Restituire lo sguardo
Tempi strani quelli che stiamo vivendo in Italia. Disattivata l’immaginazione, sembra che tutto converga verso una sorta di regressione forzata. Le donne, per esempio, sono chiamate di nuovo femmine e l’unico discorso ‘politico’ in materia è, non a caso, all’insegna del ‘femminicidio’.
Dall’alto delle istituzioni – governo, presidenza della Camera – e dei media e dal basso di molte aree femminil/femministe chi appartiene al cosiddetto secondo sesso (e pensare che già nel 1949, nel suo celebre saggio Il secondo sesso - Gallimard, 1949; il Saggiatore, 1961 -, la scrittrice francese Simone De Beauvoir scriveva: “Donne non si nasce, si diventa”) è letteralmente schiacciata alla propria essenza biologica e chiamata a identificarsi solo con i rischi che quell’identità ‘naturale’ comporta in un habitat culturale dominato dai maschi.
Ebbene, poiché non tutte/i noi pensiamo che sia conveniente adottare un punto di vista così univoco e – ammettiamolo – così depressivo, mi piace iniziare questa corrispondenza su Doppiozero con la presentazione di due libri che hanno per autrice una donna e per oggetto il lavoro artistico e la biografia di altre donne. Due libri (Giovanna Calvenzi, Le cinque vite di Lisetta Carmi, Bruno Mondadori, Milano 2013, Giovanna Chiti e Lucia Covi, Parlando con voi: Incontri con fotografe italiane, Danilo Montanari Editore, Ravenna 2013) che hanno molto da dire a donne e uomini e probabilmente ben poco a chi sceglie o accetta di essere femmina o maschio a vita.
Se è vero, infatti, che i maschi italiani hanno la brutta abitudine o l’habitus di considerare cosa loro le femmine ‘amate’, oggettificandole fino all’eliminazione fisica o all’abbrutimento psicologico, è vero anche che molte femmine stentano a diventare donne e a individuare il proprio e invalicabile confine di soggetti a sé stanti.
Non è solo un fatto privato. C’entra la nostra storia patria, il retaggio di una cultura che tanto a destra quanto a sinistra inclina a privilegiare il potere del pater e a allucinare la potenza – inevitabilmente minacciosa – della mater. Ma di questo mi auguro che riusciremo a ragionare a fondo e senza preconcetti nelle prossime settimane. Ora è tempo di raccontare il racconto di donne-autrici talmente innamorate del proprio lavoro e del proprio posto o responsabilità nel mondo da essersi sottratte alla sottomissione che nasce dal bisogno di approvazione. Sganciate dallo sguardo altrui, sono donne che guardano e restituiscono lo sguardo.
Lisetta Carmi nel racconto di Giovanna Calvenzi
Si intitola Le cinque vite di Lisetta Carmi la biografia a più voci che la studiosa Giovanna Calvenzi ha dedicato a questa figura mitica della fotografia italiana contemporanea. Solitaria e eccentrica nel senso nobile di ‘fuori scuola’, Carmi – che oggi ha ottantanove anni – sceglie la fotografia, o se ne fa scegliere, solo nel corso di quella che considera la sua “seconda vita”, dal 1960 al 1977. Fino ad allora è stata pianista e concertista.
Nella sua “prima vita” il talento musicale e una disciplina appassionata le hanno consentito quel riscatto di sé che l’espulsione dalle scuole italiane nel 1938 a seguito delle leggi “razziali” antiebraiche le ha imposto nel profondo. Quell’umiliazione e quell’ingiustizia, l’improvvisa lacerazione di un intero tessuto sociale e affettivo, sono forse la chiave di volta per entrare nell’universo artistico e spirituale di Carmi, per capire la sua esuberante, gioiosa, saldissima umanità e le sue plurime incarnazioni. Quella ferita originaria e la capacità di non lasciarsene sopraffare sono all’origine del suo sguardo sul mondo, della sua dolente consapevolezza che esso è fatto di deboli e di forti, di privilegiati e di esclusi, e che ognuno di noi deve scegliere da che parte stare e quali priorità darsi.
