Speciale
Giorno 28 / Cuore | Coraggio | Cervello
Crescendo si è alla ricerca di una chiave per leggere e interpretare il mondo, un utensile della mente. Faussone, il leggendario capomastro raccontato da Primo Levi, aveva come utensile una chiave a stella che rese la sua vita picaresca in giro per il mondo ad avvitare bulloni su alti tralicci e ponti che si sporgevano su fiumi in piena. Altri non hanno la chiave a stella ma diversi strumenti come la racla che si impugna e con cui si raschia sulla trama del telaio per distribuire uniformemente il colore sulla carta facendo apparire come per magia l’immagine. Così è la gestualità dello stampatore serigrafo, anche lui, come Faussone, impugna uno strumento che è il prolungamento del suo corpo e se ne serve, per creare, cioè dare forma a qualcosa che prima del suo gesto non esisteva. Ci vuol cuore, coraggio e cervello a mettersi nell’impresa impugnando con perizia il proprio strumento, facendo della propria vita un mestiere e del mestiere la propria vita. Ci vuole cuore, coraggio e cervello per far diventare il proprio corpo parte dell’ingranaggio, mantenendo ancora un certo grado di libertà, mantenendo con il proprio strumento lo stesso rapporto che ha il marinaio con la sua barca a vela. Lo strumento conviviale lo chiamava Ivan Illich.
Ci vuole cuore, coraggio e cervello per mettersi alla ricerca non della tecnica che dà maggior rendimento ma della tecnica che da maggior libertà, proprio come fece il nostro Faussone che rese la sua vita un’appassionante avventura da raccontare agli amici al ritorno dai suoi viaggi.
Ma ai nostri tempi non è così che funziona: il lavoro non è più mestiere ma impiego e salario, il lavoro è il grigiore quotidiano, il divertimento è il senso della vita. Faussone è inattuale rispetto agli umori dei tempi, appartiene a quella ormai quasi ignota civiltà della competenza in cui rivive l’antica nobiltà dell’artigiano che fa le proprie cose con le mani in un’unione armonica del corpo che lavora, le mani che operano, la mente che pensa, il cuore che sente. Cuore coraggio e cervello per ricreare volontariamente, consciamente, metodicamente, le condizioni della propria esistenza. Perché il lavoro sia prima di tutto quella cosa che fa sentire in tutto il proprio essere l’esistenza del mondo.
L’artigiano non è semplicemente colui che trasforma la materia ma è una particolare condizione umana: quella di mettere un impegno personale nelle cose che si fanno senza un finestrumentale ma per il gusto di farle bene.
“Se chi lavora – scriveva Thoureau – non ottiene niente più del salario dovutogli dal datore di lavoro, è ingannato o si inganna. Il fine di chi lavora non dovrebbe essere quello di guadagnarsi da vivere ma piuttosto quello di eseguire bene un certo lavoro, di non spendere tutta la propria vita nel guadagnarsela, ma di guadagnarsi la vita amandola.”
Finito di raccontare l’appassionante avventura professionale di Faussone come fosse una “performance tecnica”, una battaglia (vinta o persa) con i materiali e con le condizioni d'ambiente,Primo Levi tira le somme del suo incontro e scrive: “Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra.” E pur serve generosità (cuore), impegno (coraggio) e prudenza (cervello). La prudenza, o Metis come la chiamavano i greci, forse è la più difficile da conquistare. È quella dote dell’intelligenza che sa prevedere il futuro, e prevedendolo sa far premere il futuro sul presente, cambiandolo.