Museo del fascismo a Predappio: perché sì, perché no o perché forse?

La notizia di un “Museo del fascismo” in programma, lanciata da «La stampa» ha aperto un dibattito tra storici e addetti ai lavori di diversa formazione e generazione. Il fatto che Predappio sia da sempre luogo di devozione per i nostalgici del fascismo ha indotto il sindaco Giorgio Frassineti a proporre un progetto museale sul fascismo caratterizzato da rigore scientifico e documentario e da capacità comunicativa e didattica. Si tratta di un progetto educativo per fare i conti con quel passato a partire dalla maturità della dimensione valoriale della Costituzione della Repubblica, nata dalla Resistenza. Fin qui è tutto semplice e condivisibile. Ma trasformare un luogo di memoria nostalgica in luogo di riflessione, in un paese attraversato da un mai sopito dibattito sull'antifascismo e sul postfascismo (di più, sull'anti-antifascismo e sul post-antifascismo) è una impresa che suscita, legittimamente, anche dubbi. In particolar modo sul come.

La questione “sì o no al Museo del fascismo” pare mal posta e semplificatoria, inadatta alla complessità del tema. Diversi sono gli interventi di storici e addetti ai lavori pubblicati in questi giorni.

Come realizzare un museo sul fascismo, nella misura in cui musealizzazione, martirologia e monumentalismo sono un tratto costitutivo della cultura di destra? Il centro di documentazione, a più livelli di lettura e con una buona narrazione storica, è senza dubbio la formula più desiderabile e più felice.

Altre questioni sono relative al luogo: la dimensione biografica sottesa alla localizzazione nel luogo natale e di sepoltura di Benito Mussolini rischia di enfatizzare la dimensione mitografica dell'uomo-della-provvidenza-che-ha-salvato/rovinato-il-paese. Il fascismo nella sua dinamica ventennale, nei suoi prodromi e postumi, è qualcosa di più sottile e disseminato, da mettere in luce e mostrare nei suoi tanti volti: benché sia corretto partire dai suoi protagonisti e simboli, sono molti i luoghi intorno ai quali il fascismo  – movimento, partito, stato, impero coloniale, sistema di pratiche culturali e amministrative, stile di pensiero – deve essere studiato e messo in mostra. Il museo dovrà essere in grado di comunicare con essi. La qualità del lavoro dipenderà in ogni caso dal gruppo di studiosi a cui affidare la progettazione e la realizzazione del progetto, nelle sue diverse fasi.

Soprattutto se non fossero chiari e condivisi gli obiettivi e quale sia il rapporto con la storia pubblica e le memorie conflittuali. Quale che sia la risposta, il progetto dovrà essere anche un dispositivo capace di rovesciare nelle sue logiche comunicative le caratteristiche del fascismo, unendo il meglio della ricerca e dell'arte pubblica europea; che riesca a inscrivere il luogo di esposizione, o i vari luoghi che a quello afferiscono, in una diversa cornice narrativa. I cui valori di riferimento siano chiari e inequivocabili. Anche perché a questo punto esisterebbe un “Museo nazionale del fascismo” senza che esista a oggi un Museo nazionale della Resistenza.

Questo è tanto più opportuno se non vogliamo che l'Italia contemporanea finisca per celebrare il suo involontario centenario di fondazione nel 2022.

 

Con la pubblicazione dei recenti interventi di Carlo Ginzburg e Sergio Luzzatto, già apparsi il 6 marzo 2016 su Il Sole 24 Ore Domenica, Doppiozero ospiterà una serie di articoli sul tema.

