Tate Britain / Vincent a Londra

5 Luglio 2019

‘Più di dieci anni fa, quand’ero a Londra, ogni settimana passavo davanti alla vetrina dello stampatore del Graphic e del London News per vedere le pubblicazioni settimanali. Le impressioni che ne ricevetti lì sul posto sono state così forti che quei disegni mi sono rimasti in mente in modo chiaro e preciso, nonostante tutto quello che è passato nella mia testa da allora…’, scriveva Van Gogh all’amico pittore Van Rappard nel febbraio 1883, ai tempi dell’Aia. 

 

È questo uno degli aspetti da scoprire alla mostra Van Gogh and Britain, aperta a Londra alla Tate Britain (fino all’11 agosto 2019). Curata da Carol Jacobi, Chris Stephens, Martin Bailey e Hattie Spires, la mostra accende per la prima volta i riflettori in due direzioni, da un lato su come Vincent fu ispirato dall’arte e dalla letteratura britannica, e dall’altro su quanto a sua volta ispirò una generazione di artisti inglesi, da Walter Sickert e i pittori della Camden Town, a Francis Bacon. Le oltre 50 opere in mostra, provenienti dai grandi musei oltre che da collezioni private, percorrono tutta la vita di Vincent, con un occhio attento alle sue letture in lingua inglese, alle tante opere grafiche o ai dipinti che lo hanno ispirato, tra i quali figurano Constable e Millais. Tre autoritratti scandiscono l’evoluzione pittorica di Vincent da Parigi alla Provenza, tra tanti capolavori come La notte stellata sul Rodano dal Musée d’Orsay di Parigi, o La prigione di Newgate dal Museo Pushkin di Mosca. Libri e documenti completano il percorso. 

Uno degli obiettivi della mostra, in linea con i recenti progetti del Museo Van Gogh di Amsterdam, è quello di guardare a Vincent da un’altra prospettiva, quella dell’uomo estremamente attento all’evoluzione dell’arte e della letteratura del suo tempo – lontano dal mito imperante dell’artista impulsivo e tormentato, isolato dal mondo e dai suoi contemporanei. 

 

Vincent van Gogh, L’Arlésienne, 1890, olio su tela, collezione MASP (São Paulo Museum of Art). Photo credit: João Musa.


‘L’Arlesiana’

 

La mostra ci accoglie con l’opera manifesto, Madame Ginoux, ‘L’Arlesiana’, che Vincent dipinse nei primi mesi del 1890, nell’ospedale psichiatrico di Saint-Rémy-de-Provence. Sul tavolo due tra i suoi libri più amati spiccano in primo piano nelle pennellate veloci in verde chiaro – i titoli ben leggibili, inscritti in francese. Sono Il canto di Natale di Charles Dickens e La capanna dello zio Tom di Harriet Beecher Stowe. Nel lungo anno che passò nell’istituto di Saint-Paul-de-Mausole, oltre a rileggere tutto Balzac e riprendere in mano le opere di Shakespeare, Vincent rilesse ‘con attenzione estrema (sottolineato nella lettera) due vecchie conoscenze, ben sapendo di poter scoprire sempre qualcosa di nuovo tra le righe dei suoi vecchi libri. L’opera in mostra, proveniente dal Museo d’Arte di San Paolo (MASP), è una delle quattro ripetizioni di L’Arlesiana giunte a noi – una quinta è andata perduta. La modella è Marie Ginoux, proprietaria con il marito del Café de la Gare di Arles, che aveva acconsentito a posare per lui e per Gauguin alla Casa Gialla. Va ricordato che quest’opera è molto particolare anche per un altro motivo: annoiato e senza modelli, a Saint-Rémy Vincent trovò un modo originale per distrarsi e, partendo da uno schizzo su carta che Paul Gauguin aveva lasciato ad Arles quando Marie Ginoux aveva posato per entrambi, ne riprese il contorno su tela, lavorando a una nuova composizione. La teca in mostra che accompagna questo ritratto provenzale presenta i due libri nella versione in francese, come dai titoli dipinti dall’artista. 

Unica protagonista della prima sala, quest’opera ci dice quanto Vincent amasse i libri, e Dickens in particolare, che lesse e rilesse nel corso degli anni, sia in inglese che in francese. Sulla parete opposta, una semplice e simpatica installazione: un ripiano ricavato nel muro mima una piccola biblioteca vangoghiana in lingua inglese. Con una cinquantina di volumi, provenienti dalle collezioni della Tate e dal Museo Dickens, passiamo in rassegna alcuni tra i titoli che Vincent cita nelle sue lettere; tra gli autori più amati c’è George Eliot, Charles Dickens, William Shakespeare, che iniziò a leggere sin da ragazzo.

