10 giugno 1924: Matteotti assassinato

10 Giugno 2024

Tristissimo centenario quello che ricorre il 10 giugno: il rapimento di Giacomo Matteotti e il suo ammazzamento. Il mondo è una serie di bricconi che se la prendono con i giusti, scrive Giacomo Leopardi nel primo dei pensieri raccolti da Ranieri dopo la sua morte. E certo è difficile, quando si ritorna alle origini del fascismo, non vedere altro che una masnada di violenti, facinorosi, opportunisti, il peggio che la storia italiana, che pure ha conosciuto tanti punti bassi, sia riuscita a produrre. A Matteotti sono dedicate diverse mostre in questo anniversario: a Fratta Polesine, dal 5 aprile al 7 luglio, e a Palazzo Braschi a Roma dal 1° marzo al 16 giugno. 

Io seguo invece, e raccomando, il bel libro di Mirko Grasso appena pubblicato da Carrocci intitolato L’oppositore. Matteotti contro il fascismo (Carocci, 2024, p. 216) e, Il consenso e la forza. L’ultimo discorso del 30 maggio 1924, con un saggio di Francesca Rigotti, (Ed. Interlinea, 2024).

Il primo aspetto che sia Grasso che Rigotti mettono in luce è il contesto: il fascismo si afferma in modo meschino, connivente fin dall’inizio con tutti i potenti e traditore, proprio perché attraverso Benito Mussolini nasce contro il movimento socialista: il Duce perseguita i suoi ex compagni, li fa picchiare e ammazzare. Com’è noto fa rinchiudere moglie e figlio in un ospedale psichiatrico. Individuo davvero immondo. Il suo comportamento di fronte all’omicidio Matteotti è davvero tipico del suo modo di agire: lo commissiona a una banda di sicari fascisti milanesi, ma in parlamento si erge a garante di un’indagine, fino a quando la cosa diviene insostenibile e sceglie la dittatura. Nel suo ultimo discorso Matteotti chiarisce come di fatto il fascismo sia già una dittatura per l’utilizzo di una milizia fascista che rapisce, malmena, intimidisce, controlla e falsifica i risultati elettorali. 

Ma per restare alla politica, è importante ricordare che è la gente con cui è cresciuto ed è stato arrestato quella che Mussolini perseguita. Il fascismo nasce sostenuto da banche e industriali, ma è la delazione sistematica, l’uso di polizia segreta, della violenza, il culto della morte, atteggiamenti che vengono dai reduci, da poveracci sbattuti al fronte che improvvisano un codice di comportamento a dargli il carattere che diventerà tristemente noto in tutto il mondo. Ancora oggi, quando si vedono i raduni di fascisti che si chiamano l’uno l’altro camerata e si chiamano all’appello rispondendo “presente” come in una formazione militare, evocando il linguaggio delle caserme e richiamandosi a un frainteso senso dell’onore, bisogna ricordare che fin dalle origini questo è un falso. Nessun onore, al contrario: avere Mussolini per collega o amico dev’essere stato tremendo, il tipo che asfalterebbe qualunque alleato per andare avanti e che tratta le donne come merce, perché in fondo lui ama solo la mamma. Questo andrebbe ricordato a Giorgia Meloni che com’è noto nel discorso di insediamento come primo ministro si è rivolta ai suoi vecchi sodali ricordando chi non ha tradito, credo con un’allusione alla repubblica di Salò. Ora, se c’è un gruppo politico che fin dagli inizi e poi per tutta la sua storia è fatto di clamorosi tradimenti e voltafaccia è proprio il fascismo, e vederne la genesi, ricostruita con sobrietà da Grasso, che essendo uno storico e uno studioso non ha la veemenza che ho io, ce lo riporta davanti in modo esemplare. Perché mentre Matteotti è un gigante del socialismo italiano ed europeo, ha una reputazione splendente a cento anni dalla morte, Mussolini è davvero una mezza tacca e più se ne legge, più si vorrebbe aver sputato anche noi sul suo cadavere in Piazzale Loreto. Un uomo senza una vera educazione, demagogo e violento, lascivo e opportunista. La sua ascesa è fatta prima di tutto sulle spalle dei suoi ex compagni di partito, e nel contempo di amanti spesso assai utili ai suoi progressi sociali. La sua affermazione è insomma quella di un mascalzone.

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La Rigotti è molto brava anche ad analizzarne la retorica che infatti, per tutti gli italiani (anche quelli di destra) è diventata sinonimo di un linguaggio tronfio e ridicolo. 

Il disgusto per Mussolini è del resto ampiamente condiviso e bastino per tutti le belle pagine che ha scritto Elsa Morante dopo la sua fucilazione. 

