti culturali, per chi gestisce siti culturali, per chi opera nel mondo dello spettacolo, per attivare politiche culturali ed educative più efficaci. 

Un piccolo esempio: se prendiamo per buono il dato dei 3.436 esercenti registrati, ogni esercente beneficia di bonus cultura con oltre 25.000 euro di fatturato, pari a 756 scontrini per esercente ad un prezzo medio di 33,2 euro. E anche se teniamo buono il dato di 13.828 punti vendita, abbiamo comunque il rispettabile risultato di 188 scontrini medi per punto vendita. Ora, è evidente che il dato medio ha poco valore. Amazon e le librerie di catena hanno sicuramente beneficiato di più rispetto alle librerie indipendenti; ma è proprio per aiutare l’intero sistema che è necessaria una riflessione puntuale e condivisa sui risultati. Solo così tutti gli operatori potranno imparare dagli effetti di una misura di policy non pensata direttamente su di loro ma che indirettamente li favorisce. 

 

In poche parole: dati così granulari e spontanei sui consumi culturali rappresentano una miniera preziosissima per valorizzare capitale sociale esistente, per orientare politiche culturali a livello locale, per rendere più efficace l’azione degli operatori dei settori culturali, per creare ricchezza economica diffusa. In tutta franchezza, da ricercatrice mi è spiaciuto avere così pochi dati a disposizione per argomentare sugli effetti di una politica che reputo importante e con grosse potenziali ricadute (economiche e non). Questa sobrietà monacale nel rilasciare informazioni su bonus cultura a mio modesto avviso alimenta il fiorire di dibattiti costruiti sulle opinioni e troppo poco sui fatti di cui non mi pare abbiamo tanto bisogno. 

 

E da cittadina, mi sembra che una slide ministeriale, un post di Nannicini e uno della Boschi siano una comunicazione un po’ “asciutta”; devo dire che invece ho molto apprezzato il gesto di Lampis che nel giorno stesso della giornata di lavori sull’esperienza dei 20 musei autonomi ha pubblicato sul sito del MIBACT dati e presentazioni. Questo mi fa ben sperare sul fatto che si possa riconoscere l’importanza di una condivisione di informazioni come parte della “postura” del ministero.

Quanto allo scontrino parlante, è noto che siamo in un paese di furbetti e sappiamo che ci sono esercenti compiacenti e studenti che si credono fenomeni. Sarebbe importante io credo sapere non solo quanti soldi sono stati spesi in libri e quanti in cinema o in musei, ma anche come, per quali generi, quali titoli, quali mostre. Questo ci darebbe uno spaccato utilissimo dei consumi culturali dei giovani adulti e sono sicura ci darebbe delle sorprese. Inoltre, renderebbe più facile intervenire sui comportamenti opportunistici. “Tutti i nodi vengono al pettine quando c’è il pettine” diceva Sciascia. Penso che lo scontrino parlante fungerebbe da pettine antipidocchi, di quelli a dente fino. 

 

Il 18 novembre alle ore 17 all'interno di Bookcity Milano, si svolgerà l'incontro Investire in titoli | Impegno economico delle istituzioni nel mondo del libro (Borsa Italiana Area Scavi, Piazza Affari 6, Milano).

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