 

Nella grande metropoli

 

Giuseppe de Nittis, The Victoria Embankment, London, 1875, olio su tavola, collezione privata.

 

Quando Vincent arriva a Londra nel maggio 1873 all’età di vent’anni, ha alle spalle già quattro anni di lavoro nella galleria d’arte della Goupil & Co dell’Aia, dove aveva iniziato come apprendista nel 1869. La notizia del trasferimento alla sede londinese giunge benvenuta: ‘sarà fantastico per il mio inglese che capisco bene, anche se non lo parlo ancora come vorrei… Sono curioso di vedere i pittori inglesi, se ne vedono così pochi, le loro opere rimangono per lo più in Inghilterra’, scrive al fratello Theo, che ha da poco iniziato a lavorare alla Goupil di Bruxelles. Vincent rimane alla galleria per due anni, visita mostre e musei, dalla National Gallery alla Royal Academy, immergendosi nella vita e nella cultura britannica. Lavora a Covent Garden, la sede londinese della Goupil, pioniere nella produzione e diffusione di opere grafiche e di riproduzione. Vive dapprima a Brixton, un quartiere a sud di Londra, e tutti i giorni cammina verso il posto di lavoro attraversando il ponte di Westminster, come ricorda più tardi da Parigi, alla vista del dipinto di Giuseppe de Nittis ‘quando l’ho visto ho pensato a quanto amo Londra’. Conosce anche il suo primo amore non corrisposto – in casa dei Loyers, dove alloggia – che però rimane avvolto dal mistero. Si trattò di Ursula (57 anni, vedova) o della figlia Eugenie, sua coetanea? Forse nuovi documenti aiuteranno presto a sciogliere l’annoso nodo. Una cosa però è certa, questo primo sfortunato amore lo portò a leggere e amare i poeti romantici.

 

A quel tempo Londra era la metropoli più grande al mondo, e con oltre tre milioni di abitanti dovette sembragli immensa, per nulla simile alla vita vivace dell’Aia, culla della cultura olandese a cui era abituato. Se industrializzazione, capitalismo e ricchezza rendevano Londra la città più moderna dell’epoca, povertà, squallore e degrado dilagavano, come documentano le impressionanti opere di Gustave Doré. Frutto di quattro anni di collaborazione dell’artista francese con il giornalista inglese William Blanchard Jerrold, London: A Pilgrimage è un testo-immagine eccezionale della Londra vittoriana. Pubblicato nel 1872, con le sue 180 incisioni che tracciano tra luce e ombre il doppio volto della metropoli, la sua uscita aveva provocato un certo scalpore, come fa notare Martin Bailey nel suo contributo al catalogo. Il libro rimase a lungo nel cuore di Vincent, che non poté mai permettersi questo acquisto, ma dieci anni dopo – da artista – raccolse molte di queste illustrazioni, qui esposte.

 

Cresciuto nella tranquilla cittadina olandese di Zundert, Vincent fu indubbiamente scioccato dai quartieri poveri di Londra che vide a vent’anni nelle sue lunghe camminate nelle periferie. Queste visioni contribuirono ad avviare in lui una profonda riflessione sul senso che voleva dare alla sua vita. Londra stava cambiando, le riforme sociali avanzavano, e Vincent era attento a tutto. In Inghilterra scopre il realismo sociale di George Eliot, la ribellione di Charles Dickens verso le ingiustizie della società inglese ottocentesca; queste pagine lasceranno in lui una profonda impressione. Quando decide di diventare artista il suo scopo è quello di fare arte ‘dalla gente per la gente’. Letteratura e vita si erano intrecciate in lui, sin da ragazzo.

 

Parete sullo sfondo, Gustave Doré, Illustrazioni per London: A Pilgrimage 1872, B. Jerrold e G. Doré, © Tate photo (Joe Humphrys).


