Enrico Berlinguer e la grande illusione

26 Novembre 2024

Prima ancora di vedere Berlinguer, la grande ambizione di Andrea Segre, un disagio, purtroppo familiare, è riaffiorato in conversazioni tra amici. Qualcosa di profondo nella storia della sinistra, che discende da Gramsci e che arriva fino a Berlinguer (ne ho già parlato a proposito di Matteotti su doppiozero). Ha a che fare con l’idea di egemonia e meriterebbe una discussione a parte. Perché la sinistra, sempre ampia, varia, paga prezzi alti quando alle scadenze elettorali si presenta con tutte le proprie diversità; ma paga prezzi anche più alti quando le sopprime.

Il film di Segre ha dei meriti artistici, una bella interpretazione di Elio Germano e un utilizzo parco e commovente dei filmati d’epoca. Ma il discorso su quegli anni è più duro. Non ho naturalmente idea di chi fosse privatamente Berlinguer: i tanti momenti che trascorre in famiglia nel film ne danno un ritratto di padre tenero e marito innamorato; e questo è importante in un uomo che ha invece mantenuto posizioni intransigenti nella vita politica. 

A proposito della trattativa sul rapimento Moro e dell’atteggiamento nei confronti dei giovani durante gli anni Settanta, per esempio, il film accenna attraverso un episodio ambientato in famiglia. Quando, il 12 marzo del 1977, Berlinguer chiede ai figli “Com’era la manifestazione?”, si sta riferendo alla manifestazione che si tenne contemporaneamente a Bologna e Roma e coinvolse oltre 100.000 studenti, il giorno dopo che lo studente Francesco Lorusso era stato ucciso a Bologna. Il riferimento non è casuale. L’11 marzo, gli studenti bolognesi avevano tentato di aggiungere il suo nome ai partigiani uccisi durante la Seconda guerra mondiale: a impedire l’ingresso degli studenti in piazza Maggiore fu il servizio d’ordine dei sindacati, in linea con la decisione, presa poco più di un mese prima, di mandare a parlare a Roma, alla Sapienza occupata, il segretario della CGIL Luciano Lama, che in quella occasione venne fischiato. C’era un mare tra i giovani di allora e il PCI: nel film di Segre, questo non traspare.

Vi furono in quegli anni scontri violentissimi, soprattutto a Roma, Milano e Bologna. Il cosiddetto Movimento era una realtà indefinibile, andava da concerti di musica al femminismo a comportamenti libertari senza parrocchia, ed era sempre più diffuso; poggiava sulla spinta innovativa dei referendum sul divorzio e l’aborto, proposti da partiti minuscoli (i liberali e i radicali), e vedeva la generazione dei padri, giustamente ritratta da Segre come profondamente patriarcale, cedere terreno alle trasformazioni che avvenivano,  senza un vero programma, in tutta la società italiana. Nel film, il referendum casca non si capisce da dove sul tavolo di Berlinguer, ma i suoi principali promotori, i radicali, erano regolarmente insultati dai comunisti.

PCI e DC apparivano in quegli anni come monoliti, un muro interno alla società italiana. Il brigatismo, com’è stato mostrato da un bel film del 2008 su Franceschini e Ognibene, Il sol dell’avvenire, di Gianfranco Pannone, era nato all’interno del PCI e dal mondo cattolico, ed era altrettanto estraneo ai giovani proprio perché abbarbicato in quella storia politica. Queste sono le biografie in Germania di Ulrike Meinhof e delle sorelle Esslin; e in Italia, come racconta Franceschini, anche di Renato Curcio e Mara Cagol.

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La “Grande ambizione” cui Segre si riferisce nel titolo del film è il compromesso storico. Adesso, è bene ricordare che il Partito Comunista d’Italia nasce nel 1921 separandosi dal partito socialista, per allinearsi con la rivoluzione russa di quattro anni prima. Questa rimane la fondamentale distinzione tra socialisti e comunisti, tra Matteotti e Gramsci, tra i fratelli Rosselli e Togliatti, tra l’area per lo più laica e spontaneista dello schieramento progressista e l’ambizione egemonica del PCI.  Una sinistra indipendente c’era prima del ’21 e ci sarebbe stata dopo, perché il PCI dall’inizio alla fine è stato filosovietico. Presentare Berlinguer che prima scampa a un attentato in Bulgaria e poi è in costante frizione con l’URSS, significa sorvolare sul fatto che c’è sempre stato molto altro in Italia: una sinistra, per esempio, che non seguì la linea del Partito comunista in occasione dei terribili episodi di repressione a Budapest (1956) e a Praga (1968).

Il compromesso storico riconosceva qualcosa che si andava affermando ovunque in Italia. Il PCI amministrava alcune delle città più importanti, mentre la DC era il governo nazionale che interloquiva con gli alleati. Gli Stati Uniti, attraverso la struttura paramilitare Stay behind, avevano continuato a controllare, se non direttamente a governare, l’Italia e l’Europa occidentale in una guerra non sempre fredda (non per noi, almeno), fino al 1989.  A sindacati e PCI di quegli anni vanno comunque riconosciuti molti meriti: il contratto nazionale dei lavoratori, il servizio sanitario nazionale e altre riforme nella scuola e nella società.

