Covid 19 / Il virus che non ha letto Darwin
C’era una volta la Regina Rossa. “The Red Queen Hypothesis” è una metafora della coevoluzione molto diffusa in biologia evoluzionista, un modo poetico ed efficace per esprimere la dinamica dell’adattamento tra organismi e ambiente teorizzata da Charles Darwin in L’origine delle specie (1859). In Alice oltre lo specchio e quel che Alice vi trovò (Lewis Carroll, 1871), il seguito di Alice nel Paese delle Meraviglie, la prepotente Regina Rossa prende Alice per mano e la trascina in una folle corsa. Ma è una corsa strana: Alice, perplessa, non vede cambiare il paesaggio. “Che sia così perché tutto si muove insieme a noi?” e la Regina Rossa: “Qui, come vedi, per quando si possa correre, si rimane sempre allo stesso punto. Se tu volessi andare in un altro posto, dovresti correre a velocità doppia”. Come in una pellicola bloccata su un solo fotogramma, il paesaggio è sempre lo stesso perché il movimento dei personaggi è solo apparente: corrono per non perdere la posizione faticosamente raggiunta.
Secondo la teoria di Darwin, la selezione naturale mantiene gli organismi in continuo rapporto con l’ambiente, che vaglia incessantemente il loro grado di adattamento, seleziona i caratteri fisici e comportamentali più adatti e li trasmette alle generazioni future. Adattarsi all’ambiente non significa solo sopravvivere e riprodursi in condizioni fisiche estreme. Non basta resistere al freddo, al caldo, alla fame, alla sete. Ambiente è anche l’interazione con gli altri organismi, la capacità di predare e di sfuggire ai predatori, saper correre, nuotare, volare velocemente, riuscire a competere con individui della nostra specie per le stesse risorse. Ma parassiti, batteri e virus sono ancora più letali dei predatori. Sono più numerosi, più piccoli, il ciclo vitale è breve, il tempo di generazione veloce: da qui la comparsa di mutazioni in grado di aggirare le difese immunitarie dell’ospite. “Parasites invent new keys, hosts change the locks”, scrive Bill Hamilton: un processo senza fine, la spirale appunto della coevoluzione. Nello scenario della Regina Rossa, Hamilton avanza l’ipotesi che la riproduzione sessuale – assicurando variabilità genetica a ogni generazione – sia evoluta come risposta alla pressione selettiva di parassiti e patogeni: Sex vs Non sex vs Parasites (Oikos, 1980). Il sesso mescola i geni come un mazzo di carte e genera una prole sempre differente. Più una popolazione è geneticamente omogenea, meno resiste all’attacco dei microrganismi che, una volta aperta la serratura, dilagano fino a quando l’ospite non sviluppa una resistenza.
La biodiversità di batteri e virus, la loro ubiquità e antichità, la capacità di ricombinazione, sono le componenti del loro successo. Da sempre conviviamo con i microrganismi, in bilico tra vantaggi e svantaggi: sono simbionti, commensali, a volte patogeni. Il nostro intestino contiene più di 10.000 specie di batteri, funghi, virus, il cosiddetto “microbioma”, che influenza il metabolismo e il sistema immunitario. “Siamo insomma un condominio affollato – scrive il filosofo della scienza Telmo Pievani – che ospita miliardi di microbi, in equilibrio instabile.” (Imperfezioni. Una storia naturale. Raffaello Cortina Editore, 2019). I virus sono 100 volte più piccoli dei batteri; sono pacchetti di acidi nucleici, circondati da una capsula di proteine, parassiti obbligati che – per moltiplicarsi – devono infettare batteri e organismi pluricellulari. Non possiedono una struttura cellulare completa né gli enzimi necessari per replicarsi. La cellula infettata produce le proteine e il genoma del virus che così si moltiplica. Ma è come fare copie di un lungo testo, ogni scriba può introdurre per caso un errore, una variante.
Le mutazioni fanno parte della storia dei batteri e dei virus, sono il motore stesso dell’evoluzione: mutazioni neutrali, dannose oppure vantaggiose se aumentano la loro capacità di contagio, in linea con la teoria della selezione naturale di Darwin. Si innesca un processo senza fine di coevoluzione antagonistica. Entrano in gioco anche le pressioni selettive dei farmaci e dei vaccini. La velocità con cui i batteri evolvono una resistenza agli antibiotici è un buon esempio di adattamento, di “fuga selettiva”, così come i virus influenzali: ogni anno i vaccini sono diversi perché il virus è mutato. La Regina Rossa è sempre al lavoro.
I virus sono organismi molto più antichi di noi, hanno avuto tre miliardi di anni per evolvere la capacità di infettare un ospite. Sul coronavirus c’è un’ampia letteratura scientifica, ma la prospettiva darwiniana è meno esplorata. Questo retrovirus contiene un filamento di RNA, una molecola più instabile del DNA, che muta ancora più velocemente. Più un virus è contagioso, più facilmente si diffonde nella popolazione. E in grandi popolazioni – più di 7 miliardi di esseri umani, cioè di potenziali ospiti – aumenta la probabilità di mutare e di ricombinarsi e quindi la sua virulenza. Siamo una specie inquieta, da sempre migrante, molto sociale, tendiamo a vivere in gruppo, in grandi metropoli: il bersaglio ideale per un patogeno, come lo sono le colonie degli insetti sociali per i parassiti.