Vincent e il Graphic, dieci anni dopo 

 

Vincent ritorna all’Aia alla fine del 1881, questa volta da artista. Il primo gennaio 1882 affitta una stanza con studio, prende le sue prime lezioni di pittura da Anthon Mauve, affermato pittore della Scuola dell’Aia. Grazie al suo primo maestro frequenta il Pulchri Studio, dove può disegnare da modelli, due sere la settimana. Conosce così giovani artisti, tra cui George Breitner con il quale stringe amicizia; con lui farà frequenti escursioni notturne nei quartieri poveri della città alla ricerca di nuovi soggetti. Legge moltissimo, colleziona stampe e  illustrazioni delle maggiori riviste europee, in vendita nelle librerie d’occasione. Favorito dal loro basso costo adatto alle sue tasche, la sua collezione cresce enormemente e nel giro di pochi mesi può contare ‘almeno mille’ stampe, come scrive a Theo nel giugno 1882. Tra le sue preferite figurano molti fogli dai primi anni del Graphic, con le illustrazioni che gli erano rimaste in mente ‘in modo chiaro e preciso’, da quando – dieci anni prima – passava puntualmente a vedere le vetrine degli stampatori a pochi minuti dalla Goupil, sullo Strand. 

Inaugurato nel Dicembre 1869, il Graphic era una pubblicazione settimanale nata come rivale del più tradizionale The Illustrated London News. Il suo fondatore, William Luson Thomas, si avvaleva di una nuova generazione di artisti ai quali dava piena fiducia, come Luke Fildes, Hubert Herkomer e Frank Holl, per citare almeno alcuni tra i più rinomati illustratori impegnati nel realismo sociale; sempre a caccia di scene dalla vita reale nelle strade di Londra, con un occhio attento ai poveri, diseredati, sofferenti, essi proponevano uno sguardo nuovo, aderente alla realtà e lontano dal melodramma o dalla caricatura. Vincent, che all’Aia viveva con una prostituta e disegnava gli anziani dell’ospizio, ne apprezzava l’approccio diretto, la sincerità, il sapore. Il primo numero, con l’illustrazione di Fildes Houseless and Hungry, ‘povera gente in attesa di un rifugio per la notte’ (già su queste pagine), fu un successo, tanto che lo stesso Dickens affidò a Fildes le illustrazioni per il suo Il mistero di Edwin Drood (pubblicato postumo). Vincent trasse ispirazione da queste immagini in bianco e nero, che iniziò a catalogare e a ritagliare incollandole su carta grigia ruvida, accarezzando l’idea di guadagnarsi da vivere come illustratore. Condivise la sua passione con Van Rappard e con gli amici del Pulchri Studio che a quanto pare gli chiesero persino ‘di fare una conferenza una sera’. Gli anni di Londra erano rimasti molto vivi nella sua memoria visiva. 

 

Da sinistra: Hubert von Herkomer, ‘Sunday at Chelsea Hospital’, Graphic, 18 February 1871; Edward Gurden Dalziel, ‘Sunday Afternoon 1.00pm, Waiting for the Public House to Open’, Graphic, 10 Gennaio 1874, Amsterdam, Van Gogh Museum, Vincent van Gogh Foundation.


Londra 1947, ‘il miracolo di Millbank’

 

La prima grande retrospettiva inglese del dopoguerra dedicata a Van Gogh si tenne alla Tate Gallery (su Millbank), dal 10 dicembre 1947 al 14 gennaio 1948. Fu una delle prime mostre organizzate dal rinnovato Arts Council britannico, con un fitto programma itinerante, prima Londra poi Birmingham e infine Glasgow, città devastate dai bombardamenti. L’importante iniziativa era stata sollecitata dall’Arts Council con la speranza di ‘portare un po’ di vita e di gioia in questa nostra scialba città!’. 

Sostenuta dal governo olandese come iniziativa diplomatica e culturale, l’evento metteva insieme ben 178 opere di Van Gogh, provenienti dal Kröller Müller Museum (aperto nel 1938) e dall’immensa collezione del nipote dell’artista, Vincent Willem van Gogh, figlio di Theo e Jo. Fu una delle mostre internazionali su Van Gogh che si susseguirono in modo quasi continuativo nel secondo dopoguerra, una sorta di ‘veicolo post-bellico per guarire un Continente a pezzi’, come scrive Hattie Spires nel suo contributo al catalogo. Quasi cinquemila visitatori al giorno affollarono le sale londinesi, un successo enorme, tanto che a mostra conclusa il direttore della Tate chiese all’Arts Council un rimborso per i pavimenti consumati. In sole cinque settimane si era verificata un’usura paragonabile a tre anni di normale attività. La stampa lo descrisse come ‘il miracolo di Millbank’. I giornalisti iniziarono a chiedersi le ragioni di tante code – il Daily Graphic si diede una risposta, la più semplice, in fondo: ‘la gente ha sete di colore’. 