Più inquietante per me è stato rivedere il ruolo di Antonio Gramsci, sottolineato sia da Grasso che dalla Rigotti. È difficile non amare Gramsci, le lettere dal carcere al figlio Delio, la finezza di molti suoi giudizi letterari. Tuttavia, la definizione che dà di Matteotti come “pellegrino del nulla” ritorna come un’eco a vergogna del leader comunista. Al fondo, com’è noto, c’è la lettura della rivoluzione bolscevica e alla scissione del movimento operaio con la nascita del Partito Comunista d’Italia a Livorno nel 1921. Rileggere Gramsci in questo sembra purtroppo illuminare i guai che da allora frantumeranno la sinistra italiana almeno fino a tutta l’epoca del brigatismo. Per molti aspetti ci può confortare che le idee di Matteotti si sono in larga parte realizzate: dall’educazione alle autonomie municipali, l’Italia ha in gran parte seguito le analisi precise, lungimiranti, piene di compassione per gli svantaggiati, come li definisce con un anacronismo Francesca Rigotti. Gramsci sembra, negli anni venti, trascinato da illusioni massimaliste. La fiducia che era già stata di Karl Marx, in una diversa umanità che dovrebbe risvegliarsi nel proletariato e costruire una società migliore, appare del tutto velleitaria di fronte a quello che in realtà accadeva; al contrario il comunismo precipitava già allora in fragili illusioni destinate a venire travolte proprio da quelle masse che il comunismo sembrava attendere come il vento della storia. Gramsci ne parla come di un insieme omogeneo che è lì, pronto a venire in aiuto ai comunisti, mentre proprio in quegli anni iniziavano a delinearsi in Russia le terribili degenerazioni che perseguiteranno Achmatova, Mandel’štam, Chlebnikov, Majakovskij. Difficile prescindere dal senno di poi, ma quelle masse inneggeranno presto a Hitler e Mussolini, a Stalin, a chiunque si metta alla guida di sommovimenti che sono appunto sommovimenti, smottamenti, crolli di classi dirigenti, tragedie epocali.

Molto più interessante e sobrio, e davvero orientato alla costruzione di una società più giusta e umana, il pellegrino del nulla. Il suo lavoro, l’attenzione rigorosa, persino accademica su certi temi giuridici, ne fanno il vero gigante e antagonista del fascismo. Non perché diviene il martire eccellente, ma perché il modo in cui lui agisce è appunto il contrario del fascismo. La semplicità, la schiettezza, l’amore per la cultura, il rifiuto della demagogia anche quando ci si ritrova in contesti in cui strappare consenso è facile. Matteotti non cede mai a questa faciloneria, ed è questo che il fascismo non può tollerare. Il suo ultimo discorso in parlamento, riportato per intero nel volume di Interlinea, ne è un tragico e magnifico esempio. Articola in punti precisi, importanti cosa non è fascismo, o per dirla con Calvino, cosa non è inferno, e lo aiuta ad esistere. Sono belle le relazioni umane, le lettere che scrive alla moglie Titta, entrambi già così oltre la diffusa misoginia italica in cui sguazzano D’Annunzio e Mussolini. Matteotti, gli amici e la moglie sempre sottili e eleganti, D’Annunzio e Mussolini così privi di stile e intelligenza da ridursi inevitabilmente e sempre a parodia di se stessi.

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Nel leggere Grasso e la Rigotti si ha purtroppo la sensazione che i problemi italiani siano sempre gli stessi, i fascisti sono sempre là, se oggi non sono obbligati a menar le mani dal clima istituzionale favorevole, sono sempre e comunque esseri dozzinali, volgari. L’affare Sinclair, ricordato dalla Rigotti, e cioè una storia di corruzione è probabilmente la ragione immediata per cui Matteotti andava ammazzato. Persino per il dannunzianesimo diffuso a destra il ladrocinio fatto da e per conto della politica resta quello che è sempre stato, la fine della fiera. Ma è naturalmente tutto il pensiero e la persona di Matteotti a opporsi al fascismo.

Si è spesso lamentata in Italia la difficoltà politica alla nascita di una destra decente. Difficoltà storica, certo, per cui io ho versato poche lacrime. Non so se si rimpianga il fatto di non riuscire a governare come i conservatori inglesi, liberi di inneggiare alla terribile Margaret Thatcher, e di ritrovarsi invece da sempre condannati a manganellare, rapire oppositori politici sul lungotevere e farli ammazzare. 

Per quanto di fronte alla rivoluzione russa i socialisti si siano divisi e il PCI sia nato con un senso di essere “migliori” che da Gramsci a Togliatti a Berlinguer si rinnova in una costante e gratuita sensazione di superiorità, francamente di fronte a personaggi come Matteotti o Pertini del tutto ingiustificata, resta comunque per tutto il novecento l’area da cui nascono le cose migliori. Rileggere Gramsci contro Matteotti mostra purtroppo anche il terreno ideologico da cui si comprende possa essere nato in seguito il brigatismo. Il senso di essere migliori si traduce facilmente nell’idea di avere diritto un mandato a guidare il popolo in una rivoluzione planetaria, la mancanza di simpatia per le diverse forme di antagonismo o semplicemente, come direbbe Basaglia, di devianza. Purtroppo il ricettario del tipo di violenza che ha segnato gli anni ’70. E come mostra bene Matteotti, il cui pellegrinaggio non era affatto nel nulla ma tesseva al contrario la migliore società civile italiana ed europea, la radicalità non ha bisogno del narcisismo che sembra iscritto nel DNA del comunismo. 

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