Speciale

Barthes e la scrittura in mostra

26 Luglio 2015

È un’impresa organizzare una mostra alla Biblioteca nazionale di Parigi, ultimata in grande fretta nel 1995 per farla inaugurare dall’incartapecorito presidente Mitterand. È persino difficile studiarci – ragione precipua per cui è stata costruita – figuriamoci esporre arte. In occasione del centenario della nascita di Roland Barthes il Dipartimento dei manoscritti della BNF ha allestito Les écritures de Roland Barthes. Panorama (fino al 26 luglio). Lontana da ogni clamore retorico, la mostra è un omaggio contenuto e prezioso concentrato su una sola opera, Frammenti di un discorso amoroso, di cui viene ripercorso l’iter completo: dagli appunti stesi per il corso universitario all’Ecole Pratique (1974-76) fino all’impaginato definitivo del libro. Non mancano le fasi intermedie e il paratesto, sin dal Précis e dalle note metodologiche, fedele a quell’arte tutta francese di concepire un saggio. Perché un libro non va solo scritto ma va strutturato (indimenticabili gli indici dei libri di Deleuze, un vero modello). Si succedono poi le schede di lettura raccolte in appositi contenitori, le cartelline con le dispense dei corsi, il tortuoso percorso che portò alle 80 voci in cui è suddiviso il libro, le diverse versioni dattilografate (chi ama la variantistica troverà qui pane per i suoi denti), fino ai disegni e agli acquerelli di Barthes, così simili alla sua calligrafia, segni sciolti dalla museruola della significazione.

 

Roland Barthes, Fragments d’un discours amoureux. Da sinistra: l'indice e un foglio del manoscritto. BnF, département des Manuscrits

 

Roland Barthes, Fragments d’un discours amoureux. Da sinistra: introduzione dattilografata con appunti scritti, e disegno su una carta instestata dell'EPHE 1973. BnF, département des Manuscrits

 

La mostra vera e propria occupa una stanzetta un po’ ingrata, chiamata con pompa la Galerie des donateurs, la stessa in cui lo scorso anno era allestito un omaggio a Edmond Jabès. È uno dei tanti paradossi della BNF: una costruzione colossale quanto pretenziosa in cui a mancare è proprio lo spazio, come quegli appartamenti regali in cui le stanze per i figli sembrano dei ripostigli. Prima del recente restauro, il Cafè della BNF ricordava il setting di un film di fantascienza senza budget, con i tavoli e le sedie inchiodati a terra; in tutta la biblioteca esiste un solo seggiolino mobile, forse divelto da un lettore esasperato. Siamo lontani dal ristorante arioso che troneggia al centro della British Library di Londra.

 

Roland Barthes, disegni. Dall'alto: marzo 1974; 14 agosto 1975. BnF, département des Manuscrits

 

Per questo va lodata l’idea dei curatori (Eric Marty e Marie Odile Germain) e dello scenografo (Patrick Bouchain) di utilizzare grandi teloni bianchi fissati alle pareti dell’Allée Julien Cain, l’ala orizzontale della biblioteca spesso consacrata alla fotografia. Su questi sono impresse decine di citazioni di Barthes, diverse per lunghezza e grandezza. Poiché i teloni non sono tirati sulle pareti ma fissati all’estremità superiore, le deambulazioni degli spettatori e degli studenti li fanno oscillare leggermente. Sembrano lenzuola stese alla finestra ad asciugare, sebbene il titolo della mostra faccia riferimento al dispositivo, culturalmente più nobile, del panorama. O forse sono pareti mobili, da sfogliare come le pagine di un libro. “Un muro, lo sappiamo, fa appello alla scrittura: non v’è muro, nelle città, senza graffiti”. E fu attraverso la scrittura che si manifestò la protesta alla Sorbona nel 1968, “l’esplosione della soggettività selvaggia, del bisogno d’immaginazione, del piacere del linguaggio; un rifiuto travolgente delle regole, delle istituzioni, dei codici”.

 

Roland Barthes, «La fièvre amoureuse», disegno, maggio 1976. BnF, département des Manuscrits

 

Divisa in tre sezioni – Scrittura del politico, Scrittura del mondo e Scrittura intransitiva, perché “Per lo scrittore, scrivere è un verbo intransitivo” – questo panorama d’inchiostro, “tazebao con delle citazioni”, mette in mostra la scrittura. Viene così raccolta la sfida di rendere pubblica la scrittura senza spettacolarizzare quanto è stato concepito per essere letto nello spazio concluso della pagina di un libro, di render conto dell’intimità propria all’atto della lettura in un luogo di passaggio come una hall. La scrittura di Barthes, resa ancora più leggera dalla forma aforistica cui si presta bene, contrasta con la tetragona architettura della biblioteca e, in generale, con l’istituzione volta alla conservazione, al valore documentale e patrimoniale del documento originale protetto dalle vetrine. La scrittura di Barthes finisce per avere la meglio.

 

 

Panorama, «L’Écriture du monde», dettagli. Dall'alto: Le donne; Le cose; I luoghi, lo spazio, l'ambiente. Graphisme Doc Levin

 

Non si può dire lo stesso della mostra precedente su Barthes al Centre Pompidou nel 2002. L’aspetto feticistico prevaleva, come se avessero squadernato le Mythologies: la Citroën DS 19 ingombrava l’ingresso dell’esposizione e non era chiaro in che modo contribuisse alla comprensione di Miti d’oggi. Era stata messa lì in quanto oggetto stolido e muto. Rispetto alla vetrina del rivenditore mancava solo il prezzo. Visitare quella mostra, ricordo bene, era come sfogliare i libri d’infanzia a tre dimensioni, in cui bastava girare la pagina per vedere ergersi davanti a sé castelli turriti o, come ne Il mio primo libro di anatomia, la cassa toracica, la scatola cranica, le ossa della mano, il bulbo oculare. Per questo è preziosa la discrezione di Les écritures de Roland Barthes. Peccato che manca la sua voce così caratteristica e di cui ci restano tante registrazioni, in parte conservate nella suddetta biblioteca.

 

Panorama, «L’Écriture du politique», dettaglio. Graphisme Doc Levin

 

Tra i tanti documenti esposti ce n’è uno che, malgrado il suo formato tascabile, mi folgora: è l’agenda personale di Barthes, aperta su due pagine di fine luglio, ovvero lo stesso periodo in cui visito la mostra. Ieri come oggi, per chi lavora all’università francese, luglio è il mese della scrittura: gli esami finiscono a giugno, le temperature restano in genere tollerabili, c’è luce fino alle dieci di sera, tutto è aperto e operante. Sbrigati gli ultimi impegni accademici, Barthes può dedicarsi finalmente alla stesura del libro, mettere assieme i suoi frammenti sull’amore. Le giornate sono scandite metodicamente, ognuna divisa in “m”, “am”, “s” (matin, après-midi, soir); la mattina annota “lève tôt” (alzarsi presto) ou “beau” quando il cielo è terso; mattina e pomeriggio sono consacrati alla redazione del libro, interrotti giusto da un “chiama JL” (che sia Lacan? più probabilmente l’amico Jean-Louis Bouttes) o “piano”. La sera? “TV”. Nel placido ménage di queste giornate produttive, nel rodato controllo dell’imprevedibile percepiamo per un istante l’autore all’opera. “Gli ottimisti dicono che l’intellettuale è un ‘testimone’; io direi che non è altro che una ‘traccia’”, è una delle tante citazioni esposte. Per ritrovare Barthes, anche i biografemi più modesti fanno l’affare.

 

Panorama, «L’Écriture intransitive», dettaglio. Graphisme Doc Levin

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