 

Poster della mostra, Tate Gallery 1947, © Tate, 2018; Coda fuori dalla Tate Gallery per la mostra Vincent van Gogh 1853–1890: Paintings and Drawings, 10 Dicembre 1947 – 14 Gennaio 1948.


Girasoli a Londra

 

Nella seconda parte della mostra, siamo accolti in una sala che presenta i Girasoli di Vincent accanto a vari dipinti di fiori, otto in tutto – girasoli e non – eseguiti dagli artisti britannici nei decenni successivi. Colpisce il divario incolmabile tra il direttore d’orchestra (Vincent) e i suoi coristi che al confronto appaiono stonati e sbiaditi, nonostante tutto. Tra gli omaggi al maestro figurano i Girasoli di Frank Brangwyn (primo Novecento), quelli di Jacob Epstein (1933), e i Crisantemi gialli in un vaso di Christopher Wood (1925), questi ultimi due eseguiti sulla scia della mostra britannica dedicata a Van Gogh del 1923, tenutasi alle Leicester Galleries. 

 

Da sinistra: Frank Brangwyn, Sunflowers, © The Estate of Frank Brangwyn/Bridgeman Images; Jacob Epstein, Sunflowers, 1933, © The estate of Sir Jacob Epstein; Christopher Wood, Yellow Chrysanthemus, 1925, Mr. Benny Higgins & Mrs Sharon Higgins.


La tela dei Girasoli di Vincent ora esposta è la stessa di allora, e cioè la versione giallo-su-giallo dipinta nell’agosto 1888, eccezionalmente prestata dalla National Gallery che raramente se ne separa. Vincent aveva ottenuto il suo scopo: ‘l’alta nota gialla’, l’irraggiungibile. Una sinfonia di gialli pervade la tela, una tela inondata di luce. Una musica. Non va dimenticato qui che lo stesso giugno Vincent aveva scritto a Theo: ‘sto leggendo un libro su Wagner che poi ti manderò – che artista – uno così in pittura, ecco cosa sarebbe bello. – Verrà’. ‘Ça viendra’. Sappiamo anche da una lettera di Theo alla sorella, che prima di partire per la Provenza i due fratelli erano andati a sentire due concerti di musica di Wagner…

 

Di fronte alla parete dei ‘suoi’ Girasoli, in una teca, un documento commovente: è una lettera di Jo (moglie di Theo) del 24 Gennaio 1924 al direttore della National Gallery, nella quale decide di cedere alle sue pressioni. Figura chiave, dopo la morte del marito (1891), passò la sua vita a promuovere l’arte di Vincent in tutta Europa. Quando si convinse che era giunto il momento di separarsi dal quadro che da oltre trent’anni ‘guardava ogni giorno’, e a vendere i Girasoli alla National Gallery che insisteva da un anno, concluse la sua lettera al direttore con queste parole: 

‘A lui, “il Pittore dei Girasoli”, sarebbe piaciuto essere lì… È un sacrificio per la gloria di Vincent’.

 

The EY Exhibition. Van Gogh and Britain

Tate Britain, Millbank, Londra SW1P 4RG

27 marzo – 11 agosto 2019

 

Il catalogo della mostra, The EY Exhibition. Van Gogh and Britain, è a cura di Carol Jacobi, con contributi di Martin Bailey, Anna Gruetzner Robins, Ben Okri, Hattie Spires e Chris Stephens (Londra 2019). 

Per saperne di più sulle influenze degli illustratori e degli scrittori inglesi sull’opera di Vincent van Gogh si segnala lo studio di Ronald Pickvance, uno dei primi dedicati all’argomento, English Influences on Vincent van Gogh (1974). Sugli anni londinesi di Van Gogh, si veda anche il catalogo della mostra tenutasi nel 1992 alla Barbican Art Gallery di Londra, e curata da Martin Bailey: Van Gogh in England. Portrait of the Artist as a Young Man (1992). Un testo centrato sul ruolo del Graphic, degli illustratori e dei pittori del Realismo Sociale in Inghilterra è lo studio di Andrea Korda, Printing and Painting the News in Victorian London. The Graphic and Social Realism, 1869-1891 (2015). In arrivo per il prossimo autunno  

Everything for Vincent, di Hans Luijten, ricerca centrata sulla vita di Jo van Gogh-Bonger e sul suo ruolo cruciale nella diffusione dell’opera e delle lettere di Van Gogh. 

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