Il passaggio del virus dagli animali selvatici a noi (zoonosi) complica ancora il quadro. Spillover, il profetico libro di David Quammen (2012), racconta proprio la pandemia generata da un virus proveniente da animali selvatici, possibili vettori della prossima pandemia. Spillover letteralmente significa “traboccamento”, la fuoriuscita di un virus da una specie, il serbatoio abituale, a una nuova specie ospite. Tra i principali indiziati di questa pandemia, per l’alta somiglianza del genoma virale nel presunto vettore animale e nell’uomo, sono alcuni pipistrelli della Cina meridionale (chiamati “ferro di cavallo, niente in comune coi nostri pipistrelli), oppure il pangolino, conosciuto come “formichiere spinoso” (anche se non è un formichiere), che potrebbe rappresentare l’ospite intermedio. Il traffico e il consumo illegale della fauna selvatica, a scopo alimentare o per supposte proprietà medicinali, è in fondo un aspetto del nostro antropocentrismo, la tendenza a intervenire negli equilibri naturali, a perturbare gli ecosistemi e facilitare il contatto con microrganismi appartenenti ad ambienti lontani dal nostro. Così ceppi diversi di coronavirus vengono a contatto e, mentre si replicano, una porzione di un genoma può ricombinarsi con un altro più virulento o comunque nuovo per l’ospite. All’imperativo darwiniano – fare copie di sé stesso – si è aggiunto il cosiddetto “salto di specie” e così si moltiplicano le varianti del virus.
La dinamica preda-predatore, nel modello matematico proposto da Vito Volterra un secolo fa, non prevede l’estinzione della preda, semmai il predatore prudente, la predazione sostenibile. La darwiniana sopravvivenza del più adatto descrive un equilibrio tra le specie, tra prede e predatori come tra parassiti e ospiti, in linea con l’ipotesi della Regina Rossa. Se avesse letto le opere di Darwin, il coronavirus non dovrebbe essere letale, perché la sua trasmissione si interrompe con la morte dell’ospite. Un anno fa, con una certa leggerezza, dicevo ai miei studenti che l’intelligenza del virus era probabilmente maggiore dell’intelligenza dei virologi, e che si preparava una fase di convivenza, come per le tante forme di influenza che ci aspettano ogni inverno. Ma dopo qualche mese uno studente mi ha scritto che il coronavirus non aveva letto le opere di Darwin. Forse quando ho fatto quella previsione mi trovavo nell’ultima fase della pandemia, “la fase dell’oblio”, della rimozione, come la definisce Telmo Pievani, impaziente di raggiungere, grazie al vaccino, l’immunità di gregge. Ma forse il coronavirus sta iniziando a leggere Darwin, se evolvono varianti – come la Delta – molto infettive ma meno letali. Speriamo di non consumare tutte le lettere dell’alfabeto greco.
Tra noi e il coronavirus si è innescata una corsa agli armamenti: la velocità delle varianti contro strategie difensive sempre diverse, i farmaci antivirali e gli anticorpi prodotti in seguito alla vaccinazione. In Italia il tasso dei decessi nei non vaccinati è 9 volte più alto rispetto a chi è protetto con un ciclo completo di vaccinazione (Dati ISS novembre 2021). L’informazione non sempre è trasparente: inutile dare numeri assoluti di contagiati e deceduti, molto più informative le percentuali; e perché chiamare “booster” il richiamo? Perché dare tanto spazio ai no-vax?
Due biologi francesi, Jaouad Bouayed e Torsten Bohn (Journal of Medical Virology, 93, 1748-1751. 2021), ipotizzano che il coronavirus sia in grado di manipolare il comportamento di individui asintomatici ma con alta carica virale che, ignorando le pratiche di isolamento, moltiplicano le interazioni sociali e così facilitano la trasmissione del virus. Un’ipotesi fondata su dati osservazionali ancora insufficienti ma non irreale, se si pensa agli effetti del virus della rabbia sull’aggressività di cani e gatti che – col morso – diffondono il virus attraverso la saliva. Starnuti e tosse, nella medicina darwiniana, sono interpretati da Randolph Nesse e George Wilson come una manipolazione del virus dell’influenza per aumentare la sua trasmissione (Why we get sick. Goodwill, 2012). Philip Starks e colleghi ipotizzano che il virus HIV influenzi il comportamento sessuale maschile: molti partner sessuali e sesso senza protezione ne aumentano la diffusione (Evolution, Medicine and Health, 2020).
Insomma, vaccini e comportamenti adeguati sono le nostre armi. L’era pandemica non è ancora finita, perché i tempi dell’evoluzione sono lunghi, soprattutto per l’ospite. “Il tempo erode ogni vantaggio. – scrive il biologo evoluzionista Matt Ridley – Nel mondo della Regina Rossa ogni progresso evolutivo è relativo. La Regina Rossa è al lavoro tra prede e predatori, tra parassiti e ospiti, ma anche tra conspecifici, tra i membri di un gruppo, tra genitori e figli, tra rivali e tra maschi e femmine della stessa specie.” (The Red Queen. Sex and the Evolution of Human Nature. London: Viking. 1993).