Isabella Ducrot: ragazza novantenne
È la stessa Isabella Ducrot a indicare le coordinate, o meglio l’Ordito e la Trama, che segnano, o che tessono, la rotta del suo quotidiano. Nel libro La vita femminile (Quodlibet, 2021) scrive che le piombarono addosso come una folgore, durante un pomeriggio, mentre “il giorno declina, i raggi del sole si attenuano e all’interno la stanza si riempie di ombre”. Le illuminanti direttrici, frutto di una profonda riflessione, nonché dell’assoluto desiderio di “fare qualcosa […] cominciare una nuova vita”, si prefissò di raggiungerle attraverso un triplice programma: regredire al tempo dell’infanzia; la costante consapevolezza di appartenere al genere femminile e considerare l’ignoranza, o meglio, la miserabilità (come lei stessa la chiama), che l’aveva sempre tormentata, come un vantaggio. Anche se, in realtà, quest’ultima sembra piuttosto un vezzo, o un’errata convinzione, derivante dall’assenza di una formazione scolastica regolare, poiché, nei suoi discorsi, come nei suoi testi, molti sono i riferimenti e le fonti cui attinge, da Spinoza a Omero, da Giorgio Agamben a Luciano Ghersi, da Carl Gustav Jung a Paul Valery, a Platone, solo per citarne alcuni.
Comunque, è proprio ad un libro che Isabella Ducrot deve l’avvio di tali accadimenti che hanno cambiato, e di molto, la sua vita, cominciandone veramente una, se non del tutto nuova, sicuramente diversa. Allorquando Ginevra Bompiani decise di dare alle stampe La matassa primordiale, il suo primo scritto che vide, altresì, l’inserimento delle fotografie -realizzate da Giorgio Benni- di alcuni suoi lavori a supporto delle personali considerazioni e interpretazioni. Con un’introduzione in versi di Patrizia Cavalli, la quale, in maniera molto sensuale, esalta il dramma tessuto dalla Ducrot in cui i protagonisti, Trama e Ordito, “s’incontrano […] una volta insieme, se non arriva forbice o lametta, nessuno li potrà separare”, arrivando a paragonare il dramma della tessitura al dramma dello stato coniugale, vedendo nel tessere una precipua dote umana perché “un matrimonio che mai in natura potrebbe avere luogo”. Un piccolo libro (appena 73 pagine, comprese quelle delle note, della bibliografia e dell’indice), in cui Isabella Ducrot, narrando l’arte del tessere, ne ripercorre la storia, prendendo le mosse dal mito - elemento pressoché costantemente presente nei suoi lavori (basti vedere la mostra La Bella Terra, Taormina, 2023). Una divinità in solitudine nello spazio infinito, la cui immensa chioma a raggiera, simile al sole, catturava tutto quello che vagava nell’atmosfera “e si formava così una specie di tessuto.
Allora ebbe inizio il mondo e tutto quanto lo popola e lo ingombra […] e questo tessuto […] suggerisce […] che ognuno di noi ha una propria […] matassa che grazie a incontri fortuiti si compone nella tela del nostro destino singolare […] l’allacciamento dei fili della trama con quelli dell’ordito sta alla base di qualsiasi tessuto, straccio o broccato”. Individuando nell’invenzione dell’arte della tessitura “l’espressione più diretta e fedele di un’organizzazione mentale”. È dalla lettura di tale libro che in Gisela Capitain è nato il desiderio di conoscere personalmente la scrittrice (che ha dato alle stampe diversi altri libri). Da questo incontro, in un emozionante effetto domino, hanno avuto origine “meravigliose (come continuamente sottolinea Isabella Ducrot) situazioni”. Titolare della prestigiosa omonima galleria d’arte, aperta nel 1986 con sedi a Köln e Cologne, nel 2022 Gisela Capitain ha voluto esporre le sue opere a Basel – Unlimited. Omaggio a Mishima (2016). Una imponente installazione composta da diversi collages su carta.
A rendere il tutto ancora più sorprendente, è stata l’accoglienza da parte del pubblico: posta in fondo all’enorme sala, ha creato una sorta di quinta scenografica, di schermo, dietro il quale le persone si sono divertite a proiettare la propria ombra (c’è stato addirittura chi ha voluto immortalare il proprio bacio col partner). E da lì, le sono arrivati gli inviti a partecipare a numerose mostre (compresa la Biennale di Venezia nel 2011 nonché due grandi mosaici della stazione della metro Vanvitelli di Napoli nel 2000), che tuttora fanno volare i suoi lavori da Roma verso diverse grandi città (da Londra a Oslo, a Colonia, Berlino, Stoccolma), anche per essere rappresentata da gallerie di indiscusso prestigio e respiro internazionale (dalla citata Gisela Capitain, a Sadie Coles, Standard, T293). E, sicuramente, quei lucidi propositi, accompagnati dalla nitida coscienza della sua età, infondono a Isabella Ducrot una sconfinata leggerezza che la rende incredula e meravigliata di qualsiasi evento in cui si ritrova coinvolta, o riconoscimento che le viene tributato.
