Americanate

6 Novembre 2012

Sono passati quasi vent’anni da quando sono venuto a vivere negli Stati Uniti. Il mio rapporto con l’Italia è rimasto però forte grazie ai frequenti viaggi e ai sempre più numerosi ed efficaci strumenti di comunicazione via internet. Un passatempo tipico di chi come me divide la propria vita fra due paesi diversi è fare il confronto dei rispettivi modi di vivere. Lo si fa specialmente quando si torna in patria e si racconta cosa fanno gli stranieri.

 

Dopo un po’ di questo traffico transatlantico, sarà stato verso la fine degli anni novanta, ogni tanto, quando stavo in Italia, mi prendeva come il vago sospetto di essere ancora negli Stati Uniti. Non era per la lingua, per l’alluvione di vocaboli inglesi dentro l’italiano, quello no: ascoltare i connazionali masticare l’inglese dentro le loro cadenze regionali mi faceva invece sentire tutta la distanza che ci separava dall’America. Non era per le parole che mi prendeva la sensazione di essere rimasto di là, ma per le cose, le abitudini, il modo di vivere. Ogni volta che tornavo in Italia mi accorgevo che intorno a me c’erano sempre più frammenti di vita americana e che il loro trapianto sembrava riuscito senza problemi.

 

Ho persino pensato che qualcuno me lo facesse apposta, che proprio quando io ero riuscito ad andare in California mi volessero rovinare la festa, far diventare l’Italia uguale all’America, così finiva che non mi ero spostato per niente perché il posto da dov’ero partito mi aveva raggiunto. Ma era un’idea paranoica credere che una divinità maligna o un drago dei media ce l’avesse con me e dopo un po’ non ci ho più pensato.

Paranoica di sicuro sì, ma mica tanto sbagliata, voglio dire come osservazione di quello che stava succedendo. Infatti il fenomeno è continuato, anzi è sempre più visibile.

 

Oggi ho provato a fare un elenco delle americanate introdotte in Italia, diciamo negli ultimi quindici anni; è un periodo brevissimo, perché se si parla di cambiamenti culturali, si sa che quelli di solito hanno bisogno di tempi lunghi.

Volevo arrivare a dieci. Ci sono riuscito in pochissimo tempo. L’elenco eccolo qua:

 

 1. Le primarie per scegliere i candidati alle elezioni politiche

 2. Dare dei nomi propri maschili o femminili alle ondate di freddo o di caldo, le nevicate, le tempeste di vento e le grandi piogge

 3. Halloween

 4. I centri commerciali (outlet) fuori dalle città

 5. Le schede di valutazione per misurare qualsiasi cosa facciano fare i professori agli studenti

 6. Il brunch, cioè mangiare alle undici di mattina, la domenica, invece di fare la colazione e il pranzo

 7. Chiamare i presidenti delle regioni governatori

 8. Aprire i negozi la domenica

 9. Il presidente del consiglio dei ministri che parla da un podio dove c’è attaccata una placca ovale con su scritto “Presidenza del consiglio dei ministri”

 10. Le cronache degli avvenimenti sportivi fatte da due/tre/quattro giornalisti (due in cabina, uno a bordo campo, uno all’ingresso degli spogliatoi)

 

Direi che non abbiamo avuto la mano felice nella selezione. Lo dico perché penso a quello che c’è di buono qui e che continuerà a rimanere da questa parte dell’Oceano. Faccio un esempio per chiarire l’idea.

Tutti gli anni, in aprile, la Social Security Administration, l’INPS americana, mi manda una lettera dove mi spiega quanti versamenti ho accumulato, quanti me ne mancano per aver diritto alla pensione, a che età potrò pensionarmi e quali diritti al trattamento di reversibilità può avanzare mia moglie. Tutto questo senza che io l’abbia mai chiesto, in un inglese chiarissimo, con grande cortesia e con l’aggiunta di una serie di siti internet e di numeri verdi per ulteriori informazioni in caso di dubbi.

 

Ma allora quelle dieci americanate di sopra come sono state scelte? Perché abbiamo preso le cose più idiote? Direi per i soliti motivi. A un capo del governo sarà venuto in mente che quel simbolo che i suoi concittadini vedevano anche alla Casa Bianca gli avrebbe dato più prestigio, qualche fabbricante di caramelle avrà fatto i suoi conti su Halloween, i centri commerciali e i negozi la domenica si spiegano da soli, i governatori bisogna capirli, il resto boh? è entrato nel mucchio, tanto per far buon peso.

 

Invece all’idea che il cittadino abbia diritto a una pubblica amministrazione gentile e capace di spiegarsi, beh a quella è evidente che nelle nostre classi dirigenti non ci ha pensato proprio nessuno.

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