Un’icona che diventa scultura / 216 pacchetti di Gauloises blu
Nel giugno 2000 il fotografo francese Jean-Luc Moulène realizza Bleu Gauloises Bleues, una scultura composta da 216 pacchetti di sigarette, sei in altezza, sei in larghezza e sei in profondità. Data la forma del pacchetto, il risultato è un parallelepipedo piuttosto che un cubo. Privato della sua etichetta, è privato anche – un dettaglio non da poco per un fumatore compulsivo come Moulène – degli impietosi annunci sugli effetti mortali del fumo. Una mossa preveggente se pensiamo che in Francia, a partire da gennaio 2017, entrerà in vigore una legge sul “pacchetto neutro”, senza marca distintiva, colore, design, il nome riportato con un carattere tipografico standard e il 65% del pacchetto invaso da messaggi sanitari.
Ciononostante, nel processo di astrazione di Moulène la marca resta ben riconoscibile, grazie al formato, alla linguetta bianca sul lato d’apertura, all’involucro di fine pellicola trasparente e, soprattutto, al colore blu: di Gauloises si tratta. Il colore inconfondibile è sufficiente per evocare l’identità del brand, anche in assenza del logo alla Asterix, il casco alato. Sulla bocca di Jean-Paul Sartre o Albert Camus, di Julio Cortázar o Jean Baudrillard, di Jim Morrison o Leo Ferré che gli dedicò persino una canzone d’amore nel 1964, le Gauloises fanno parte dell’identità francese (sebbene siano ormai prodotte in Polonia).
I 216 pacchetti di sigarette sono semplicemente impilati, non come nelle stecche da duty free ma come in una scultura minimalista. Bleu Gauloises bleues ricorda in effetti la tecnica compositiva di Carl Andre: niente tiene assieme i pacchetti, allo stesso modo in cui i mattoncini di Andre si affiancano uno accanto all’altro senza collante. In questo consiste il suo paziente lavoro, attento a far collimare le unità, ad evitare asperità, a dar l’impressione che formino un tutto, come un mare di metallo.
A Moulène, ex ingegnere e pubblicitario, l’idea viene tuttavia mentre lavora alla serie 39 Objects de grève (conservata oggi agli Archives Nationales du Monde du Travail a Roubaix), impegnato a dare allo sciopero un’immagine diversa da quella classica del reportage documentario. Così s’imbatte in un pacchetto di Gauloises rosse rinominato La Pantinoise dagli operai della manifattura di tabacco di Pantin nel 1982, occupata per protestare contro l’annunciata chiusura. Un buono di cinque franchi per sostenere la causa era allegato. Gli operai realizzarono anche un pacchetto bianco (La Tonneinquaise) quando, nel novembre 1998, viene annunciata la chiusura di quattro stabilimenti. Ad affascinare Moulène è la natura standard del manufatto industriale, incrinata giusto da una modifica che – come un errore di fabbricazione – lo fa uscire dal ciclo della merce ed entrare in quello degli scarti. O dell’estetica. Un oggetto complesso che sfugge alla logica del readymade. Un’icona che diventa scultura, senza per questo abbandonare il suo statuto di merce, come si esprime Philippe Vergne o, seguendo l’artista, un «objet altéré».
Con Bleu Gauloises bleues Jean-Luc Moulène continua a riflettere, a suo modo, alla questione del monocromo al di là della pittura astratta, nel cui alveo si è sviluppata, perlomeno durante il modernismo. Lo fa da quando, realizzando da giovane dipinti monocromi, prende l’abitudine di fotocopiarli e poi di fotografarli. Le grand monochrome rouge e Grand Monochrome jaune Kodak, parte della serie Disjonctions (1988), sono così dei monocromi fotografici, sospesi tra medium e media, Clement Greenberg e Marshall McLuhan (o Rosalind Krauss e Friedrich Kittler), quadro e schermo, dipinto e proiezione e così via. “Se prima avevo prodotto dei dipinti monocromi, dal momento in cui ne ho fatto delle fotocopie, delle riproduzioni, ho avuto l’intuizione che sarei potuto andare al di là, metter in causa gli oggetti specifici di Judd e pensare il ‘prodotto’” (Moulène a Briony Fer, Nîmes).
Nei quattro Monochrome (Echantillons à la française) (2009) o nei quattro Monochromes-Samples (2011), realizzati per la DIA Foundation, Moulène utilizza i quattro colori della penna Bic, blu, nero, rosso e verde. Stende l’inchiostro sulla tela con una spatola, di modo che il colore perda il tratto fine della penna a sfera – proprio dei monocromi di Alighiero Boetti – ma acquisti una qualità visiva che risuona con molta arte astratta storica. Come ha suggerito di recente il filosofo iraniano Reza Negarestani, per Moulène l’astrazione s’inscrive in una tradizione dimenticata, «una forza del pensiero, una forza che squarcia la materia e dà all’inerte un potere noetico che condiziona la traiettoria del pensiero e dell’immaginazione» (Moulène, Centre Pompidou 2016, p. 91). Il monocromo come immagine di pensiero?
Più recentemente, Moulène si è chiesto se vi sia una forma specifica e delle molecole proprie a un colore, un’interrogazione curiosa per i pittori, storicamente più interessati all’inverso, ovvero al colore di una forma. Che le molecole del blu abbiano, perlomeno in Francia, la forma di un pacchetto di sigarette? Senza dubbio ma non solo, sembra suggerire Moulène, se pensiamo alla tuta blu degli operai trasformata in un elegante completo da businessman, parte degli «Oggetti senza funzione». Esposto di recente alla retrospettiva (in realtà una mostra di inediti) al Centre Pompidou (fino al 20 febbraio 2017), Bleu de costume è appeso a una stampella, pronto ad essere indossato, presente altresì nell’affiche, questa volta in movimento, come se animato da un uomo invisibile. Il vestito è in vendita per 140 euro nel grande magazzino BHV, a pochi passi dal museo. Non mi risulta che le sue Gauloises blu siano per ora smerciate nei tabaccai.