Così, da artista occasionale, autodidatta, che non ha “mai avuto manualità”, grande appassionata di stoffe, e forte amante della carta, alla tenera età di oltre cinquant’anni, diviene un’artista riconosciuta a livello internazionale, coinvolta in un susseguirsi di mostre. “E da allora, le sue giornate – racconta l’assistente storica Nora Iosia, al suo fianco dal 1994-96 – sono complicate, anche se tutte le mattinate le dedica alla creazione di nuovi lavori. Mentre prima di questi riconoscimenti a studio i ritmi erano molto più dilatati. Allora, lo studio piuttosto che incentrato sul tema del fare, era basato sul sentire: spesso lunghi dialoghi su tanti temi, sulla filosofia, sull’arte”. Infatti, in questi giorni, nella Capitale, alcuni suoi lavori sono esposti nella mostra Tessere è umano. Isabella Ducrot e le collezioni tessili del Museo delle Civiltà, aperta fino al 16.2.2025. Un piccolissimo nucleo di lavori, concentrato nel mezzo della grande sala del primo piano del museo, si mescola alle stoffe della collezione del museo stesso, sistemate in teche lungo le pareti perimetrali.
Capelli bianchi a caschetto, con una pelle quasi eterea, solitamente con un cappello calcato in testa, sebbene ripeta che “a sessant’anni inizia la vera felicità”, artisticamente, la sua, prende avvio dal 1985, con le prime mostre personali (Libreria della Galleria Giulia), seguite dalle collettive (Istituto Italiano di Cultura di Parigi, 1986), quando già aveva superato di qualche anno i cinquanta, riscuotendo “successi inaspettati”. Perché “a 90 anni ho certo “prestigio” messo tra virgolette che non fa vedere il mio passato: io ero una persona miserabile. Miserabilità, mia grande chance, mi ha aperto il mondo”.
A volte accade che la biografia diviene un elemento cardine della carriera di un artista, e quella di Isabella Ducrot senza dubbio ha un importante rilievo. Come ben racconta il bel documentario Tenga duro signorina! Isabella Ducrot Unlimited, della bravissima Monica Stambrini (in questi giorni proiettato in alcune sale cinematografiche). Seguendo la sua prassi, la regista, anche in quest’occasione, ha lavorato senza una sceneggiatura predefinita e ha seguito l’artista per oltre due anni. Poi, con tutto il girato a sua disposizione, ha costruito la sua storia. Un documentario che consente di vedere dal di dentro e camminare al fianco di Isabella Ducrot. Con i suoi affetti, con le sue sofferenze, le sue gioie, la sua famiglia, i suoi entusiasmi, la sua quotidianità, regolarmente dedicata alla realizzazione di opere, essenzialmente collages (principalmente di carta ma anche con inserti di stoffa), nei quali interviene con pigmenti, inchiostro, pastelli, carboncino. Con quelle esplosioni di colori che, in molti casi, sono quelli primari della Terra, senza sfumature, che spesso evocano le curve di Matisse (di cui ha assimilato anche il modo di realizzare i disegni a carboncino).
Colori e stoffe che campiscono e si poggiano sul supporto cartaceo, senza che questo sia celato, anzi, sempre ben visibile. Quella carta che lei maneggia in maniera disinvolta, perché la sente forte e resistente, tutt’altro che delicata. Stoffe e carta che, sicuramente, le arrivano dall’infanzia, da quelle donne impegnate nel rigenerare vecchi vestiti, confezionandone di nuovi con la solida carta modello, perché “quando ero piccola si stava a casa, e stare a casa significava stare sempre con l’ago in mano: si cuciva si rammendava si aveva sempre il contatto con le stoffe” e “ho cominciato a divertirmi con questa storia del tessuto e averlo convertito in qualcosa, in arte. Non so che cos’è, come chiamarla: arte astratta, arte concettuale, arte contemporanea, non lo so”. In fondo, la madre stessa di Isabella Ducrot non solo le ha sempre cucito i vestiti ma, fino all’età di trent’anni, le indicava quello che doveva indossare. Un’infanzia, quella di Ducrot, che, oltre ad aver attraversato la guerra e tutto quello che ha significato per la città di Napoli (dov’è nata nel 1931), l’ha vista impegnata nel combattere la TBC. Arriva poi la possibilità di lasciare tutto per trasferirsi a Roma, accettando l’offerta di svolgere il lavoro di telefonista all’IBM. È a Roma che incontra, e in seguito sposa, Vittorio (per tutti Vicky) Ducrot, l’imprenditore che ha fondato il tour operator di alto profilo “I viaggi dell’Elefante” (morto nel 2022, nato a Palermo ma di origini francesi).
Così Isabella, all’anagrafe Antonia Mosca, diviene Isabella Ducrot. È con l’arrivo nel suo studio nel cuore di Roma, in uno tra i più prestigiosi palazzi aristocratici, che inizia il racconto del documentario a lei dedicato “girato in maniera del tutto spontanea”. Nato dal fatto che Monica Stambrini ha visto nella Ducrot “un inno, una speranza, oltre al fascino che di suo emana – racconta la regista – che conoscevo da oltre dieci anni grazie al progetto “Le ragazze del porno” per il quale cercavo dei finanziamenti. E tramite conoscenze in comune, la contatto e lei nel 2014 mi ha dato alcuni suoi lavori della serie “Disegni erotici” che diceva che nessuno voleva. E poi sono usciti dal cassetto ed esposti da T293. E non avrei mai smesso di girare. Ho dovuto, infatti, decidere di finire”. E così, la giovane novantenne, “in tarda vecchiaia cominciai a vivere bene […] aver vissuto gli ultimi anni audacemente”. Allora, forza signorina!
Tessere è umano. Isabella Ducrot e le collezioni tessili del Museo delle Civiltà, Museo delle Civiltà – Palazzo delle Arti e Tradizioni Popolari, Piazza Guglielmo Marconi, 8, Roma EUR, aperta fino al 16.2.2025