Tutti corrono. Ma da cosa scappano?

18 Settembre 2015

Ha alle spalle il tour obbligato comune a tutte le centinaia di migliaia di fuggitivi che sbarcano sulle nostre coste. Per noi l’emergenza parrebbe essere l’arrivo dei migranti e non le guerre e gli orrori sperimentate da queste vite che hanno dovuto affrontare in ogni variabile la capacità umana di toccare il fondo dell’orrore, almeno quando decide di dare il peggio di sé.

 

A Tony, un ragazzo arrivato avventurosamente in Europa dal Congo con una traversata di frontiere e di terre che gli ha preso sette anni di vita, il paesaggio verdissimo e curato che attornia la cascina dove abito dice pochino. Sì, hai pari a spiegargli che il governo delle acque che ha sotto gli occhi, la rete di canali e rogge e cascate e chiuse che irrigano tutto e consentono quel prodigio produttivo che per secoli è stata l’agricoltura lombarda, è frutto del lavoro di generazioni e dell’ingegno di menti eccelse.

– Leonardo, ha progettato quelle chiuse. Leonardo da Vinci, – gli dico.

E aggiungo una domanda, perché mi è venuto un dubbio – Tony, mai sentito questo nome?

– Ronaldo?

Il suo volto si illumina in un sorriso smagliante. E risponde, non capisco se sul serio o per stare al gioco – Ronaldo, bien sur.

 

Lasciamo perdere. A lui, scappato da quella seconda guerra del Congo durata anni, che ha coinvolto 8 nazioni africane e 25 gruppi armati con un bilancio di milioni di morti, tra ammazzati e sterminati da malattie e fame, questo incastro di acque su cui corrono genialità e pazienza e lavoro dice poco. Piuttosto si stupisce che i sentieri che dalla villa settecentesca portano al fiume siano ancora sterrati. Mi chiede perché diavolo, se i padroni della villa e di tutte queste terre sono così ricchi, non abbiano ancora provveduto a dare una bella asfaltata in giro. Perché per lui l’equazione asfalto e progresso è inscindibile. E ogni eccezione, in quel regno di Bengodi che è convinto noi si sia, gli pare una bizzarria incomprensibile.

 

Ci spostiamo verso l’anello ciclabile della Contea – la chiamo così perché tutte le terre che stanno attorno sono del mio proprietario di casa, il conte. A quest’ora mattutina comincia a essere percorso da persone impegnate nello jogging. Se non fai jogging e ti limiti a camminare, sia pure di passo veloce, fioccano gli interrogativi. Come quello che l’altra mattina, la nebbia si era appena alzata dai campi ed era uscito un sole smagliante, mi ha posto un bambino che, caschetto in testa e bici nuova fiammante, pedalava in uno di questi ultimi giorni estivi accanto al nonno: “Ma tu, perché non corri?”.

Già, perché non corro?

 

Per Tony, invece, la prospettiva si rovescia. Lui, che nella sua fuga dalla guerra ha conosciuto mezza Africa sub-sahariana, le prigioni di quattro o cinque stati e le soluzioni brutali dei regimi che prendono i clandestini e li scaricano tra le dune del deserto così da lasciare che la vita selezioni i più adatti alla sopravvivenza (si salva chi cammina e riesce a tornare su una pista), questa gente che corre costituisce un interrogativo grande come una montagna. Guarda questi uomini, questi ragazzi atletici, queste donne di ogni età abbronzate dal sole di lunghe vacanze estive. Li osserva mentre, i visi contratti nello sforzo, macinano imperterriti chilometri. Studia con attenzione i loro abiti e, me lo dirà più tardi, a tavola, ha pensato di intravedere – nell’abbigliamento che qui da noi ormai ha la sua dotazione standardizzata e specializzata per ogni attività sportiva – qualcosa che gli ricorda la divisa di un esercito, impegnato in chissà quale misterioso confronto. Scruta le falcate affannose, valuta la fatica che a volte rende il passo di questi corridori meno brillante di quanto vorrebbero. Poi, un po’ preoccupato, sputa lì l’interrogativo che gli leggo da qualche minuto negli occhi:

– Ok, Grand-Père, – prima o poi spiegherò perché mi chiama così, ora andiamo avanti.

– Ok, corrono tutti che sembrano gazzelle ma insomma, Grand-Père, loro da cosa scappano?

 

Bella domanda, Tony. Vorrei saperlo anch’io e poterlo raccontare per filo e per segno da che cosa stiamo scappando. Prima o poi ci si prova.

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