Una mostra al Madre di Napoli / Lawrence Carroll: realtà distorte, lucidi incubi

30 Maggio 2022

Urla dissonanti, ossa, pulsioni, lacerti: l’incedere solenne di corpi deformi segue il ritmo battente della pioggia, sotto un cielo opprimente. L’effluvio stagnate dell’orrore prevale sulla possibilità, mentre l’inquieta staticità del caos predomina sul desiderio. L’empatia appare ormai assente negli sguardi dei passanti inermi, stremati. La memoria sembra aver cessato la propria resistenza strenua, cedendo il passo a un eterno e inesorabile istante. Non ci sono vie di fuga, la redenzione diventa inganno, illusione. E se la speranza rappresenta davvero una trappola in cui cadere rovinosamente, allora l’umanità stessa figura tra le prime vittime di un incessante ed efferato eccidio.

 

Le illustrazioni di Lawrence Carroll ritraggono realtà distorte, l'inquietudine di lucidi incubi. Il tratto sfuggente e concitato, perturbante, talvolta infantile dell'artista originario di Melbourne restituisce il peso gravante di soffitti insonni, riaffermando l'ineluttabile certezza del dubbio. Le opere realizzate per visualizzare le convulse composizioni degli Slayer rappresentano, in un certo senso, l'epitome della produzione illustrativa di Carroll. Gli album della formazione thrash metal di Los Angeles, infatti, riportano alcuni dei lavori più celebri dell'artista. In particolar modo, l’emblematico progetto grafico di Reign in Blood (1986), unanimemente considerato un imprescindibile caposaldo del genere, rappresenta la consacrazione dell’artista nello scenario musicale come demiurgo dell’abisso.

 

Lawrence Carroll, Reigna in Blood.


Eppure, l’eterogenea produzione di Carroll non si limita affatto alla sola ed enigmatica rappresentazione dell’empietà: le opere dell’artista, al contrario, mostrano tratti spesso antitetici rispetto alla dilagante irrequietezza delle quattro copertine realizzate per gli Slayer – Reign in Blood (1986), South of Heaven (1988), Season in the Abyss (1990) e Christ Illusion (2006). Dalla seconda metà degli anni Ottanta, infatti, Carroll decide di abbandonare progressivamente il proprio lavoro come grafico e illustratore per dedicarsi alla realizzazione di opere incentrate sul mezzo pittorico. L’assordante afflizione delle illustrazioni cede il passo al silenzio delle tele, all'assenza figurativa, mentre l’ocra, il giallo e l’avorio hanno la meglio sull'esasperazione policroma. Tuttavia, si tratta di un candore incerto, diafano, irresoluto, e forse proprio per questo tangibile. Assistiamo alla contraddizione del concetto apparentemente univoco di monocromia, come se il tempo lasciasse un segno del proprio passaggio, annullando ogni presunta differenza tra colore e materia, tra rappresentazione e realtà, tra Immagine e tatto. La pittura diviene corpo.

 

Lawrence Carroll, Untitled, 2006.


“Nella mia pittura le forme sono sempre mutevoli, la loro stessa collocazione nello spazio cambia, questa inquietudine di pensiero e di spirito è ciò che in un certo senso rende ‘vive’ le mie opere e le tiene in movimento”.

Il Museo Madre di Napoli ospita Lawrence Carroll, la prima mostra antologica dalla prematura scomparsa dell’artista (1954-2019). Le ottanta opere esposte ripercorrono la produzione di Carroll, presentando differenti approcci al gesto pittorico. Come riportato nel comunicato stampa, infatti, le opere sembrano attuare una costante ridefinizione della pittura stessa, interrogando gli strumenti e le possibilità del fare artistico. Immagini rimosse, evanescenti, tele recise e riassemblate: l'imperfezione dell'arte, della realtà riafferma la propria ingombrante presenza, mostrando le ferite.

Trasferitosi negli Stati Uniti alla fine degli anni Cinquanta, con i suoi genitori e il fratello maggiore Ronald, Carroll studia a Los Angeles presso l'Art Center College of design di Pasadena, stabilendosi successivamente a New York (1984), dove si afferma come grafico e illustratore.

