Storia della pubblicità / L'individuo disarticolato del fordismo

22 Luglio 2020

Come nasce il fordismo? Nella macina dei grandi fatti storici si sommano grani differenti: fatti minuti, decisioni di vertice, tecnologie nuove. Un episodio in particolare colpisce. È la celebre visita di Henry Ford alle disassembly lines delle macellerie di Cincinnati e Chicago, dove sin dalla seconda metà dell'Ottocento i maiali venivano macellati e smontati in un ciclo continuo (Settis, 2016). Lì, dove si fronteggiano corpi morti e corpi vivi, nasce l’idea: tutti quei maiali appesi a ganci, semoventi, dai quali ogni butcher stacca un pezzo da lavorare – un arto, la testa, un muscolo – non sono forse l'esempio di come produrre al massimo della velocità e del risparmio la sua T-Model, ossia la prima utilitaria al mondo assemblata da una catena di montaggio, gigantesco successo commerciale che cambia le abitudini e le aspirazioni della classe operaia americana? 

 

La disarticolazione del corpo è un pilastro della società di massa. Lo dimostra l’ingegnere Frederick Winslow Taylor, principale teorico dell’organizzazione razionale della produzione, quando studia i movimenti dell’operaio e ne elimina i gesti troppo lenti, non produttivi, dannosi, plasmando come creta una sequenza di azioni fluida fino a farne l’ideale prosecuzione del nastro trasportatore. Il fordismo però non è solo progetto razionale. La sua è la produzione perfetta perché si svolge su un doppio binario, quello meccanico insieme a quello simbolico. Esempio ideale è proprio l’utilitaria di Ford, che è risultato ingegneristico e mito sociale al tempo stesso. È questo a determinare l’ampiezza del suo impatto in tutto il mondo.

 

Thomas Mann ne parla in Mario e il mago (1930), racconto ambientato in una stazione balneare nell’Italia degli anni venti. Lì avviene il disturbante spettacolo del mago Cipolla, personaggio nel quale la critica ha visto in effige il fascismo italiano. Costui non lesina il saluto romano, si è esibito al cospetto del fratello del Duce e soprattutto, proprio come Mussolini, è un autentico addomesticatore di folle. Ma la sua esibizione si spinge oltre: gli spettatori, ipnotizzati dal mago, gli cedono il controllo del loro corpo. Tra questi c’è il Mario del titolo, un timido cameriere, usato come cavia, al quale il mago si rivolge parlando proprio dell’industria moderna:

 

 

Ascolta, amico, dovrebbe essere piacevole e divertente cessare di essere, una volta tanto, quell'uomo che sei, senza l'obbligo di dover rispondere della volontà e dell'azione insieme. Sarebbe ora di cominciare una buona volta la divisione del lavoro, sistema americano! Vuoi, per esempio, mostrare adesso a codesto eletto e rispettabile pubblico la lingua, e precisamente tutta la lingua fino alla base?

 

Il sistema americano di cui parla Cipolla è per l’appunto il fordismo/taylorismo, la catena di montaggio. Però questo spettacolo che domina il corpo in nome della nuova organizzazione del lavoro incarna anche un suggerimento: nel moderno, ci dice Mann, stanno nascendo linguaggi inediti, imparentati strettamente con il potere, le cui forme sono incomprensibili con gli strumenti del prima. Creando un nuovo tipo di uomo (Gramsci), il sistema americano investe cioè non soltanto la politica o le condizioni dei lavoratori ma anche l’immaginario, il sogno collettivo. E produce arti inedite, il cui territorio è proprio quello della disarticolazione. 

 

Nasce così la pubblicità fordista, l’incontro principale tra la nuova organizzazione razionale e la civiltà dell’immagine. Eccolo il linguaggio autentico del sistema americano, che segna per decenni il modo di comunicare le merci e sbaraglia la pubblicità precedente, quella affidata ai cartellonisti, singoli disegnatori artistici. Uno dei primi grandi ad man moderni, Claude Hopkins, entra nella storia proprio traducendo in campagne promozionali i dettami di Taylor. Nel 1923 pubblica un manuale intitolato Scientific Advertising, nel quale offre alla pubblicità, come ama ripetere, una prospettiva di sistema. È un'espressione che cita il lessico adottato in quegli anni proprio dai tecnici del taylorismo (Fasce). Hopkins rifonda le abitudini promozionali dell'epoca e sviluppa molte innovazioni tra le quali il suo più grande successo commerciale: il lancio del dentifricio Pepsodent.

