Intolleranza e migrazioni / Umberto Eco e i migranti
Come sempre Umberto Eco non ci tradisce. Anche alcuni scritti (o parlati, visto che in molti casi si tratta di conferenze) che potremmo definire minori, non peccano mai di banalità. Anche questo libretto, nato dalla trascrizione di interventi fatti in momenti diversi sul tema del razzismo e delle migrazioni, rivela osservazioni interessanti e in certi casi, visto che alcuni scritti sono della fine degli anni Novanta, anche premonitrici. Interessante la distinzione tra immigrazione e migrazione: nel primo caso è solo una parte di una popolazione che si sposta ed è quindi un fenomeno, che può essere gestito: nel secondo si tratta invece di fenomeni paragonabili agli eventi naturali a cui è pressoché impossibile opporsi. Pertanto, il futuro dell’Europa (ma anche il passato peraltro lo è stato) sarà del meticciato: «Ebbene, quello che attende l’Europa è un fenomeno del genere, e nessun razzista, nessun nostalgico reazionario potrà impedirlo».
Invece si assiste ogni giorno di più a un barbaro tentativo di opporsi al diritto che ogni essere umano dovrebbe avere, di cercare un futuro migliore. In tutta l’Europa vediamo rigurgiti di razzismo, che speravamo relegati nei polverosi scaffali della storia, utili a essere studiati come prodotto di un passato ormai lontano e scomparso. Ci eravamo sbagliati, non avevamo prestato abbastanza fede alle parole di Primo Levi in I sommersi e i salvati: “è accaduto, potrebbe accadere di nuovo”.
Eco, infatti, mette in evidenza come in queste nuove forme di intolleranza, batta un cuore antico. Non sono figlie della contemporaneità, se non nella forma. Alla base c’è una storia, più o meno lunga, a cui ricollegarsi, per presentare di nuovo il conto della razza. Per esempio l’antisemitismo pseudoscientifico, scrive Eco: «sorge nel corso del XIX secolo e diventa antropologia totalitaria e pratica industriale del genocidio solo nel nostro secolo, ma non avrebbe potuto nascere se non ci fosse stata da secoli, sin dai tempi dei padri della Chiesa, una polemica antigiudaica, e presso il popolo minuto un antisemitismo pratico che ha attraversato i secoli in ogni luogo ove vi fosse un ghetto».
Quel rancore che percorre oggi molte delle nostre strade, delle nostre città è roba vecchia, è un sentimento che si è trasformato in risentimento contro chiunque ci appaia (senza peraltro necessariamente esserlo) diverso da noi. Non ha neppure bisogno di avere teorie di riferimento, vive di azioni improvvisate, alimentate da bassi sentimenti. Un razzismo non scientifico come quello della Lega, sostiene Eco, non ha le stesse radici culturali del razzismo pseudoscientifico (in realtà non ha alcuna radice culturale), eppure è razzismo.
Parlando di intolleranza, che può condurre al razzismo, Eco sottolinea come l’intolleranza sia più pericolosa quando non viene elaborata. Quella che nasce in assenza di qualsiasi dottrina, che scaturisce da pulsioni elementari e che a differenza di un razzismo pseudoscientifico è più difficile da sradicare. Perché è impossibile per qualunque individuo dotato di capacità di ragionamento, opporre un pensiero razionale. Non ci si può battere contro l’intolleranza selvaggia, ci dice Eco: «perché di fronte alla pura animalità senza pensiero il pensiero si trova disarmato». Questo è il grande rischio che corriamo: la fine del pensiero, del confronto, del polemos, che sta alla base della democrazia vera.
Che fare? L’unica strada per sconfiggere l’intolleranza selvaggia è batterla dal basso, alle radici. Occorre una educazione costante che inizi dalla più tenera infanzia, ma che continui anche nell’età adulta, perché nella vita quotidiana si è sempre esposti al trauma della differenza».
U. Eco, Intolleranza e migrazioni, La Nave di Teseo, Milano, 2019.