 

L'esordio nell'arte contemporanea avviene alla metà degli anni Ottanta, proprio in concomitanza con la realizzazione della copertina di Reign in Blood degli Slayer, introducendo la tridimensionalità oggettuale degli scarti all'interno del proprio operato. La prima personale dell'artista si tiene alla Stux Gallery di New York (1988), tuttavia l'affermazione internazionale coincide con la partecipazione alla collettiva Einleuchten, curata dallo svizzero Harald Szeemann presso la Deichtorhallena di Amburgo (1989), a fianco di Joseph Beuys, Bruce Nauman e Robert Ryman, per poi consolidarsi in occasione della nona edizione di documenta a Kassel, curata dal belga Jan Hoet (1992).

 

Lawrence Carroll, Madre, Veduta della mostra.


Se da una parte gli Stati Uniti rappresentano gli esordi dell'artista, dall'altra l'Europa e, in particolar modo, l'Italia corrispondono alla maturazione della cifra stilistica di Carroll. Il bel paese, in tal senso, svolge un ruolo tutt'altro che marginale. In seguito alla mostra di Amburgo, infatti, l'artista si avvicina allo scenario europeo, muovendosi a lungo tra Venezia, dove insegna alla IUAV, e Roma, nello specifico il lago di Bolsena, luogo deputato ad accoglierne lo studio. La retrospettiva ospitata dal Madre, pertanto, significa l'ideale punto di arrivo di un percorso apparentemente tortuoso e irregolare. Come sottolineato da Gregorio Botta, Napoli e le opere di Carroll, in fondo, si assomigliano: intemperanti, imperfette, talvolta contraddittorie, eppure così vivide, sincere e autentiche.

 

La mostra procede per suggestioni e corrispondenze, piuttosto che assecondare la stringente classificazione cronologica. Le opere di Carroll, in questo modo, sembrano instaurare un dialogo con il pubblico, proponendosi come un'occasione di confronto, di scambio e di comprensione reciproca. L'apparente ieraticità, infatti, sembra celarne l'intima fragilità, talvolta risultando respingente, manifesta al contempo la propensione delle tele all'ascolto. La dimensione scultorea e oggettuale dei dipinti di Carroll, inoltre, riafferma la fisicità materica del passato, restituendo allo stesso tempo il lirismo del gesto pittorico. Le opere rappresentano il risultato, altrimenti fugace ed effimero, della soggettivazione collettiva, di un processo ancora in atto, costantemente in divenire.

“Il tempo è, infatti, il nostro più grande tesoro”.

 

Ghiaccio, cera, plastica e luce costituiscono l'alfabeto simbolico dell'artista. Le caratteristiche intrinseche dei materiali rispondono alla mutevolezza dell'esserci, contrastando e al contempo assecondando la necessità di generare cambiamento. La rigenerazione, in particolar modo, trascende il tema religioso in Untitled (2013) – opera realizzata per il Padiglione della Santa Sede della 55esima Biennale di Venezia – muovendosi in equilibrio tra la possibilità e l'ineludibile finitezza della condizione umana. La ricreazione si concretizza nel mezzo, nel dualismo della paradossale, eppure armoniosa coesistenza, nell'operato di Caroll, delle inquietanti illustrazioni per gli Slayer e dell'anelito alla dimensione sacrale di Untitled (2013).

 

Lawrence Carroll, Untitled, 2013.


“Credo che l’arte (almeno per me) stia nel mezzo delle cose. “Nel mezzo” è una grande parte del mio modo di pensare e procedere, sia psicologicamente che fisicamente.”

La mostra, infine, presenta alcuni tra i lavori più recenti di Carroll, come gli inediti Black Drawnings e una serie di fotografie realizzate dall'artista durante un lungo viaggio attraverso gli Stati Uniti d'America e oltre.

 

Lawrence Carroll, a cura di Gianfranco Maraniello, è visitabile presso il Museo Madre di Napoli fino al 5 settembre.

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