 

Enrico Manera

 

Il fascismo non è solo Mussolini

 

Sul progetto di un museo del fascismo che si vorrebbe costruire a Predappio si sta facendo una gran confusione. Che il fascismo si debba studiare, è ovvio. Che un museo del fascismo contribuisca alla conoscenza del fascismo non è ovvio: dipenderebbe dalla qualità del museo. E per quale motivo l’eventuale museo dovrebbe essere localizzato a Predappio? Si è detto che il sindaco di Predappio – che non conosco, e che sarà animato dalle migliori intenzioni – vorrebbe contrastare con un museo i pellegrinaggi dei nostalgici, la vendita dei souvenirs fascisti e via dicendo. L’argomento appare ingenuo, e stupise che che tanti (compresi studiosi di prim’orine) l’abbiano fatto proprio. Un museo situato a Predappio identificherebbe il fascismo con l’individuo Mussolini, forzando fino alla caricatura il senso dell’impresa storiografica, discutibilissima, di Renzo de Felice. Perché Predappio, anziché Milano o Roma, città senza le quali la storia del movimento, poi regime fascista, sarebbe impensabile? Ma è chiaro: Predappio si presta ai pellegrinaggi, un termine associato al culto. Non starò a scomodare la teologia politica, né a riproporre il trito confronto tra i totalitarismi del Novecento. Ma il museo dedicato a Stalin nella sua città natale, Gori, è un trionfo di nazionalismo georgiano e di culto della personalità. Tra le immagini che lo affollano manca, se non ricordo male (ad eccezione di una piccolissima fotografia) quella di Trockij; manca il contesto, manca la storia. Possiamo immaginare, fatte le debite proporzioni, che cosa sarebbe il progettato museo di Predappio. I cinque milioni di euro che a quanto si dice dovrebbero essergli destinati non vengono da Predappio ma da Roma: dai calcoli elettorali di un presidente del consiglio non eletto. Su tutta questa vicenda aleggia l’odore (è un eufemismo) del partito della nazione.

 

Carlo Ginzburg

 

Kurt Schwitters, Corrugated Card, Paper, wood and Printed Photograph

 

Per capire il Ventennio disastroso

 

Un primo merito del progetto intrapreso dal sindaco di Predappio – aprire, nell’ex Casa del fascio della città del Duce, un Museo del fascismo italiano – sarà stato quello di risvegliare la comunità degli storici dall’abituale suo torpore. I contemporaneisti italiani si vanno oggi impegnando in una discussione significativa, oltreché sul merito del progetto romagnolo, sui nodi del rapporto fra storia e memoria.

Finora, deboli sono stati gli argomenti raccolti ad deterrendum. Il pericolo che un Museo del fascismo a Predappio incoraggi i pellegrinaggi dei nostalgici (come se davvero potesse esistere confusione tra un luogo serio di interpretazione scientifica, di rappresentazione museale, e di restituzione narrativa del Ventennio, e le stanche ritualità dei neofascisti in camicia nera che salutano romanamente presso la tomba di Mussolini). La necessità di realizzare, preventivamente, un Museo del Novecento a Roma o a Milano (come se davvero l’una cosa fosse culturalmente propedeutica all’altra). La volontà di opporsi a un progetto che si dice appoggiato dal governo di Matteo Renzi (come se davvero fra le priorità dell’attuale premier rientrasse mai un discorso sulla storia e la memoria della nazione).

I musei storici, i centri di documentazione, i memoriali, nascono spesso nei luoghi che sono stati teatro degli eventi ai quali si riferiscono. Le scolaresche francesi vanno a Verdun per imparare l’orrore della morte in trincea durante la Grande Guerra. Le scolaresche dell’Europa intera vanno ad Auschwitz per imparare la tragedia della Shoah. Perché – una volta garantiti, attraverso un comitato scientifico e quant’altro, il rigore culturale e la pertinenza espositiva di un Museo del fascismo – le scolaresche italiane non dovrebbero andare a Predappio per imparare in loco il disastro del Ventennio mussoliniano?

 

Sergio Luzzatto

 

I due contributi di Sergio Luzzatto e Carlo Ginzburg sono apparsi domenica 6 marzo 2016 su Il Sole 24 Ore Domenica.

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