La fotografia, nell’Italia del miracolo economico, arriva da sé, come strumento di conoscenza e di autoconoscenza. Carmi inizia fotografando Genova, la città in cui vive. Guarda vicino e da vicino, perché è solo attraverso i dettagli che si riesce a mostrare il mondo intero rivelandone la stratificata complessità. Attenta, meticolosa, si dà da sola regole e compiti. Oltre al teatro, fotografa il porto, l’anagrafe, le strade, le balere, il cimitero, i travestiti del centro storico. Guardando i suoi formidabili racconti fotografici – perché di questo si tratta, di vere e proprie narrazioni per immagini, che col tempo racconteranno altri luoghi e altre storie – si ha la precisa sensazione che per Carmi i riconoscimenti, le appartenenze, le questioni teoriche e estetiche siano irrilevanti. La sua è una passione di conoscenza incrociata con un furibondo senso di responsabilità. Al centro dei suoi reportage ci sono sempre gli esseri umani, la vita nel suo contraddittorio farsi. Lei è allo stesso tempo dietro e davanti all’obiettivo: vive dall’interno le realtà che osserva e quando le fotografa non sente il bisogno di esagerare, di urlare, di indignarsi. La sua cifra è quella del rispetto e di una comprensione profonda, asciutta, talora ironica, sempre amorosa.
Il libro – e non poteva essere altrimenti – ha una struttura aperta: oltre ai testi di Giovanna Calvenzi, che ne è autrice e curatrice partecipe e attenta, e allo splendido apparato fotografico, ognuna delle vite di Carmi è introdotta e raccontata in modo assai personale da un ‘testimone’ privilegiato. Con la fluidità consapevole che è della vita di Lisetta, si attraversano dunque i diversi stadi della sua esistenza, gli apparenti tagli o cambiamenti di rotta che l’hanno contrassegnata, per approdare a quella che oggi lei definisce la fase ultima o della ‘libertà’: ogni passione perfettamente accesa, ma con quel distacco affettuoso che è di chi, a forza di cercare, sa di essere diventato quello che doveva diventare.
Trentaquattro fotografe italiane nel racconto di Giovanna Chiti e Lucia Covi
In copertina ci sono le mani di Silvia Lelli, fotografate mentre mimano l’arte di ‘ritrarre la musica’. È un’immagine bellissima, che inaugura un libro dalla struttura chiara e generosa. Protagoniste di Parlando con voi: Incontri con fotografe italiane sono “trentaquattro donne che hanno scelto la fotografia come mestiere, come passione, come espressione artistica”. A selezionarle, incontrarle nella loro casa o nel loro studio, raccoglierne la storia di lavoro e di vita e raccontarla attraverso parole e immagini sono un’esperta di fotografia, Giovanna Chiti, e una fotografa, Lucia Covi.
ph. di Carla Cerati
Gli incontri – salvo nel caso di Leonilda Prato, scomparsa nel 1958, e di Lori Sammartino, morta nel 1971 (di lei parlano il marito e il figlio) – sono sempre a tre. Chiti – si immagina leggendo – pone le domande, osserva, ascolta, forse prende nota o registra. Covi osserva e ascolta a sua volta e, di tanto in tanto, scatta, riprendendo l’intervistata, ma anche gli oggetti, i mobili, i libri che la circondano e che dicono di lei cose che nessun racconto di sé potrebbe dire meglio. Ne escono trentaquattro ‘autoritratti’ mediati da due osservatrici-intervistatrici fortemente coinvolte che, più tardi, in fase di montaggio del libro, sceglieranno di corredare le loro ‘conversazioni visive’ con una serie di materiali preziosi: qualche fotografia d’autrice per ogni singola intervistata, le copertine dei libri pubblicati, note bibliografiche, una frase che esemplifica l’atteggiamento di ciascuna verso il lavoro/arte della fotografia e verso la vita.
ph. di Letizia Battaglia
Le intervistate – tra cui Paola Agosti, Letizia Battaglia, Giovanna Borgese, Carla Cerati, Giulia Niccolai, Cristina Omenetto, Isabella Colonnello, Isabella Balena, Giada Ripa, Paola Di Bello – appartengono a diverse generazioni e operano in diversi campi della fotografia. Alcune di loro, come Lisetta Carmi, hanno abbandonato il mestiere da anni.
Tuttavia l’intento delle autrici non è creare un catalogo esaustivo e neppure classificare, schedare, stabilire gerarchie di valore. Si direbbe piuttosto che vogliano indagare l’intreccio tra mestiere e vita, opera e biografia. Parlando con voi è soprattutto questo: un libro di domande necessarie, alle quali ciascuna dà provvisoriamente risposta attraverso un fare mai scisso dal desiderio di capire e di capirsi.