Se Margaret Thatcher diceva che la società non esiste, ci sono solo individui e famiglie, il PCI ha parlato dell’Italia come di una grande, omogenea famiglia di lavoratori. Nel film, Segre ritrae gli operai nelle visite che Berlinguer fa a fabbriche e festival dell’Unità come docili, compatti, fondamentalmente buoni. A me pare ci sia qui una tendenza ad angelicare la subalternità sociale come un serbatoio di bene da liberare nella società. Gli operai erano e sono persone come le altre, non il serbatoio del buon futuro. Proiettare su loro ambizioni di riscatto espone al rischio della falsa coscienza. Tutti siamo individui, molti con famiglia, e tutti siamo società, quindi veniamo tirati da tutte e due le parti. Non da grandi burattinai, ma dalle nostre scelte: quando compriamo una casa e parliamo con le banche, oppure quando investiamo in fondi pensione (di stato o privata? O tutte e due?), o ancora quando abbiamo bisogno di asilo e scuola per un bambino o di aiuto per un genitore anziano da accudire.

Il grande assente del film di Segre è cosa significasse per DC e PCI rispondere a americani e russi. Il compromesso storico era anche il tentativo dei due partiti di riferimento delle superpotenze di sopravvivere ai cambiamenti. Gli anni ’70 dei giovani italiani assomigliano in questo al maggio francese, ma forse anche più a quello praghese, finito con l’invasione russa. I grandi partiti che si erano visti superati dai referendum avevano mostrato una società ormai in gran parte fuori dalle strutture patriarcali che avevano controllato il confronto politico per vent’anni. Nelle elezioni i partiti mantenevano massicce percentuali, ma la vita era cambiata, soprattutto tra i giovani.

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Quando l’isolamento in Europa del PCI e quindi la natura antilibertaria del compromesso storico diventano centrali, il partito non si muove in direzione della libertà. In un comizio del settembre del 1977 a Genova, Berlinguer diceva: Non saranno quattro untorelli a spiantare il grande Partito Comunista. Non so quanto consapevolmente stesse citando Manzoni e i suoi Promessi sposi. Di fatto, come Caterina Rosa che nel 1630 aveva denunciato i presunti untori Guglielmo Piazza e Gian Giacomo Rosa (è la vicenda che lo stesso Manzoni racconta in appendice al suo capolavoro, con la Storia della Colonna infame), anche il leader del PCI aizzava il partito e i suoi iscritti contro gli studenti, accusandoli di diffondere un contagio che in realtà erano le trasformazioni dell’Italia di quegli anni. Ed era vero che erano queste trasformazioni a spiantare il Partito.

Quel consenso fu essenziale per mettere in piedi una delle più grandi repressioni del secolo scorso. Anche su questo il film di Segre, che si conclude prima, con l'assassinio di Moro, preferisce tacere. Furono arrestati professori universitari, scrittori, editori. Parte delle accuse erano tratte dalle pubblicazioni di quegli anni e con il termine fiancheggiatori venivano inclusi nel mirino della magistratura praticamente tutti coloro che, non allineati con i partiti maggiori, avevano avuto rapporti, consapevoli o meno, con i brigatisti. Scomparve l’habeas corpus, sostituito da teoremi della magistratura. Difficile avere dati, ma credo che mentre tra il ’26 e il ’43 i fascisti mandarono al confino circa 12.000 persone, nei due o tre anni dopo il delitto Moro ci furono oltre 5.000 arresti. Erano tutti brigatisti?

Guardando i processi degli anni successivi, è chiaro che con il collasso di Yalta la magistratura si era assunta già allora il compito di supplenza politica. Gli arresti delle BR sconfissero l’organizzazione terroristica, ma molti interrogativi restano aperti. Per me, che non ne so nulla di strategia militare, resta misterioso come le BR siano passate dagli agguati a sindacalisti e giornalisti che rientravano da soli a casa, a mettere in pratica un agguato ad Aldo Moro, protetto da una scorta di uomini armati ed esperti.

A questo punto l’intransigenza di Berlinguer pone altri interrogativi: possibile che nel ruolo in cui era non si fosse fatte le domande che tutti noi ci siamo fatti da allora? Che cioè ci potesse essere un’altra regia della vicenda? Era intransigente contro le BR o semplicemente si sforzava di mantenere un equilibrio tra le superpotenze? Questo spiegherebbe perché a favore di un negoziato per Moro si fosse mosso proprio Craxi: non perché più tenero, ma perché esterno agli equilibri USA-URSS.

In tutto questo noi abbiamo vissuto. È la dolorosa storia italiana degli anni Settanta: anni di stragi, eseguite per mano della destra neofascista, finanziate e orchestrate dagli USA per evitare lo slittamento a sinistra di una società dove il maggiore partito di opposizione era legato a Mosca; ma anche anni in cui si era mostrata sempre più potente una società civile che, dall’esterno dei partiti politici principali, indicava una strada oltre Yalta. Una strada sbrigativamente chiusa dal rinnovato patto DC-PCI: il compromesso storico, che anche se non realizzato in parlamento, servì a costruire il consenso per una repressione molto dura. Questo ovviamente spalancò le porte alle destre, e ancora oggi paghiamo il prezzo di non aver saputo risolvere quegli anni in modo diverso. Lo paghiamo nell’amarezza della memoria, delle stragi, degli arresti, della mancata giustizia, nei pregiudizi ideologici, nella rimozione di quello che abbiamo vissuto, di fronte alle agiografie di leader maximi.

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