 

 

È una storia di comunicazione cruciale. Hopkins inventa ciò che comunemente chiamiamo placca, ossia la patina accumulata sui denti oggi citata così spesso negli spot pubblicitari. Nessuno prima di lui si è preoccupato di compiere studi di odontoiatria prima di reclamizzare un dentifricio, così come è lui il primo a visitare gli stabilimenti dai quali arrivano i prodotti, indagando a fondo la loro produzione. Né prima di Hopkins si è pensato di isolare, nel corpo dell'acquirente, una destinazione così specifica. Con il suo avvento parte l’assalto della produzione al corpo. Si tratta cioè di mostrare precisamente la placca, che negli annunci Pepsodent è raffigurata con una pellicola sulla dentatura: il sorriso di una giovane modella è velato da un quadrato opaco. Altre volte, con la stessa risolutezza del mago di Mann, il lettore dell’annuncio è invitato a compiere un'azione precisa, Devi solo passare la lingua sui denti. La placca diventa così la porzione di corpo umano presidiata da Pepsodent.

 

Con la generazione successiva si arriva al sublime commerciale. Tocca a Rosser Reeves, fondatore nel 1940 della Ted Bates ed epigono delle idee di Hopkins, realizzare il passaggio definitivo. Reeves diventa il pubblicitario nemico dell'inventiva e fa della sua agenzia il fortino di una nuova crociata scientista, producendo nel 1960 un nuovo testo sacro: Reality in Advertising. Anche stavolta la parola "pubblicità" è associata a termini che evocano una dimensione empirica e concreta, quella della scienza, del realismo, dei fatti puri. Il John Wayne dei pubblicitari, come viene chiamato, concepisce la Unique Selling Proposition, detta USP, ossia l'argomentazione unica di vendita da tradurre in slogan inesorabili. Ed è lui a teorizzare il martellamento mediatico di ogni campagna, nella quale ripetere l'argomento prescelto fino a – sostiene – farla penetrare nella mente di ciascuno.

 

 

Con Reeves gli schermi dei televisori americani diventano l'approdo della linea di produzione. Il flusso della catena di montaggio ora è anche linguistico. Il suo sogno è un moto perpetuo che elimini ogni umana imprevedibilità e meccanizza il mondo fuori dalla fabbrica. Naturalmente anche lui, come i butcher di Ford, seziona il corpo: la campagna per l'analgesico Anacin è ambientata dentro una testa, nello spot Rolaids ci troviamo in uno stomaco, e gli effetti benefici del dentifricio Colgate si avventurano tra denti colossali come fossero colonne d'ercole. Non si esce insomma dalla fisiologia umana, dando vita a proverbiali demo, ovvero a quegli esempi visivi condotti dentro e intorno all'organismo che sono una delle invenzioni linguistiche più tipiche dell’immaginario fordista-taylorista. Ma il suo approccio non si limita ai prodotti medicali. Celebre la campagna per le M&Ms, il cui spot si concentra sul palmo della mano, vero protagonista espressivo, che trionfalmente si schiude immacolato dopo aver stretto in pugno i confetti al cioccolato: si sciolgono in bocca, non in mano

 

È stato tante cose, il fordismo. Anche l’abbandono dell’arbitrio di un caporalato ottocentesco, certo. Oppure il raggiungimento di un tenore di vita degli operai che fu molto ammirato dai lavoratori europei, come ha ricostruito Victoria De Grazia. Ma come non ricordare che proprio Henry Ford, dominus del sistema americano, è uno dei benemeriti di Hitler, prima citato nel suo Mein Kampf (1925, capitolo XIII) quale lodevole eccezione all’ebraismo e poi nel 1938 insignito della Gran Croce del Supremo Ordine dell’Aquila Tedesca, la massima onorificenza del regime agli stranieri. Riconosciuto per le sue affinità ideologiche, generoso contributore economico del partito nazionalsocialista, l’industriale americano rifornì con la sua fabbrica tedesca anche la macchina bellica del progetto hitleriano. Un curriculum che fa orrore ma non è estraneo alla sua creazione.

 

 

Anzi, è coerente. Il suo mondo funziona grazie all’individuo disarticolato, ma fuori dalla fabbrica immagina invece una massa-esercito, irreggimentata e mobilitabile in ogni momento. E quando pubblicizza le sue merci, ricrea una visione dell’uomo come pura prosecuzione della macchina. È una cruda versione del moderno e una ben misera idea di linguaggio. Ma a cosa ci serve oggi saperlo, all’indomani della catastrofe pandemica? Mentre osserviamo un occidente colpito così duramente, impoverito e stanco, avvertiamo anche l’inadeguatezza del suo linguaggio pubblico, che di cultura fordista è ancora imbevuto. Il linguaggio delle merci in questi mesi, i suoi spot tutti uguali e inaccettabili, la ferita distillata ogni giorno dalla loro atroce incapacità di tacere, di sentire il dolore, da una separazione tra fatti e parole ormai congenita, tutto ci dice di richiudere questo linguaggio di potere nella sua storia, nella sua parentesi di senso. Isolarlo, come un reperto. E farne esistere un altro, che sarà forte quando non una ma tante merci sapranno praticare una lingua della relazione democratica, un vocabolario visivo capace di rappresentare l’essere umano come soggetto. Non come meccanismo.

 

Questo testo rielabora parti di “L’invenzione della placca dentale”, pubblicato da "In Trasformazione" presso l'Università di Palermo nel 2015.

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